Foursquare è spesso citato come il precursore della Gamification su larga scala grazie all’introduzione massiccia di punti e Badge per motivare gli utenti ad effettuare check in nei luoghi in cui si trovano. Motivazioni estrinseche (ed un invidiabile flusso costante di investimento) hanno consentito alla start up americana di passare da 0 a 10 milioni di utenti registrati in due anni.
La strategia nel breve termine ha funzionato tanto da imprimere una svolta nel modo in cui si scoprono e condividono gli spostamenti individuali con ripercussioni nel mondo business (aziende di ogni dimensione hanno investito in Foursquare per attrarre clientela). Yelp, Facebook, Google, Gowalla e tante altre aziende hanno sposato questa filosofia del check in everywhere pur non raggiungendo i fasti del rivale che, senz’altro, si è differenziato ed ha beneficiato dell’implementazione di game mechanics.
Nonostante questa crescita impetuosa ed una valutazione stellare, il social network geolocalizzato sta manifestando alcuni problemi di tenuta. Nel Luglio 2010 il dominio Foursquare.com, secondo Compete, contava 1.8 milioni di utenti unici mensili a fronte di 2 milioni di utenti registrati. A Giugno 2011, invece, il traffico registrato è di 1.4 milioni di utenti unici nonostante la customer base sia quintuplicata.
Ancora a luglio 2010 si segnavano 1 milione di check in giornalieri su una base di 2 milioni utenti, a fine anno 2 milioni di check in su una base di 5 milioni di utenti. La crescita non deve nascondere un calo da 0.5 a 0.4 check in per user, un bel problema di engagement a quanto pare!
Un problema che tutti noi vorremmo avere, ma è un macro-esempio di come una strategia gamificata possa portare non solo benefici (breve termine) ma anche svantaggi nell’engagement di lungo periodo. Abbiamo detto che il sistema conferisce badge di svariata natura all’esecuzione di determinati comportamenti (xx check in un giorno, entrare in un certo luogo e così via), punti per ogni interazione compiuta ed un sistema ranking sotto forma di Mayor. Dopo una prima fase di enfasi ed utilizzo massiccio, la motivazione è andata scemando. Gli sviluppatori sono allora intervenuti, siamo nel 2010, aggiungendo reward tangibili come coupon e sconti offerti dagli esercizi convenzionati. Su un livello estrinseco virtuale si è dovuto aggiungere un livello estrinseco reale per venir incontro alle esigenze dell’utenza sempre più avida di spinte esterne.
L’assenza di motivazioni intrinseche, un senso di appartenenza alla missione di fondo dell’applicazione, rimane una grave lacuna nel lungo periodo costringengo gli sviluppatori ad arricchire sempre più l’offerta, recente l’accordo con Living Social per un servizio di grouponing. Si rischia un corto circuito, aumentare i premi (o le punizioni) porta ad una retention maggiore ma al tempo stesso demotiva la fruizione del servizio alla cessazione dei vantaggi.
Questa casistica pratica osservata in Foursquare trova riscontro in un esperimento condotto nel 1969 da Edward Deci, dottorando in psicologia alla Carnegie Mellon University (n.b. la stessa di Jesse Schell, il genio del male dietro la Gamification)
Deci creò due gruppi di studenti, A e B, e diede loro un set di 7 pezzi coi quali creare liberamente infinite forme geometriche. L’esperimento si protrasse in tre sedute, ciascuna da un’ora in cui ciascun partecipante era seduto ad un tavolo e dotato di un Soma Puzzle oltre che di alcune copie di giornali dell’epoca (tra cui Playboy). Deci si sedeva in fondo al tavolo per fornire istruzioni e controllare il countdown.
Nella prima sessione entrambi i gruppi dovevano ricomporre alcune figure entro 1 ora di tempo.
Nella seconda sessione il gruppo A veniva incentivato con 1 dollaro (4 euro al cambio attuale) per ogni figura ricomposta, mentre il gruppo B non godeva di tale beneficio.
Nella terza sessione ritornavano le condizioni iniziali, ambo i gruppi dovevano ricomporre i pezzi senza ricompensa alcuna.
Nel mezzo di ogni sessione Deci si allontava dalla stanza per 8 minuti fingendo di andare a trovare un nuovo disegno da riprodurre, in realtà osservava il comportamento delle “cavie”. Nella prima sessione non vi furono sostanziali differenze tra A e B, entrambi hanno continuato a giocare col puzzle per 3 minuti e mezzo/4 minuti (preferendo questa attività ai giornali). Come molti possono prevedere, il gruppo A retribuito ha utilizzato ben 5 minuti per lavorare intensamente col puzzle così da portarsi avanti col lavoro e di conseguenza guadagnare di più a fine test. Il gruppo B ha mostrato patterns identici alla prima sessione. Quindi un livello di attività maggiore per chi ha la motivazione estrinseca di un premio in denaro, mentre chi partecipa per pura sfida mostra un engagement identico.
Ma il dato interessante arriva dalla pausa della terza sessione. Mentre il gruppo B, quello mai retribuito, ha leggermente aumentato il tempo speso con il Puzzle avviene una novità nel gruppo A. Dopo avergli tolto la paghetta, con la scusa che i fondi erano esauriti, hanno dedicato meno tempo sia rispetto alla sessione precedente (- 2 minuti)sia rispetto alla prima (- 1 minuto).
Cos’è avvenuto? I soldi, ma è possibile estenderlo anche a incentivi digitali, quando utilizzati come motivatori esterni possono portare ad una progressiva perdita di motivazione interna. Sicuramente possono rappresentare un boost nell’immediato, ma rischiano di allontanare nel tempo l’utente con una data attività.
Tornando a noi ed alla Gamification. Questo tool non è di per se’ positivo o negativo, tutto dipende dagli obiettivi che vogliamo raggiungere e da quali soluzioni si adottano a tal fine. Non critico per principio le piattaforme stile Badgeville, Big Door, Gamify in grado di conferire soluzioni white label, anzi possono rivelarsi potenti strumenti abbinati ad iniziative di loyalty ed in generale a scadenza temporale. Ad esempio trovo sensato applicare punti, reward e badge per dare una spinta al sito ufficiale di un film che uscirà fra 1 mese o una campagna marketing che ha una data di inizio ed una fine.
Applicare queste soluzioni a progetti di lungo periodo può portare a calo di engagement come quello analizzato in Foursquare. In questi casi è opportuno far leva sugli istinti umani, gli stessi che spingono migliaia di persone nel mondo a contribuire gratuitamente a Wikipedia o programmare soluzioni Open Source. Non ottengono nulla dall’ingegno ed ore spese, lo fanno per una serie di ragioni:
– Piacere di farlo
– Divertimento
– Sfidare se stessi nel risolvere un problema
– Senso di altruismo nell’offrire ad altre persone una soluzione ai loro problemi