Un modello teorico definito nel concepimento di un prodotto gamificato non è stato ancora definito. In questo caso sarebbe utile recuperare lavori già ampiamente sdoganati nell’industria del game design (videogiochi e gamification sono 2 mondi distinti sebbene accomunati da una medesima acqua in cui nuotare). Personalmente ho sempre ritenuto eccellente il lavoro di Hunicke, LeBlanc e Zubek intitolato “MDA – A Formal Approach to Game Design and Game Research” e questo post nasce con l’idea di traslare e divulgare il lavoro aggiungendovi qualche postilla a favore di Gamification.
LeBlanc alla domanda “Cosa rende un programma un gioco?” risponde “il divertimento abbinato ad un fine emozionale e non pragramatico” avvicinandosi ante tempo ad alcuni concetti standardizzati della Gamification in cui una componente “fun” viene inserita per stimolare l’insorgenza di emozioni negli utenti/giocatori, emozioni che sono alla base di quelle motivazioni intrinseche fondamentali per il raggiungimento degli obiettivi che l’azienda di prodotto in prodotto si è posta.
Queste componenti base di un videogioco possono essere sintetizzate col paradigma MDA: Mechanics, Dynamics, Aesthetics. Le tre componenti assumono un orientamento diverso a seconda della prospettiva di osservazione. Lo sviluppatore partirà dalle meccaniche per dar vita dinamiche che scatenano l’estetica e le emozioni nell’utente/giocatore. Diametralmente opposta è la visuale del giocatore, esso dapprima si imbatte nel lato emotivo/grafico, successivamente nelle dinamiche ed infine nel set di meccaniche che governano il sistema.
Avevamo già definito questi termini in precedenti post e interventi, ma sarà bene rinfrescare la memoria:
Meccaniche: Regole e componenti alla base del sistema di gioco
Dinamiche: Il comportamento delle meccaniche nel gioco sulla base degli imput dati dal giocatore ed output esterni
Estetica: Emozioni, stati d’animo e sensazioni manifestate dal giocatore in risposta alle dinamiche
La componente emozionale è fondamentale nei processi di Gamification. Fondamentale è individuare le emozioni che vorremmo stimolare nel nostro utente e per far questo è preliminarmente capire perchè i giochi sono divertenti. Abbiamo già parlato degli studi di Bartle, Yee e Lazzaro, oggi aggiungiamo 8 tassonomie individuate da questo team di ricercati:
1) Sensation: il gioco come momento di piacere per i sensi
2) Fantasy: il gioco come momento in cui far credere qualcosa
3) Narrative: il gioco come una sequenza di drammaticità e punti di relax
4) Challenge: il gioco come una corsa ad ostacoli
5) Fellowship: il gioco come un framework sociale
6) Discovery: il gioco come momento di scoperta
7) Expression: il gioco come auto-espressione
8 ) Submission: il gioco come passatempo
I più attenti avranno trovato numerose analogie con i Player’s Type di Bartle o con le risultanze del progetto Deadalus di Nick Yee e questo ci aiuta a creare delle standardizzazioni utili al nostro scopo. In generale ogni prodotto ludico è tanto più attraente quanto più visceralmente riesce a provocare questi stati d’animo, solitamente più d’uno e in rapporto mutevole.
Ad esempio un titolo come Halo di Microsoft trova nella componente Challenge la ragion d’essere principale del suo gameplay, affiancando termini come Narrative (una storia avvincente) e Fantasy (si viene catapultati in un mondo di fantasia). Un prodotto per riuscire a scatenare il senso di competizione deve poggiare su dinamiche solide in tal senso. L’obiettivo della sfida deve essere chiaro e raggiungibile, ad esempio uccidere tutti i Covenant per passare al livello successivo. A fronte di un messaggio ben identificabile, quantificabile e progressivamente via via più difficile da archiviare, una serie di altri meccanismi possono essere introdotti per creare questo senso di sfida nel giocatore. A puro titolo di esempio in prodotti come Halo avremo un numero di munizioni limitato, fattore che rende più complesso abbattere i nemici essendo impossibilitati a sparare all’infinito. O ancora una pressione temporale che ci spinge a completare il livello il più velocemente possibile alzando il coefficiente di difficoltà e rischio nella missione.
Al pari del Challenge anche le altre categorie tassonomiche maturano attraverso dei patterns individuati a monte.
Questa molteplicità di comportamenti che il giocatore può adottare nel corso del gioco incarno le dinamiche, differenti nel tempo e negli individui. Sempre in Halo avrò la possibilità di lanciare a capofitto contro i nemici oppure adottare una strategia stealth, sfruttando un riparo tra le rocce per uccidere una sentinella o un fucile da cecchino per stanare un nemico da lontano.
Conoscere questo modello può essere di grande aiuto per il Gamification Designer nell’atto di disegnare a monte la struttura del sistema gamificato. Un approccio semplice in cui le emozioni da suscitare potranno essere studiate a tavolino partendo dalle meccaniche e dinamiche. In un prossimo post o direttamente al Ravenna Futures Lessons proverò a creare una tabella esemplificativa, sicuramente utile per chi è alle prime armi!