Due anni fa, quando iniziai la stesura del libro “Gamification – I Videogiochi nella Vita Quotidiana” incontrati i rappresentati di AESVI, l’associazione che riunisce gli editori di software videoludico italiani. Quella chiacchierata, seguita da un’altra successiva al rilascio, mi lasciarono un profondo senso di vuoto e di angoscia. Non avevano la minima contezza di come il mercato tradizionale “pacchetizzato” stesse esalando gli ultimi respiri. All’epoca si veniva da un 2009 positivo, per la prima volta l’industria dei videogiochi aveva raggiunto e superato il miliardo di euro nel nostro paese e la crisi sembrava lontanissima. Nel secondo incontro i primi segnali allarmanti si erano affacciati, il mercato dei videogiochi nel 2010 aveva subito una flessione del 5% in Italia e cifre analoghe o maggiori in gran parte del mondo, eppure si continuava ad addossare le colpe unicamente alla crisi economica mondiale. Non nego che sia stato un fattore determinante, ma si è inserito all’interno di un contesto molto più ampio narrato lungamente nel mio libro. Sintetizzando alcuni dei punti:
– L’industria dei videogiochi tradizionali ha fallito la missione di intrattenere le masse. Se si analizzano i 7 cicli di console lanciati negli ultimi 30 anni non si è mai andato oltre i 250 milioni di acquirenti hardware per ciclo.
– Eccessiva sofisticazione delle esperienze di gioco, per dare una idea si è passati dai 2 tasti presenti sul Nintendo 8 bit alle decine sulle console di nuova generazione. Non è casuale che il Nintendo WII sia la console più venduta degli ultimi anni.
– I crescenti budget da allocare per sviluppo e marketing hanno spinto i publisher a investire su franchise e generi videoludici ritenuti sicuri creando nel tempo mancanza di originalità. Sempre più giocatori non trovano sugli scaffali giochi di “nicchia”. Chris Anderson ha spiegato brillantemente nel suo libro “The Long Tail” come il futuro sia sempre più della moltitudine delle nicchie.
– Un nuovo titolo console si colloca ormai sui 69 euro a cui van spesso sommate altre decine di euro per i successivi DLC, pacchetti di missioni e livelli aggiuntivi scaricabili dallo store online della console. Spesso l’accesso ai servizi “Live” ha un suo costo mensile ulteriore senza contare il costo dell’hardware console e relative periferiche!!
– Una soluzione adottata da molti giocatori restii a godersi meno titoli è stata l’adozione in massa di giochi usati, senza mai trascurare l’elevata incidenza della pirateria che ha ucciso l’intero mondo dei giochi PC pacchetizzati prima ancora della digitalizzazione del mercato. Basta fare un salto in catene come Gamestop (e più recentemente anche Mediaworld), e leggerne i fatturati, per capire la crescita esponenziale che la vendita dell’usato ha avuto nell’ultimo triennio.
-Dal 2007/2008 l’avvento di piattaforme distributive digitali tanto aperte quanto centralizzate ha offerto a centinaia di milioni di individui la possibilità di avvicinarsi per la prima volta ai videogiochi e progressivamente calamitato anche coloro che già possedevano console. Centinaia di migliaia di titoli, di genere e qualità diversissima tra loro, offerti a prezzi affrontabili e/o addirittura gratuitamente. In molti casi a parità di esperienza di gioco, FIFA 12 per PSP ed iPad, vi era una disparità di prezzo esasperata con la versione console portatile nei negozi a 30 euro mentre quella per il tablet Apple a 6 euro con continue offerte a 0.79.
– Mentalità freemium sdoganata in occidente da Facebook e dal 2009 da Apple. Ci si abitua alla logica di provare gratuitamente un gioco/prodotto per poi investirci dei soldi una volta fidelizzati ed appassionato. Società come Zynga hanno creato valutazioni in borsa straordinarie su questa logica di monetizzazione, publisher tradizionali rischiano invece la bancarotta non potendo rincorrere questo biz model.
– Naturale evoluzione del mercato consumer che ha già conosciuto questo processo di smaterializzazione. Polaroid ha ceduto il passo alle fotocamere digitali, le grandi enciclopedie cartacee sono morte prima a favore di Encarta e poi di Wikipedia, Blockbuster è in liquidazione soppiantato da offerte streaming più o meno legali, la distribuzione musicale è dominata da iTunes.
– [Update] Il tempo a disposizione è sempre meno con l’evolversi della società. I videogiochi, tradizionalmente intesi, richiedono tempo dedicato. Accendere una console, inserire il dischetto e dedicarsi esclusivamente a questa attività per la lunghezza della sessione di gioco. Quest’ottica è stata totalmente ribaltata con l’avvento di device in grado di congiungere diverse esperienze. I cellulari vengono acquistati per comunicare ed al contempo consentono di intrattenersi. Su Facebook si và primariamente per spulciare le attività degli amici e nel mentre si gioca, così via per altre forme ibride come il gaming su smart tv.
Individuate alcune delle cause è bene provare ad offrire alcune soluzioni. Ho avuto la fortuna di lavorare in Electronic Arts dal 2006 ad oggi vivendo un’epoca di straordinari cambiamenti. Come molti di voi sapranno era l’azienda leader nei videogiochi che, all’epoca, significava vendere milioni di copie su ogni console esistente e PC. I vertici intuirono subito che il gaming digitale avrebbe cambiato il modo di fruizione di questa forma di intrattenimento ed iniziarono ad investire nell’acquisto di numerosi pure player in ambito mobile e social (Jamdat, Chillingo, Firemint, Playfish). Erano impossibilitati a riconvertirsi dall’interno pur annoverando tra le proprie file alcuni tra i più brillanti sviluppatori, artisti, game designer e marketing manager al mondo. Troppo grande il salto tra le “due industrie”, da lì la necessità di ristrutture l’azienda. Questo processo non è stato compiuto nella velocità dovuta ed oggi ne paga alcune conseguenze sebbene in misura minore ad altri publisher, anche italiani, che non hanno saputo capire per tempo la necessità di destrutturarsi, anche licenziare pesantemente, per adattarsi alle nuove sfide del mercato. Le mie idee per chi volesse rischiare la riconversione:
Questa settimana le mie elucubrazioni mentali hanno trovato conferma nell’annuale rapporto sullo stato dell’industria che AESVI pubblica in collaborazione con l’istituto di analisi GFK.
Nel 2011 il mercato italiano dei videogiochi è valso 993.1 milioni di euro, un calo del 7.1% rispetto al 2010. Sfogliando il rapporto non c’è alcuna traccia della componente digitale, nessun accenno ai mobile application stores, online e social games in Italia. La mia previsione, già espressa in altre sedi, è che la prossima sarà l’ultima generazione di console per come le abbiamo comunemente intese. O cesseranno di esistere o si dovranno adattare al mondo digitale seguendo esempi come Onlive!
Questo articolo non và frainteso, non sto sostenendo che i videogiochi in quanto tali siano in crisi ma semplicemente che è in atto una ridistribuzione delle forze in campo sempre più favorevole alle forme digitali per numero di giocatori e tasso di crescita.
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