Apparentemente irrazionali, molte delle nostre scelte nascono e si consolidano all’interno del cervello. Vige una continua lotta tra le due anime della nostra mente: una totalmente razionale a cui spetta il compito di vagliare gli stimoli e relazionarli con una serie di fattori esterni ed una completamente emotiva che agisce sulla base di stimoli e istinti. Per molto tempo si è pensato che questo “emisfero” non fosse influenzabile, ma studi recenti mostrano come sia possibile hackerare le emozioni o quantomeno indirizzarle.
Senza pretesa di esaustività e tenendo presente che ogni area è spesso deputata a più attività, nel nostro cervello vi sono delle zone che reagiscono e si attivano di fronte a particolari sollecitazioni inducendo stati di animo e comportamenti. Ve ne è in particolare una collocata nella parte mediana dei nostri emisferi, chiamata sistema limbico, un’area ricca di strutture cerebrali. Quando perceperiamo un rumore sospetto di notte mentre siamo a letto o vediamo un film horror o in videogiochi come Silent Hill dove la struttura narrativa è disegnata per creare angoscia qualcosa avviene all’interno dell’Amygdala, una zona tanto piccola quanto decisiva nella formazione di alcune emozioni negative. Stati d’animo come paura e ansietà fisiologicamente accadono quando l’Amygdala viene stimolata! Ma non è l’unica…
VTA (zona ventrale tegmentale), ubicato nell’immagine tra Amygdala e Ippocampo, è una delle zone dove viene prodotta la Dopamina. Questo neurotrasmettitore arriva in specifiche aree come il Nucleus Accumbens producendo quella sensazione di piacere e felicità legata ad una serie di attività primarie (cibo, sesso) o più estetiche (videogioco, un bel quadro). L’alterazione dei volumi di dopamina nel nostro cervello influenza pesantemente le nostre scelte ed i processi decisionali. Entrando in un negozio girovaghiamo tra i diversi compartimenti, dinanzi ad un modello particolarmente attraente la secrezione di dopamina potrebbe aumentare in relazione al possibile acquisto di quel capo che il cervello vede come un premio in arrivo. Questi processi inconsci spesso ci spingono ad acquistarlo realmente.
Dopamina e Nucleus Accumbens sono un mix micidiale perchè questa area difficilmente pronunciabile è proprio quella associata ai processi di Reward. E chi crea videogiochi o prodotti gambling come slot machine conosce perfettamente il potere manipolatorio che alcune tecniche possono esercitare sul comportamento umano portando a veri e propri stati di dipendenza.
Sempre più aziende sono attivamente impegnate nella ricerca e perfezionamento di pratiche volte a stimolare la dopamina con l’obiettivo di rinforzare comportamenti e creazione associazioni positive con prodotti e/o brand. Da qui la necessità di comprendere al meglio le tecniche di gamification ed i linguaggi dei videogiochi quali nuove importantissime frecce all’interno di una strategia: reward schedules, feedback loop, status, mastery ed altri termini spesso spiegati in queste pagine.
Con sempre più frequenza veri e propri giochi vengono inseriti all’interno di campagne pubblicitarie. Gli advergames stanno conoscendo una seconda vita nell’ultimo triennio grazie alla diffusione di piattaforme distributive come Facebook e mobile application stores che rendono più facile e virale la diffusione del prodotto rispetto alla prima era online. Alcuni generi si prestano meglio di altri ad essere impiegati, non tanto e non solo per la maggiore accessibilità da parte di un pubblico casual e costi/tempistiche di sviluppo minori quanto per la capacità di stimolare il nostro cervello.
Articoli scientifici come “Unscrambling words increases brand name recognition and preference” hanno palesato il potere manipolatorio che semplici giochi di parole e puzzle possono avere sul nostro cervello. Avete mai provato un certo senso di soddisfazione dopo aver risolto un sudoku o parole crociate particolarmente impegnative? Un piccolo brivido di piacere derivante dall’aver padroneggiato un sistema complesso? Associare un brand/prodotto ad un puzzle game aiuta la memorizzazione e una associazione positiva.
Questo desiderio di apprendere e risolvere problemi è alla base dell’Infovore Marketing, termine coniato da Irving Biederman dell’University of Southern California. I suoi studi mettono in luce l’insorgere di un meccanismo di feedback nel cervello che premia l’acquisizione di conoscenza. I test condotti mediante l’ausilio di neuroscanner fMRI mettono in evidenza il ruolo dei recettori Mu, conosciuti da tempo per essere connessi agli oppioidi naturali, ed il loro aumentare di densità lungo la via visiva ventrale. Questa stretta relazione col sistema ventrale non è casuale, è proprio qui che avviene una parte del processo di riconoscimento immagini ed elaborazione. I recettori sono stipati nelle zone del percorso legato alla comprensione e interpretazione di immagini, ma sparse in aree in cui gli stimoli visivicolpiti per primi la corteccia. La teoria di Biederman sostiene che maggiore è l’attivitàneurale nelle zone ricche di recettori oppioidi, maggiore sarà il piacere.
Sappiamo come il marketing si basi spesso sulla ripetizione di medesime parole, immagini, suoni e messaggi. La teoria Infovore suggerirebbe invece la diversificazione di concetti in grado di soddisfare l’innato istinto di apprendimento insito in ognuno di noi. E cosa meglio di un gioco per creare sorpresa, novità ed una curva di difficoltà crescente nel tempo?
Onestamente la trovo una prospettiva un po’ spaventosa. E’ chiaro da tempo che la psicologia gioca un ruolo fondamentale all’interno della pubblicità, è probabilmente anche un fenomeno inevitabile. Allo stesso tempo, sentire parlare di studi scientifici sulla creazione dei desideri poi girati a favore del condizionamento all’acquisto mi mette un po’ i brividi.
Ottimo articolo comunque, ci sono degli spunti molto interessanti in questo blog. Complimenti!!