Economics

La corsa alla gamification delle banche

La rivoluzione informatica degli istituti bancari è in corso da anni con molta lentezza, tramite l’adozione delle nuove tecnologie che di volta in volta diventano abitudini delle nuove generazioni.

La banca è storicamente un’istituzione “necessaria” per gestire i propri prelievi tramite bancomat e per chiedere soluzioni finanziare quali i mutui; è insomma una realtà del proprio quotidiano non appena si diventa maggiorenni. Questo non significa che il linguaggio con cui si interfaccia alle persone sia anch’esso quello giovanile: è anzi interesse di molti istituti bancari mantenere un’areola di inaccessibilità e di depositaria di potere e informazioni precluse alla persona comune, per giustificare l’azione di affidare alla sua competenza i nostri risparmi.

gamification banca

 

 

La controtendenza è nata prima tramite internet e gli accessi ai conti online, dove parte di tutta quell’informazione precedentemente demandata alla fila agli sportelli è divenuta accessibile da casa; successivamente grazie al mobile, con i tool che allertano il cliente in tempo reale sull’andamento della borsa o l’arrivo dello stipendio sul conto.

Il passo “rivoluzionario” è quello di tramutare l’accesso all’informazione del proprio conto in un contenuto interattivo, qualcosa di dinamico e indirizzato dalle azioni del cliente indipendentemente da consulenti della banca. Un esempio semplice del concetto lo abbiamo affrontato per esempio parlando di risparmio programmato ad obiettivi con Smarty Pig.

Le banche oggi hanno la necessità di fare proprie le stimolanti idee della gamification e nel farlo adottano la tattica centenaria che le contraddistingue: appropriarsi di metodologie già esistenti e classificarle secondo una terminologia proprietaria che faccia sembrare che dietro ci sia una imperscrutabile conoscenza che solo loro sanno maneggiare.

I dettami del modello PBL (point, badges, leaderboards) hanno uno scopo apparentemente ludico ma, qui più che in altre piattaforme, si prefiggono un obiettivo puro e semplice: la loyalty gamificata, trovare cioè il giusto piacevole meccanismo di interazione a cui il cliente si abituerà e che non vorrà più abbandonare.

L’engagement in questo scenario cresce di pari passo con la semplificazione, essendo le procedure ed i concetti finanziari non affatto intuitivi.
Ecco che per attrarre il maggior numero di clienti l’approccio ludico si sposa con concetti cari alle nuove generazioni come educazione ambientale, microrisparmio, green finance.

Citiamo in questo ambito la proposta di Flowe, che afferma di investire le risorse bancarie nella creazione di profitto tramite attività ambientaliste e sociali, alla stregua quasi di una onlus.

 

flowe mediolanum gamification banca

I principi base di Flowe

Il concetto propagandato è quello della BetterBeing Economy, un esempio di quanto abbiamo appena detto in merito alla trasmutazione di definizioni già esistenti in formule criptiche ad uso delle finanziarie (il nome è addirittura depositato). Ebbene, questa economia etica significa gestire le proprie scelte di vita tramite il denaro e grazie alle istruzioni dell’istituto che diviene la nostra guida, a cui non dovremo più rinunciare!

La carta di credito di Flowe è fatta in legno, per ricordare che ogni correntista è associato ad un nuovo albero piantato in Guatemala tramite accordo con ZeroCO2 (gamification a mille tramite la app che mostra l’ubicazione geografica della tua personale pianta!)

L’azienda è certificata “Carbon Neutral”, ossia è un’entità che compensa l’anidride carbonica prodotta attraverso il brand activism, vale a dire la propria impronta sociale valutata con i finanziamenti green.

L’engagement che punta principalmente sulla coscienza ambientale viene affiancato all’interno del menu del correntista da gruppi di spesa, educazione sulla sostenibilità, educazione al divertimento come presupposto alla cura del mondo.

Non ci sono in tutto quello che abbiamo visto qui nuovi concetti rivoluzionari, ma un attento studio gamificato volto a racchiudere quanto di più profano ed egoistico possa esistere (la cura del proprio patrimonio economico) con un envelop che faccia credere al correntista che le proprie scelte ed i propri investimenti siano al contempo divertenti ed utili per migliorare la società. Una sorta insomma di gamificazione della coscienza.

A cura di Valter Prette

Gamification guiderà gli investimenti nei prossimi 12 mesi

L’istituto di ricerca Altimeter ha condotto una interessante ricerca su un campione di 103 digital strategists operanti in aziende con fatturati superiori ai $50 milioni chiedendo loro come si stessero muovendo in quanto ad interesse ed investimento nelle tecnologie emergenti. Tanto le piccole aziende tecnologiche locali quanto le grandi corporations sono costantemente alla ricerca del prossimo software o hardware potenzialmente distruttivo. La domanda tradizionale in questi salotti è “What’s Next?” Il grafico in basso riporta le predizioni di coloro che immaginano e costruiscono il nostro futuro.

 

Ricerca sulla tecnologie emergenti rilasciata da Altemeter il 6 Febbraio 2014

Ricerca sulla tecnologie emergenti rilasciata da Altemeter il 6 Febbraio 2014

 

Con mia grande sorpresa, la Gamification è il settore in cui  le grandi aziende hanno maggiormente intenzione di investire nei prossimi 12 mesi. Ben il 55% degli intervistati colloca la scienza dell’engagement come priorità davanti a trends come la digital tv o mobile payments.

Noi di Gameifications.com è dal 2011 che sosteniamo la portata rivoluzionaria di questa disciplina nel ripensare e migliorare gran parte delle nostre esperienze indipendentemente dal loro ambito e continueremo ad offrirvi spunti di riflessioni e case histories sotto la guida del nostro Fabio Viola.

Il mercato dei videogiochi 2013

L’influenza che il mondo dei videogiochi ha sulla Gamification è innegabile. La neonata scienza si compone almeno al 50% di game design ed in generale tecniche e teorie videoludiche, con la restante metà divisa tra psicologia, scienza comportamentale e neuromarketing.

L’industria videoludica, soprattutto nell’ultimo quinquennio ha iniziato una grande opera di alfabetizzazione collettiva all’interazione, piattaforme come Facebook, smartphone e Tablet hanno avvicinato al gaming centinaia di milioni di non giocatori rendendoli contigui a strutture gamificate fatte di punti, livelli, missioni, feedback loop. Questo allargamento del bacino di utenza è la premessa stessa della gamification, non più solo individui di sesso maschile chiusi nella propria stanza aa videogiocare ma tante, tantissime, donne over 40 ma anche uomini di impresa ed under 10.

Ma quale è lo stato di salute dell’industria dei videogiochi propriamente detta?

Il mercato dei videogames 2013

Newzoo ha appena rilasciato un esaustivo report che analizza nella sua interezza il videogames market nel periodo 2012-2016.

Secondo l’analista si passerà dai $70.4 miliardi del 2013 agli $86.1 del 2016 con una crescita annua del 6.7%. Il dato conferma lo stato di salute del medium entertainment che si conferma il primo per fatturato superando editoria, cinema e musica.

Eppure analizzando internamente il dato, spuntano veri e propri smottamenti interni. Il gaming tradizionale, inteso come console/pc arranca e continuerà a perdere market share interno soprattutto a causa del collasso del segmento console portatili col loro -15%. I tablet sono il mercato a crescita più sostenuta con un +46.7% nel quinquennio, seguito a ruota dal mobile gaming con il suo +18.8%.

Il numero di videogiocatori nel mondo

Un dato numerico interessantissimo arriva dal numero di videogiocatori nel 2013, essi sono 1.21 miliardi nel mondo. Un numero significativo se confrontano alla totale popolazione online vicina ai 2.4 miliardi ed il numero di abitanti sul pianeta di 6.9 miliardi. Nel 2016 sono destinati a diventare 1.55 con oltre 300 milioni di newbye provenienti prevalentemente dal mondo mobile/tablet e quindi ex non giocatori.

Per quanto ci riguarda, l’europa occidentale ha 180 milioni di giocatori su un totale di 400 milioni di abitanti confermandosi una regione videoludicamente avanzata.

Gamification Revenue a 5.5 miliardi di dollari nel 2018

La crescita della Gamification continua a ritmi serrati. Ogni giorno sempre più aziende decidono di implementare questa logica all’interno dei processi aziendali e la controprova arriva dai continui rilasci di nuovi progetti. Nella giornata di ieri arriva un nuovo significativo studio da parte dell’analista MarketsandMarkets che dedica un intero pamplhet al tema dal titolo “Gamification Market [(Consumer Gamification, Enterprise Gamification) by Deployment (On-Premise, On-Demand); Application (Marketing, Sales, Hr, Support, and Development); Size (SMB, Enterprise)]: Worldwide Market Forecasts and Analysis (2013 – 2018)

Le soluzioni gamificate stanno entrando prepotentemente in tutte le strategie aziendali soprattutto per guidare metriche positive nel campo dell’engagement e loyalty. Gamification è da intendersi come una scienza con un suo tool flessibile ed user friendly utile a motivare tanto l’impliegato (enterprise) quanto l’utente (consumer). Come già ampiamente scritto un lavoratore ingaggiato nell’azienza avrà un tasso di produttività migliore sopperendo ad un problema sempre iù pressante per le organizzazioni aziendali, la motivazione/allineamento del worker alla mission aziendale. In ambito consumer vale un analogo discorso, a fronte della molteplicità di brand e prodotti diventa cruciale creare una connessione emotiva, primo step verso l’atto di acquisto ed in generale l’esecuzione di un dato comportamento in linea con i nostri obiettivi.

Il successo delle prime grandi piattaforme di gamification come Bunchball, BigDoor Media e Badgeville ha accelerato il trend di crescita iniziato nel 2010, anno in cui nasce lessicalmente e organicamente il movimento della gamification. Oggi si contano già centinaia di start ups sparse per il mondo che offrono piattaforme white label per ogni tipo di clienti o hanno fatto della  gamification l’essenza della loro offerta consumer (Foursquare).

In questa prima fase l’offerta consumer è quella che ha accolto più velocemente le istanze di gamification, mentre in ambito enterprise solo ora si iniziano a muovere i primi passi concreti a causa di una lentezza nella comprensione reale di questa scienza nei dipartimenti interni alle aziende (vedi HR).

Il nodo centrale nei processi di integrazione, ancor prima del lato IT, è il sapere disegnare esperienze gamificate genuine ed in grado di motivare realmente il target. E’ fondamentale che nelle aziende vi sia almeno un gamification designer in grado di disegnare un gamification design document e poi aiutare l’IT interno a decidere quale soluzione adottare (affidarsi a piattaforme saas, creare in house o soluzioni ibride). Non esiste, purtroppo, una soluzione standard tanto è vero che ad oggi, secondo Gartner, l’80% dei progetti gamificati è destinato a fallire a causa del cattivo design. Ciò che intendo è, non deve essere la piattaforma a cui ci appoggiamo a guidare le scelte ma dobbiamo essere noi in relazione agli obiettivi che ci siamo posti ed al target a decidere su quali motivatori agire (MOTIVATION DESIGN FRAMEWORK) e solo infine decidere quali meccaniche e dinamiche di gioco implementare (punti, badge, appoyntment dynamic, scarsità, loss avoidance…).

Il secondo snodo cruciale è l’analisi delle metriche di engagement. Alcuni parametri da monitorare costantemente nei progetti gamificati digitali sono il DAU/MAU anche noto come sticky factor, la recency, la frequency e la durata della visita. Poi in relazione allo specifico design tracciare la quantità dei singoli badge/missioni/livelli sbloccati per avere un dato quantitativo e qualitativo della user experience così da modificare nel tempo le meccaniche adattandole alle risposte dei nostri utenti/giocatori.

MarketsandMarkets si aspetta che il mercato della gamification crescerà dai $421.3 milioni del 2013 ai $5.50 miliardi del 2018 con un tasso di crescita anno su anno del 67.2%.

Social casino games vs Online Gambling

Il 2013 è appena iniziato ma già si delineano alcune tendenze che connoteranno la gaming industry. Oggi vorrei soffermarmi nuovamente sul crescente mercato dei social casino games. Con questo termine mi riferisco a tutta quella pletora di giochi basati su tipologie tipicamente gambling come poker, slot, bingo con la sostanziale differenza di essere totalmente “for fun”. Mentre l’industria gambling tradizionale elargisce denaro reale come corrispettivo a fronte di una vincita, nei social casino games il flusso di denaro è unidirezionale con il giocatore che può spendere soldi reali su facebook piuttosto che mobile per l’acquisto di chips virtuali ottenendo in cambio solo beni virtuali (altre chips, posizionamento nella leaderboard, avanzamento livello…)

[Prima di iniziare la disamina premetto che da ormai due anni sono pesantemente coinvolto in questo settore con uno dei marchi leader mondiale sviluppando esperienze di social casino games  for fun cross platform.]

Dopo un biennio di rodaggio, il 2012 è stato l’anno in cui social publishers e gambling firms hanno iniziato ad investire pesantemente nel settore dando vita ad acquisizioni, fusioni e creazioni di bracci armati.

Il gambling online, ampiamente sdoganato in Italia con numerose poker rooms e da pochi mesi anche slot online, ha ormai superato i 30 miliardi di dollari annui e si appresta a ricevere ulteriore linfa dalle liberalizzazioni in alcuni stati americani. Un enorme flusso di denaro generato da un ristretto. numero di utenti.

I social casino games presentano una situazione opposta. Un fatturato ascrivibile tra 1 e 2 miliardi di dollari nel 2012 generato da centinaia di milioni di giocatori su Facebook, Android e iOS in massima parte. Un grande bacino di utenza in cui mediamente il 2% investe soldi reali mentre gli altri continuano a giocare in modalità totalmente free. Eppure giochi come Slotomania di Playtika (ora Caesars Entertainment) riescono a generare 18,3 milioni di dollari mensilmente.

L’unione dei due segmenti potrebbe essere distruttiva ed è qui che si stanno focalizzando le attenzioni di aziende piccole, medie e grandi per il 2013. Secondo dati rilasciati da Dicembre da Superdata Research il mercato social casino games è valso 1.7 miliardi di dollari nel 2012 con un ARPPU di $69.13. Il dato dell’average revenue per paying user (quanto spende mediamente un utente pagante) è molto interessante perchè mostra una propensione alla spesa molto alta per questo clusters di giocatori, specie se paragonata ai $35.82 del social gamer generico (dati Novembre 2012). Inutile dire che sono gli USA a farla da padrone, con oltre 1/3 del fatturato generato negli States (698 milioni). Le prospettive di crescita saranno ancora a doppia cifra per gli anni a venire con stime conservative verso i 2.7 miliardi di dollari nel 2015.

Questi dati trovano una parziale spiegazione nel particolare bacino demografico dei social casino players. Se il fenotipo poker collima sostanzialmente con il social gamer tradizionale (27 anni e prevalenza maschile), questo non accade in altri generi come bingo e slot. Questi generi hanno avuto un successo incredibile nell’ultimo biennio grazie al bacino di utenza del tutto peculiare: individui over 35 con maggiore capacità di spesa e tasso di fidelizzazione.

Infografica social casino games vs online gambling - fonte Optimove

Non sono molti i dati disponibili su questa nicchia di mercato vuoi per la giovane età vuoi per la difficoltà a collezionarli. Ho trovato molto interessante questa analisi realizzata da Optimove mettendo a confronto il mondo social casino games e quello online gambling. Lato design è interessante capire le differenze motivazionali tra le 2 tipologie di giocatori. In ambito “for fun” i motivatori principali sono psicologici: battere un amico in un sit&go, interagire in-game con gli avversari inviando regali (che spesso sono veri e propri sfottò) e chattando ed infine progredire nel gioco salendo di livello e relativo status. Nel gambling puro il denaro riveste un ruolo fondamentale insieme all’adrenalina da competizione.

Comprese le ragioni profonde della seduta al tavolo verde, l’infografica mostra il tasso di attivismo dei social gamers quasi il doppio più alto dei colleghi for money (una sessione ogni 2 giorni contro una ogni 4). Anche la propensione a restare nel sistema è 6 volte più alta, di contro il conversion rate è x9 nel gambling.

Il prossimo step? La fusione di questi due mondi..!

 

Le metriche nei prodotti free to play: acquisizione, engagement e monetizzazione

Il mondo dei videogiochi, ed in generale dei prodotti digitale, è totalmente cambiato nell’ultimo quinquennio. A fronte della disarticolazione del tradizionale modello di business “pay per something”, molte aziende sono ancora oggi altamente impreparate ad accogliere, e peggio, a gestire un modello di monetizzazione free to play. La non conoscenza spesso si trasforma in puro terrore, non capendo le sfide ma anche i vantaggi che il passaggio al freemium porta in ottica aziendale. L’iniziale gratuità del prodotto rappresenta una potentissima leva marketing che consente di creare bacini di utenza con bassi o bassissimi costi di acquisizione. La moltitudine dettata dalla gratuità potrà andare di pari passo con design estremamente virali in grado di dar vita ad applicazioni in grado, parzialmente, di auto alimentarsi. Una formula matematica consente di calcolare il K-Factor, diluendo ulteriormente il costo di acquisizione. Senza entrare in tecnicismi, se il CPA è di 1 euro per individuo e ciascuno di essi sarà in grado di trainare nel sistema altri 2 utenti il CPA reale diventa di 0.33. Creata massa critica è il momento di rendere altamente costoso il servizio molto più di quanto il cliente avrebbe pagato in up-front se avessimo optato per una formula pay per something. E’ il caso di numerosi social games dove i giocatori arrivano a spendere centinaia di euro al mese, in  molti casi migliaia, per godere di un prodotto che avrebbero potuto far loro a EURO 60. Si pensi al caso di The Sims Social vs The Sims pacchettizzato.

Nicholas Lovell schematizza il modello free to play

Mi sono già soffermato in uno specifico post sul concetto di “Consumer Funnel“, quanto mai valido al giorno d’oggi per capire la piramide della relazione col cliente digitale in un’era in cui la relazione non è più focalizzata nel momento della prima interazione ma sulla capacità di tenere in piedi questo rapporto nel corso dei mesi al fine di trasformare l’utente da free in pagante e magari alto-spendente. Il visitatore arriva principalmente mediante acquisizione e secondariamente attraverso meccaniche virali. La differenza rispetto alle dinamiche precedenti risiede nella non immediata capacità di recuperare il denaro speso nell’acquisizione. In passato a fronte del costo per acquisizione si era in grado di valutare in tempo reale il ritorno, era facile contabilizzare le spese e le entrate per utente.

In questo nuovo mondo fatto di ongoing product sulle più svariate piattaforme (mobile, social, online, interactive tv) diventa sempre più dirimente comprendere che le metriche sono tanto importanti quanto il design ed il marketing perchè saranno loro a farci capire chi e perchè sta utilizzando il nostro prodotto. Questi dati non hanno una valenza demoscopica o conoscitiva ma sono il PUNTO DI PARTENZA per poter mettere in campo una adeguata strategia di monetizzazione. Il business plan è cambiato, un tempo bastava prevedere quante copie avrebbe venduto il nostro gioco o quanti abbonati al nostro servizio per calcolare le revenues. Oggi è tutto profondamente cambiato, bisogna capire non solo quanti utenti entreranno gratuitamente nel nostro servizio ma anche quale sarà la nostra capacità di retention, l’ARPU in grado di generare e il life time value.

E’ bene prendere dimestichezza con molte delle sigle che faranno parte del business plan partendo dalla fase di acquisizione per giungere a quella di monetizzazione:

CPA/CAC: come già detto in precedenza è il costo per acquisizione, quanto io azienda spendo per portare nel mio sistema un utente. Sono tanti gli strumenti utilizzabili: classici banner pubblicitari pagati per 1000 impression (CPM),  cost per install (CPI) o cost per engagement (CPE). Indipendentemente dalla strategia messa in atto se io pago un referral program 1 euro per ogni cliente che scarica la mia app su App Store o installa la facebook app avrò un CPA di 1 euro. Per dare dei benchmark spannometrici acquisire un utente all’interno di app free to play può avere un costo dai 0.6 ai 3 euro in base alla categoria merceologica, periodo dell’anno, nazionalità e abitudini utente.

eCPA: Le applicazioni 2.0 portano in grembo sempre più meccaniche virali dal semplice sharing a incentivi per ogni amico invitato. In questo caso è bene parlare di eCPA che include la capacità di ogni utente portato a pagamento nel sistema di trainare spontaneamente altri utenti. Di conseguenza se io spendo 1 euro per acquisire un cliente e questi me ne porta altri tre, l’eCPA sarà di 0.25 euro.

MAU: I monthly active users sono gli utenti attivi su base mensile. Gli utenti che sono entrati almeno una volta nella mia app/sistema in un lasso temporale da me stabilito di 30 giorni. In generale è la metrica che più rientra nella logica precedente, paragonabile al numero di download o al numero di utenti registrati. Rischia di essere una vanity metric perchè non indica chiaramente come si sta sviluppando il rapporto col mio utente.

DAU: I daily active users sono gli utenti attivi su base giornaliera. Gli utenti che sono entrati almeno una volta nella mia app/sistema nelle 24 ore da me stabilite. E’ una metrica fondamentale perchè ci aiuta a capire cosa accade quotidianamente e consente ai designers di intervenire rapidamente a fronte di metriche in peggioramento. Ci tengo a ricordare che per me il game/gamification designer ha proprio il compito di mettere in piedi schemi in grado di abbattare il più possibile le frizioni.

Un piccolo consiglio pratico per avere una idea di come stanno performando in ambito MAU e DAU le applicazioni Facebook è consultare Appdata. Il portale mostra l’andamento mensile e giornaliero di migliaia di titoli. In ambito iOS non esiste uno strumento altrettanto potente e gratuito, lo stesso AppData offre un’area App Store dove è possibile tracciare il rankings delle app o in alternativa Appannie.

STICKY FACTOR: Nella mia esperienza, questo è uno dei parametri fondamentali perchè è in grado di indicarci il livello di engagement. Questo numerino viene fuori dividendo i MAU/DAU, il risultato mostrerà la propensione della customer base mensile a rientrare quotidianamente nel nostro progetto. Inutile dire che maggiore sarà il coefficiente, maggiore il tasso di engagement che rappresenta l’aprivia per ogni strategia di monetizzazione. Se la nostra app ha 100.000 utenti mensili, giornalmente ne entrano 10.000 lo sticky factor sarà del 10%.

Esistono differenze, a volte sensibili, tra progetti mobile/online e social con ulteriore differenziazione tra target mass market e di nicchia. A livello generale un punto di partenza è uno sticky factor del 15%, sotto questo numero si potrebbero avere reali problemi di monetizzazione successiva. Ho visto giochi arrivare ad un engagement ratio del 30% (Scrabble) ed altri attestarsi su valori molto bassi. Per aiutare il nostro progetto è possibile prendere esempio dalle decine di meccaniche e dinamiche oramai collaudate in numeri social games come appointment dynamic, time bonus etc etc.

Returning Users: Sono gli utenti che hanno effettuato almeno una sessione nel nostro sistema lo in un dato mese e nel successivo sono rientrati almeno una volta.

Churner Users: Sono gli utenti che hanno effettuato almeno una sessione nel nostro sistema in un dato mese ed il successivo non sono rientrati.

Concetti similari vengono indicati con le seguenti metriche.

Retention Rate: La percentuale di giocatori che rientrano il mese successivo nella piattaforma.

Churn: E’ il valore inverso alla retention. Il coefficiente si ottiene sottraendo 1-retention rate. Il primo mese la nostra app ha totalizzato 100 utenti, nel secondo sono rientrati 40 significa avere un churn rate del 60% ed un retention rate del 40%.

Duration: Anche conosciuto come ciclo di vita indica il numero di mesi che un utente rimane nel nostro sistema. Il coefficiente si ottiene dividendo 1/churn rate. Nell’esempio sopra citato, con un churn del 40% la duration sarà di 2.5 mesi.

iOS e Android app user retention mese dopo mese

Come mostra l’immagine il tasso di retention ovviamente tende a diminuire progressivamente dall’installazione. Le applicazioni che riescono a tenere ingaggiato più a lungo l’utente sono quelle che beneficeranno di una migliore monetizzazione e dovranno sopportare inferiori costi di acquisizione.

Ora passiamo a metriche che identificano i parametri della monetizzazione.

ARPU: Average Ravenue per User è l’introito medio che ciascun utente porta al sistema in un determinato lasso temporale, solitamente si calcola su base mensile ma una buona abitudine potrebbe essere rivolgersi all’unità di tempo giornaliera. Il coefficiente nasce dividendo le revenue generate nel dato lasso temporale per il numero di utenti attivi nel mesedimo periodo. Se ho generato 50.000 euro di fatturato ed ho 100.000 utenti attivi nel mio gioco avrò un ARPU di 0.5 euro.

ARPPU: Average Revenue per Paying User è l’introito medio che ciascun utente pagante porta al sistema di un determinato lasso temporale. Il coefficiente nasce dividendo il numero di utenti paganti per le revenues generate nel medesimo lasso temporale. Riallacciandomi all’esempio precedente, su un base complessiva di 100.000 giocatori ho 20.000 utenti paganti. In questo caso l’ARPPU sarà di 2.5 euro

Conversion Rate: Il tasso di conversione è il numero di utenti che in un dato lasso temporale ha effettuato almeno una transazione. Il coefficiente si calcola dividendo il numero di utenti attivi per il numero di utenti con transazione. Se il 10 Maggio avevo 1000 utenti attivi e di questi 100 hanno effettuato una transazione avrò avuto un conversion rate del 10%.

Lifetime Value: A questo punto è utile introdurre anche il concetto di valore della vita nel sistema di utente. l’LFT è fondamentale in fase di business plan ed indica quanti soldi l’utente immetterà nel sistema durante la sua intera permanenza.

Prima di entrare nel dettaglio di un ipotetico business plan è bene considerare un ultimo fattore. Mentre nel quadro economico del pay per play ogni utente è uguale all’altro lato monetizzazione, nell’economia free to play ci troveremo di fronte ad abitudini di spesa notevolmente diversificate. Gli estremi sono rappresentati da giocatori che mai effettueranno una transazione nel periodo di attività ed altri che ne effettueranno svariate per importi consistenti, nel mezzo tutta una serie di altre casistiche.

Vikas Gupta: Cinque tipologie di utenti in un sistema virtual goods based

Vikas Gupta è il CEO di Social Good, società specializzata nella fornitura di infrastrutture per prodotti free to play. Analizzando i flussi economici in migliaia di app ha tratto fuori un quadro interessante della situazione ed utile nel programmare il quadro economico. Gli utenti sono stati suddividi in cinque categorie contraddistinte da differenti abitudini di spesa. Individuarli significa poter lavorare scientemente su meccaniche e dinamiche in grado di facilitare il salto di livello per tutti con innegabili benefici sugli introiti.

Peasants sono gli utenti che non effettuano mai una transazione e rappresentano la stragrande maggioranza in qualsiasi ecosistema si prenda a riferimento

Commoners effettuano solitamente una o poco più transazioni

Knights sono utenti che spendono un importo non marginale quasi sempre concretato esclusivamente nel primo mese di utilizzo

Lords sono gli utenti che si fidelizzano al sistema e spendono nel tempo un buon quantitativo di soldi

Kings sono dei consumatori pesanti che arrivano a spendere migliaia di euro nel sistema

In media il lifetime value in Europa si aggira sui 50 euro in progetti di social gaming. Il tasso di conversione è tendenzialmente uguale in ambito iOS e Facebook con valori che mai superano il 5%, mentre nell’online si assiste a casi estremamente positivi con una conversione che può superare abbondantemente il 10% in MMO e browser games.

Nei prossimi giorni spero di rendere disponibile per tutti uno schema generale utile per calcolare le revenues in un progetto free to play.

 

 

Riflessioni industria gaming digitale

E’ un periodo elettrizzante per l’industria dei videogiochi. Comprendo lo stato d’animo  negativo quella fetta di industria che non ha saputo rinnovarsi ed al contempo esulto per come il mercato stia cercando di evolversi spontaneamente offrendo infinite possibilità sia alle future start up che ai giocatori che si ritrovano con una scelta di titoli sui dispositivi più variegati senza pari.

Esaminiamo in ordine sparso una serie di imput giunti in questi giorni. L’industria dei giochi in mobilità sappiamo essere in crescita, Apple e Google hanno dato nuova linfa ad un mercato nato nel 2001 grazie alla straordinaria diffusione dei rispettivi sistemi operativi e la crescente facilità con la quale è possibile scaricare un gioco sul proprio smartphone e tablet. Una freschissima analisi di Newszoo indica in 101 milioni il numero di mobile gamers negli USA con una crescita del 34% rispetto allo scorso anno. Aumenta analogamente anche il numero dei giocatori paganti, ora attestati sui 37 milioni. Soprattutto il secondo dato nasce dall’evoluzione dai “regular phone” agli smartphone e tablet. Il salto generazione porta con se migliori esperienze ludiche grazie ai display e processori molto più performanti, parco titoli quantitativamente ed economicamente più vantaggioso, minori barriere di discovery e acquisto ed, infine, la voglia di personalizzare un nuovo device scaricando più app possibili.

Statistiche mobile gaming 2012 USA

In Europa le statistiche hanno qualche connotato diverso. La popolazione dei mobile gamers attivi dovrebbe attestarsi intorno ai 70 milioni di utenti (dato Newszoo Marzo 2012 riferito a fr, uk, ge, be, hl), tra questi vi è ancora una percentuale non trascurabile di giocatori su normali telefonini. Ad esempio i regular phone valgono il 34% del mercato in Francia. Un’altra discrasia arriva dalle peggiori performance di Android Playstore in fatto di revenues, a conferma di come questo sistema operativo si stia velocemente diffondendo ma presenti ancora problemi in termini di download di giochi a pagamento. Un’altra differenza arriva dalla percentuale di tablet, in Europa l’assenza del Kindle Fire di Amazon si fà sentire pesantemente.

La crescita del mobile gaming ha già penalizzato pesantemente l’industria tradizionale dei videogiochi con gravi danni inflitti soprattutto alle console portatili. Sony e Nintendo hanno perso importanti quote di mercato ed il recente lancio di Sony PsVita e Nintendo 3DS ha risentito pesantemente di questa concorrenza tanto da spingere la grande N a dichiarare per la prima volta perdite nell’anno fiscale appena conclusosi. Eppure la crepa potrebbe estendersi ulteriormente, nel 2011 circa il 62% dei giocatori console/pc americani era impegnato attivamente nel gaming mobile.  Pur essendo distanti anni luce le due tipologie di esperienze ludiche, il tempo a disposizione di un individuo è unico. Nel momento in cui opto per dedicare ore e risorse economiche su un iphone ho sempre meno tempo per accendere una console, fenomeno da tenere sott’occhio!

Gameloft e Rovio, due dei principali mobile publisher mondiali hanno rilasciato i risultati fiscali. L’azienda francese, nata come una costola di Ubisoft,  ha fatto segnare il Q1 migliore della sua storia con revenue per 44.8 milioni di euro nei primi tre mesi del 2012. La crescita del 14% anno su anno viene ascritta ovviamente alle vendite su smartphone e tablet ma, leggendo bene il documento ufficiale, emerge chiaramente un nodo cruciale. Quasi il 50% degli introiti arrivano da micro-transazioni ed advertising che stanno pian piano soppiantando il precedente modello pay per download. In parole povere tutti i nuovi titoli gameloft vengono rilasciati gratuitamente o ad un prezzo estremamente basso per poi monetizzare in-game attraverso la vendita di moneta virtuale spendibile per migliorare le performance. Il vantaggio di questo business model è la capacità di attrarre un gran numero di giocatori e spesso di non giocatori attratti dall’iniziale gratuità del prodotto.

Il bilancio 2011 della finlandese Rovio offre un altro interessante angolo di lettura. Dei 75 milioni di euro fatturati, circa il 30% è arrivato dal merchandising. Come tutti sappiamo Angry Birds è un videogioco nato per iOS che aveva raggiunto i 650 milioni di download su varie piattaforme lo scorso anno. In questo processo di crescita ha giovato la capacità distributiva cross platform (ios, diversi store android, windows phone, mac store etc etc) ed il pricing estremamente accessibile. Un successo incredibile che Rovio ha sfruttato traformandolo in “entertainment franchise”, la massificazione ha dato il via a circa 200 accordi di licensing per realizzare cartoni, negozi, parchi tematici, giochi in scatola, peluche etc etc. Questa era una strada sostanzialmente preclusa all’industria tradizionale dei videogiochi, i titoli di maggior successo rimanevano cmq confinati nel novero dei milioni di copie indirizzate a target ben specifici. Angry Birds è riuscito ad allargare il bacino, essere scaricato da giovani quanto persone anziende, ragazzi come ragazze aprendo le strade ad una monetizzazione indiretta clamorosa.

Electronic Arts rappresenta un esempio di azienda tradizionale che faticosamente e con sofferenza sta cercando di riposizionarsi in chiave digitale. Dopo esser stata per decenni numero uno nei videogiochi ha sofferto la concorrenza di Activision Blizzard (azienda n.1 per capitalizzazione in borsa con circa 14 miliardi di dollari) e finanche di Zynga valutata sui 6 miliardi. Io stesso sto vivendo dal 2006 questa espansione in chiave digitale operando per la divisione mobile sin dalla sua nascita. Dopo un lungo percorso fatto di riconversioni interne e numerose acquisizioni, il segmento digitale è diventato un fattore  centrale nei bilanci. Esaminando il documento rilasciato ieri agli azionisti fà strano leggere in prima pagina come dichiarazione del CEO Riccitiello

We are proud to report a strong quarter and a fiscal year highlighted with $1.2 billion of digital revenue

Il dato impressiona sia se esaminato singolarmente che nel totale bilancio EA. Nel Q4 2011 “EA Digital” ha generato 419 milioni di dollari mentre i prodotti pacchetizzati 949 milioni. Circa il 30% del fatturato degli ultimi tre mesi registrati è arrivato da giochi online, mobile, social e scaricabili in generale con tassi di crescita e marginalità molto differenti. Continuando di questo passo già nel corso del 2012/2013 potrebbe stabilirsi una sostanziale equivalenza tra i due rami. Sicuramente il colosso americano continuerà ad investire nel mondo console tradizionale, sono già 80 milioni i dollari stanziati per ricerca e sviluppo sulla prossima generazione Wii, Xbox 720 e Playstation 4 in arrivo tra fine 2012 e fine 2013. A fronte di questi impegni si prevedono tagli al personale console/pc e la soppressione di una serie di franchise non ritenuti utili alle rinnovate strategie.

Ho già sostenuto ampiamente le mie tesi sulla fine del mondo console così come lo conosciamo per tutta una serie di ragioni argomentate su La Stampa e sul blog. Un altro tema penalizzante è proprio il ciclo vitale di una console, mediamente sui 7 anni. In un’epoca passata questo timing poteva avere un senso, ma oggi con l’incalzare di nuovi iPad rilasciati annualmente, aggiornamenti Andoid ogni pochi mesi le console rischiano di perdere la propria supremazia tecnologica. Da qui l’idea di progetti come Onlive di aggiornare via software e non hardware grazie alla connettività!

Microsoft sperimenta un modello paymium per Xbox 360

Eppure i tre grandi produttori di hardware non restano a guardare. Oltre a lavorare sulle nuove console, stanno cercando di sperimentare nuove forme digitali e di distribuzione. Una notizia interessante arriva da Microsoft che ha ufficialmente annunciato un nuovo bundle. In 16 Microsoft Stores americani sarà possibile acquistare l’Xbox 360 a 99 dollari in aggiunta ad un abbonamento da 15 dollari mensili per due anni.  E’ la prima volta che un console maker prova a ribaltare la logica commerciale da un upfront significativo (le console appena rilasciate hanno costi intorno ai 400-500 euro per poi chiudere sui 150-200) ad un più accessibile obolo iniziale controbilanciato da un abbonamento mensile che include l’accesso ad Xbox Live. A conti fatti sui 24 mesi il prezzo che l’utente andrebbe a spendere è superiore al combinato del prezzo tradizionale più costo abbonamento annuale per il live e sarà interessante capire la reazione del pubblico. Di certo il target sembra esser quello dei giocatori occasionali abituati a barriere di ingresso economiche non elevate.

 

 

Mercato italiano videogiochi nel 2011

Due anni fa, quando iniziai la stesura del libro “Gamification – I Videogiochi nella Vita Quotidiana” incontrati i rappresentati di AESVI, l’associazione che riunisce gli editori di software videoludico italiani. Quella chiacchierata, seguita da un’altra successiva al rilascio, mi lasciarono un profondo senso di vuoto e di angoscia. Non avevano la minima contezza di come il mercato tradizionale “pacchetizzato” stesse esalando gli ultimi respiri. All’epoca si veniva da un 2009 positivo, per la prima volta l’industria dei videogiochi aveva raggiunto e superato il miliardo di euro nel nostro paese e la crisi sembrava lontanissima. Nel secondo incontro i primi segnali allarmanti si erano affacciati, il mercato dei videogiochi nel 2010 aveva subito una flessione del 5% in Italia e cifre analoghe o maggiori in gran parte del mondo, eppure si continuava ad addossare le colpe unicamente alla crisi economica mondiale. Non nego che sia stato un fattore determinante, ma si è inserito all’interno di un contesto molto più ampio narrato lungamente nel mio libro. Sintetizzando alcuni dei punti:

– L’industria dei videogiochi tradizionali ha fallito la missione di intrattenere le masse. Se si analizzano i 7 cicli di console lanciati negli ultimi 30 anni non si è mai andato oltre i 250 milioni di acquirenti hardware per ciclo.

– Eccessiva sofisticazione delle esperienze di gioco, per dare una idea si è passati dai 2 tasti presenti sul Nintendo 8 bit alle decine sulle console di nuova generazione. Non è casuale che il Nintendo WII sia la console più venduta degli ultimi anni.

– I crescenti budget da allocare per sviluppo e marketing hanno spinto i publisher a investire su franchise e generi videoludici ritenuti sicuri creando nel tempo mancanza di originalità. Sempre più giocatori non trovano sugli scaffali giochi di “nicchia”. Chris Anderson ha spiegato brillantemente nel suo libro “The Long Tail” come il futuro sia sempre più della moltitudine delle nicchie.

– Un nuovo titolo console si colloca ormai sui 69 euro a cui van spesso sommate altre decine di euro per i successivi DLC, pacchetti di missioni e livelli aggiuntivi scaricabili dallo  store online della console. Spesso l’accesso ai servizi “Live” ha un suo costo mensile ulteriore senza contare il costo dell’hardware console e relative periferiche!!

– Una soluzione adottata da molti giocatori restii a godersi meno titoli è stata l’adozione in massa di giochi usati, senza mai trascurare l’elevata incidenza della pirateria che ha ucciso l’intero mondo dei giochi PC pacchetizzati prima ancora della digitalizzazione del mercato. Basta fare un salto in catene come Gamestop (e più recentemente anche Mediaworld), e leggerne i fatturati, per capire la crescita esponenziale che la vendita dell’usato ha avuto nell’ultimo triennio.

-Dal 2007/2008 l’avvento di piattaforme distributive digitali tanto aperte quanto centralizzate ha offerto a centinaia di milioni di individui la possibilità di avvicinarsi per la prima volta ai videogiochi e progressivamente calamitato anche coloro che già possedevano console. Centinaia di migliaia di titoli, di genere e qualità diversissima tra loro, offerti a prezzi affrontabili e/o addirittura gratuitamente. In molti casi a parità di esperienza di gioco, FIFA 12 per PSP ed iPad, vi era una disparità di prezzo esasperata con la versione console portatile nei negozi a 30 euro mentre quella per il tablet Apple a 6 euro con continue offerte a 0.79.

– Mentalità freemium sdoganata in occidente da Facebook e dal 2009 da Apple. Ci si abitua alla logica di provare gratuitamente un gioco/prodotto per poi investirci dei soldi una volta fidelizzati ed appassionato. Società come Zynga hanno creato valutazioni in borsa straordinarie su questa logica di monetizzazione, publisher tradizionali rischiano invece la bancarotta non potendo rincorrere questo biz model.

– Naturale evoluzione del mercato consumer che ha già conosciuto questo processo di smaterializzazione. Polaroid ha ceduto il passo alle fotocamere digitali, le grandi enciclopedie cartacee sono morte prima a favore di Encarta e poi di Wikipedia, Blockbuster è in liquidazione soppiantato da offerte streaming più o meno legali, la distribuzione musicale è dominata da iTunes.

– [Update] Il tempo a disposizione è sempre meno con l’evolversi della società. I videogiochi, tradizionalmente intesi, richiedono tempo dedicato. Accendere una console, inserire il dischetto e dedicarsi esclusivamente a questa attività per la lunghezza della sessione di gioco. Quest’ottica è stata totalmente ribaltata con l’avvento di device in grado di congiungere diverse esperienze. I cellulari vengono acquistati per comunicare ed al contempo consentono di intrattenersi. Su Facebook si và primariamente per spulciare le attività degli amici e nel mentre si gioca, così via per altre forme ibride come il gaming su smart tv.

Individuate alcune delle cause è bene provare ad offrire alcune soluzioni. Ho avuto la fortuna di lavorare in Electronic Arts dal 2006 ad oggi vivendo un’epoca di straordinari cambiamenti. Come molti di voi sapranno era l’azienda leader nei videogiochi che, all’epoca, significava vendere milioni di copie su ogni console esistente e PC. I vertici intuirono subito che il gaming digitale avrebbe cambiato il modo di fruizione di questa forma di intrattenimento ed iniziarono ad investire nell’acquisto di numerosi pure player in ambito mobile e social (Jamdat, Chillingo, Firemint, Playfish). Erano impossibilitati a riconvertirsi dall’interno pur annoverando tra le proprie file alcuni tra i più brillanti sviluppatori, artisti, game designer e marketing manager al mondo. Troppo grande il salto tra le “due industrie”, da lì la necessità di ristrutture l’azienda. Questo processo non è stato compiuto nella velocità dovuta ed oggi ne paga alcune conseguenze sebbene in misura minore ad altri publisher, anche italiani, che non hanno saputo capire per tempo la necessità di destrutturarsi, anche licenziare pesantemente, per adattarsi alle nuove sfide del mercato. Le mie idee per chi volesse rischiare la riconversione:

Questa settimana le mie elucubrazioni mentali hanno trovato conferma nell’annuale rapporto sullo stato dell’industria che AESVI pubblica in collaborazione con l’istituto di analisi GFK.

Il fatturato dei videogiochi in Italia dal 2009 al 2011 (Fonte Aesvi)

Nel 2011 il mercato italiano dei videogiochi è valso 993.1 milioni di euro, un calo del 7.1% rispetto al 2010. Sfogliando il rapporto non c’è alcuna traccia della componente digitale, nessun accenno ai mobile application stores, online e social games in Italia. La mia previsione, già espressa in altre sedi, è che la prossima sarà l’ultima generazione di console per come le abbiamo comunemente intese. O cesseranno di esistere o si dovranno adattare al mondo digitale seguendo esempi come Onlive!

Questo articolo non và frainteso, non sto sostenendo che i videogiochi in quanto tali siano in crisi ma semplicemente che è in atto una ridistribuzione delle forze in campo sempre più favorevole alle forme digitali per numero di giocatori e tasso di crescita.

Penetrazione console e PC in Italia nel 2011 (Fonte Aesvi)

Socio-demografia dei giocatori online e social

La scorsa settimana Playspan, società attiva nella fornitura di soluzioni di monetizzazione in ambito digitale recentemente acquistata da Visa, ha rilasciato un interessante rapporto sullo stato del mercato dei virtual goods/currency in USA. Si stima un fatturato di 2.3 miliardi di dollari nel 2011 con una spesa per giocatore di 64 dollari, con una crescita del 28% sul 2009.

Questi dati sono estremamente interessanti anche e soprattutto se analizzati fuori dal contesto videoludico. Sicuramente la nuova ondata di giochi digitali su mobile, XLA, PsStore, social e online basati principalmente sul paradigma del free to play ha dato un fortissimo impulso a questo business model ma i principali beneficiari potrebbero essere industrie contigue attualmente in cerca di un giusto modello. Basti pensare a musica, cinema, dating, loyalty programs che già nell’ultimo biennio hanno iniziato a studiare e implementare nuove relazioni col consumatore finale.

Un intervistato su quattro avrebbe comprato virtual goods nell’anno appena trascorso con una crescita del 100% sul 2009. Interessante anche la distribuzione socio-demografica emersa dal campione di 600 individui che hanno completato il questionario redatto da Frank N. Magid Associates, agenzia incaricata da Playspan.

Profilo socio-demografico degli acquirenti virtual goods in USA

Circa il 50% degli uomini under 24 ha dichiarato di aver acquistato un virtual goods nel 2011, percentuale che scende al 15% nel  medesimo tearget femminile. Il mondo rosa trova la sua massima espressione nel segmento 35-44 con il 23% che dichiara un acquisto. Questo dato non mi sorprende, è in linea con numerose altre ricerche di mercato rilasciate negli ultimi anni, tanto è vero che il target tipico di prodotti come Farmville è una donna di 43 anni, solitamente mamma. Addirittura nelle fascia over 44 le donne diventano l’acquirente principale di beni virtuali.

Le principali motivazioni che spingono gli utenti ad acquistare beni virtuali

Le motivazioni che inducono alla spesa rientrano largamente nella sfera della progressione e miglioramento dell’esperienza. Il dato che potrebbe sorprendere i non addetti ai lavori è quel 32% connesso col desiderio di decorare e personalizzare l’ambiente di gioco e/o l’avatar. Si tratta di soldi spesi senza ottenere un reale beneficio nel gioco se non l’enfatizzazione del proprio status di fronte alla community.

Capire il profilo socio-demografico e le differenziazioni tra la varie piattaforme è un passo fondamentale nell’approcciare un progetto gamificato o vero e proprio videogioco.  Ci viene in aiuto il report Online Casual & Social rilasciato a fine Febbraio da Newszoo.

Tempo e soldi spesi per piattaforma videoludica

Focalizziamoci sul mercato europeo, calcolato su statistiche provenienti da Spagna/Germania/UK/Olanda ed Italia. Le console rappresentano ancora quasi un quarto del tempo speso dai giocatori del vecchio continente, il dato riflette la nostra arretratezza rispetto alla galassia americana e orientale dove negli ultimi anni si è assistito ad un veloce spostamento dal packing al digitale. In meno di un quinquennio i social games sono diventati motore trainante del divertimento col 16% del tempo speso. In generale il gaming digitale nelle sue varie forme totalizza il 64% del tempo, proporzione che si ribalta nella logica dei soldi spesi. Il mercato dei giochi pacchettizzati Console + PC fagocita il 56% del fatturato con i social games a farne princiapalmente le spese.

Il profilo dei giocatori online e social in Europa

Serious Games e Gamification per l’ambiente

Nei giorni scorsi ho avuto un incontro con una società romana attiva nel mondo dei giochi realizzati primariamente per obiettivi marketing (advergames) ed educativi (edugames e serious games). Mi raccontavano che dopo un iniziale boom fino ai primi anni 2000 il filone ha ricevuto via via meno attenzione da parte di grandi brand ed enti pubblici tanto da spingerli a disinvestimenti nell’ambito ludico. Di recente, soprattutto grazie al fenomeno gamification, l’interesse sull’universo dei videogiochi è ritornato prepotentemente anche in Italia. Questa stessa agenzia è al lavoro su una traccia legata al tema dell’educazione ambientale in ambito scolastico, come utilizzare i giochi o meccaniche di gioco per sensibilizzare noi tutti alla raccolta differenziata ed al rispetto dell’ambiente?

Il problema principale quando si lavora in soluzioni non commerciali è il budget a disposizione. E’ difficile riuscire a coniugare qualità dell’esperienza con le scarse risorse che l’ente pubblico mette a disposizione in fase di gara d’appalto. A questo si aggiunge la criticità di documenti scritti spesso malissimo perchè a monte l’ente futuro erogatore non ha al suo interno il know how necessario per trasmettere i giusti imput ai futuri sviluppatori. Mi son ritrovato spesso a osservare bandi di gara in cui l’attenzione sembra esser posta quasi interamente sull’aspetto tecnologico del progetto (mondi virtuali 3D) e poche righe dedicate alle regole, meccaniche e dinamiche che rappresentano il cuore pulsante nella trasmissione del messaggio.

Tra gli esempi tecnologicamente più complessi presenti sul mercato figura PowerUp di IBM. Un gioco gratuito online multiplayer in cui il giocatore (target in età scolastica) ha il compito di salvare il pianeta Helios da un disastro ecologico attraverso una serie di missioni volte a sensibilizzare su specifici temi come vento, acqua e sole. E’ un mondo virtuale interamente 3D in cui viene data massima libertà di movimento ai giocatori secondo schemi tipici dei MMORPG. Una serie di personaggi non giocabili e dei moduli per le scuole aiutano a trasmettere messaggi reali ad un target che si trova maggiormente a suo agio all’interno di un momento giocoso che non sui banchi scolastici. Progetti come questi sono di difficile realizzazione per via degli elevati costi di sviluppo, viaggiamo oltre i 100.000 euro.

Face The Waste un gioco eco-friendly

Molto più spesso capita di vedere progetti realizzati sulla stregua di mini-games, veloci esperienze interattive in cui il giocatore impara facendo. Sebbene nato come prodotto commerciale, Face The Waste di Runoff Studios ha tutti i crismi di un buon edugames e la donazione di 5 cents a copia venduta (destinatario National Environmetal Education Foundation) testimonia l’efford per posizionarsi in tale ambito. L’idea di base è educare i ragazzi sul tema del riciclo, problema dirimente che necessità di una forte alfabetizzazione che ci spinga a perdere un paio di minuti giornalieri in cambio di un futuro mondo migliore. In questo caso la piattaforma prescelta non è più l’online ma l’iPhone attraverso un app scaricabile al costo di 79 centesimi di euro, uno sforzo tecnologico molto minore con costi nell’ordine dei 20.000 euro.

Eppure nell’ultimo biennio l’asse di attenzione sembra spostarsi dalla creazione di veri e propri videogiochi, più o meno complessi, a progetti gamificati in cui mancano personaggi e storia interattiva ma più diretto è l’intento di spingere a cambi comportamentali attraverso l’introduzione di meccaniche sociali, punti, badge e rewards. Uno degli esempi che porto sempre con me nelle conferenze e lezioni aziendali è quello di RecycleBank di cui ho abbondantemente parlato anche su questo blog come esempio di gamification applicata alla gestione del ciclo dei rifiuti. La notizia riguarda la fusione tra la piattaforma online di punti/rewards e Greenopolis, parimenti attiva in ambito mobile (ma anche sul territorio con chioschi di raccolta) con specifiche apps destinate a informare, aiutare e premiare coloro che sono impegnati nella raccolta differenziata.

A rinforzo dell’esperienza online è arrivato anche il social game Oceanopolis pensato dal co-founder Anthony Zolezzi. L’idea di fondo è amministrare una splendida isola occupandosi degli aspetti legati alla gestione dei rifiuti che rischiano di minare le spiagge incontaminate. Procedendo nel gioco si guadagnano punti che possono essere utilizzati o per fare reali donazioni con enti convenzionati o riscattati sotto forma di buoni cinema/ristorante etc etc.

Tanti i modi di utilizzare il game thinking per aggredire concretamente uno dei problemi del nostro tempo. Il budget e il target utenza ci dirà quale approccio scegliere per difendere il nostro ambiente!