Marketing

Coca Cola e la Gamification

Sono ormai quasi tre settimane che questo blog non conosce aggiornamenti. Mea Culpa, mia grandissima culpa! Ho avuto la malsana idea di prendermi le mie prime 2 settimane di ferie consecutive da eoni or sono totalmente disconnesso da internet, niente laptop o blackberry. A partire da oggi cerchero’ di riprendere la normale cadenza degli aggiornamenti barcamenandomi tra il blog e il nuovo libro che entro un paio di mesi dovrebbe vedere la luce cosi’ da continuare il lavoro gia’ intrapreso nel mio primo libro in cui si analizzano i mutamenti interni all’industria videoludica. Come gia’ anticipato in qualche post il nuovo libro ‘Gamification Design’ sara’ una guida pratica alla Gamification, uno strumento base col quale approcciare meglio progetti in fase di start up o gia’ collaudati prendendo il meglio da questa nuova tecnica.

Per riabituare i polpastrelli a scrivere di Gamification, sara’ bene partire da una iniziativa marketing/advertising,  segmento in cui il game thinking puo’ aiutare enormemente a veicolare il messaggio. Ancora una volta e’ Coca Cola ad offrirci lo spunto di discussione, dopo aver gia’ trattato del suo interessante loyalty program.

Il punto di partenza della campagna e’ la strategia cross platform atta a promuovere una nuova vending machine disponibile in numerose location americane: cinema, stazioni di benzina, fast food etc etc… Questa macchina consente di creare la propria bevanda personalizzata mixando varie bibite del noto brand, con l’implicita idea di cambiare le abitudini dei consumatori solitamente fidelizzati ad una sola sotto marca, sia essa coca cola, Fanta piuttosto che Sprite. Con mia somma sorpresa l’arcipelago di bevande e’ estremamente variegato, oltre 100 differenti tipologie che spaziano in ogni campo dello scibile bevibile.

I primi dieci secondo di un video inserito su Youtube aiuta a contestualizzare il background dietro l’iniziativa:

– 60.7 milioni di americani utilizzano quotidianamente uno smartphone

– In media sono presenti 27 applicazioni sul proprio telefono

– L’81% degli under 25 interagisce con i videogiochi

Questo scenario, ancora piu’ ampio in ambito Facebook, spiega il perche’ smartphone e social network siano i due canali di interazione scelti da Coca Cola con il supporto di Youtube e Twitter per garantire una adeguata diffusione virale dell’idea.

Su Facebook e’ presente l’applicazione Create Your Drink con la quale e’ possibile riprodurre la sensazione della vending machine reale. Per passi successivi l’interazione in flash consente di: selezionare il cartone, scegliere il mix di bevande tra le oltre 100 disponibili, aggiungere i giusti cubetti di ghiaccio, shakerare la creazione e condividerla con gli altri dandole un nome.

L'app Facebook Create Your Drink di Coca Cola

Il web design ripropone una serie di nozioni ormai standardizzate nelle applicazioni gamification based. Bastera’ farsi un rapido giro per trovare sistemi di feedback real time che guidano l’utente nella progressione dell’esperienza a riprova che l’esasperazione di questa idea portata da Zynga ha trovato ormai una consacrazione universale. Freccie colorate, pulsanti lampeggianti e finestre di pop up che indicano che stiamo svolgendo correttamente l’azione aiutano i meno esperti a esser subito parte attiva del viaggio.

A questo si aggiunge l’immancabile utilizzo di una progress bar a forma di bicchiere (sinistra dell’immagine) ion grado di fornire una percezione immediata di cosa si sta creando con tanto di percentuale di completamento e rappresentazione del ghiaccio sul fondo.

Completata la creazione apparira’ una pagina di riepilogo dove rivedere le dosi della ricetta appena inventata ed assegnare un nome per renderla unica ed ancora piu’ personale, idea gia’ vista in 4Food.com dove il panino diventa legato al proprietario.

Al web si accompagna il mondo mobile con l’applicazione PUSH+Play disponibile su App Store ed Android Market. In questo caso il colosso americano ha optato per un vero e proprio videogioco. Su schermo appaiono i loghi di alcuni brand del gruppo e ci vien chiesto di memorizzare una  seguenza musicale da riprodurre pigiando sui tasti corrispondenti. Questo intuitivo titolo presenta dei punteggi, una classifica ed una serie di  badge sbloccabili.

Advertising Gamification

Le campagne pubblicitarie stanno progressivamente virando dai media tradizionali come televisioni e giornali alla moltitudine del web. La possibilità di analizzare le metriche in real time, la maggiore sofisticazione del messaggio pubblicitario, ora interattivo, e le opportunità di viralità offerte dall’integrazione coi social network hanno dato vita a brillanti esempi di campagne pubblicitarie evolute.

Eppure da normale navigatore da alcuni anni ho osservato una sostanziale staticità delle idee ed ancor di più la incapacità di sorprendere il visitatore e tenerlo incollato al messaggio. Una possibile soluzione al problema arriva dalla tecnica della Gamification che sta diventando sempre più una freccia nell’arco delle media agency pioniere nelle nuove tecniche di engagement design. La prima iniziativa a fare da case history è arrivata dal brand Chiquita con una campagna in co-partnership con RIO, film d’animazione di recente uscita. Il portale ha brillantemente introdotto achievement, points, badge all’interno di un plòayer journey in stile gaming.

Ma un ulteriore passo avanti lo ha compiuto l’agenza Lowe Brindfors, Lowe and Partner per il cliente Magnum. L’esperienza utente è stata strutturata all’insegna di un gioco a livelli dove quest’ultimi sono rappresentati da altrettanti brand partner che hanno prestato i propri website come scenario d’ambientazione di questo simil  adventure game. L’idea di fondo è raccogliere il maggior numero di Bon Bon nel minor tempo possibile guidando un personaggio femminile capace di muoversi a destra e sinistra oltre che saltare sfruttando le peculiarità dei vari livelli.

L’esperienza gamificata ha preso il nome di Magnum Pleasure Hunt ottenendo delle metriche significative. Le riporto ad inizio articolo per dare risalto ai punti di forza che questa tecnica può apportare:

– Dopo 3 giorni è diventata la url più twettata globalmente

– 1 milione di visitatori unici in 3 settimane con zero spesa marketing

– Ogni utente ha speso una media di 5 minuti con la campagna

– 250.000 condivisioni su Facebook

Il primo contatto con l'iniziativa "Caccia al Piacere" di Magnum

L’avventura inizia con una fase di Onboarding per tutti coloro che non sono di casa con le dinamiche di un videogioco. Un tutorial interattivo insegna l’utilizzo dei comandi di gioco (freccie e barra spaziatrice) con un semplice quanto immediato feedback loop: ad ogni pressione del tasso corrisponde una reazione della nostra eroina, in caso di giusto movimento si passa allo step successivo.

La fase di tutorial in cui prendere familiarità col sistema di controllo

Superata la fase di training si entra nel vivo dell’avventura. La cacciatrice di piacere troverà lungo il suo cammino una serie di bon bons, ingrediente cardine del Magnum Temptation, sparsi all’interno di livelli il cui scenario è rappresentato dai website ufficiali di brand come Dove e Samsung. L’interazione sfrutta anche peculiarmente i marchi partner, ad esempio vi è un livello dove saremo alla guida di una cabriolet Saab da manovrare su strada per raccogliere gli agognati cioccolatini. Non solo terra, ma anche uno stage aereo dove saremo impegnati a pilotare un deltaplano.

Interessante notare come in alto a destra sia presente un timer che ricorda in ogni momento il tempo fin qui impiegato per progredire nel gioco. Una pressione temporale che spinge l’utente a far meglio, a migliorarsi per non arrivare ultimo al traguardo. Immediatamente a destra un counter in real time dei punti accumulati.

Un livello di gioco con ambientazione sahariana

E dopo tanto sforzo finalmente arriviamo alla conclusione dell’avventura. Il sistema ci premia con un feedback positivo composto dal punteggio finale (la somma dei bon bons recuperati e tempo impiegato) ed il testo “FANTASTICO”. Non solo il nostro ego ma anche il senso di competizione viene foraggiato mediante la collocazione in una classifica generale, incentivante solo intrinsecamente. Si è tentati a rigiocare per battere noi stessi e gli altri ma non vi è alcunissimo incentivo esterno, un perfetto esempio di come i premi possano non essere inclusi in una campagna marketing.

Non manca una parte sociale con la possibilità di pubblicare su Facebook o Twitter la nostra performance e la sfida diretta ad un amico con il quale successivamente raffrontare l’high score.

Il "gioco" termine col risultato finale e classifica

 Perchè la ritengo la miglior campagna gamificata a mia memoria? Semplice, risponde a due dei tre cerchi su cui si potrebbe fondare un primo approccio alla Gamification. Magnum Pleasure Hunt offre uno scopo all’utente, dando un senso alla sua esposizione col brand ed, ovviamente, implementa alcune meccaniche per creare engagement come i videogiochi san fare meglio di qualsiasi altro medium. Manca l’ultimo cerchio, da intendersi sempre come facoltativo, legato all’assegnazione di un premio tangibile. Ma come abbiamo visto in un precedente post non sempre è bene implementarli, anzi tavolta possono portare dei risvolti negativi sia in termini di appealing che di costi per il brand.

Tre patterns per una buona Gamification

 

Guida: Campagna marketing in un social game

Il paradigma della Gamification, così come l’etimologia della parola, affonda le sue radici nella crescente industria dei videogiochi. Una lunga tradizione che nell’ultimo quinquennio ha trovato terreno fertile della massificazione dei videogiochi, una industria in grado di generare $60.4 miliardi nel 2009 (fonte DFC) allargando a oltre 500 milioni di individui la propria base utenza attiva che “investono” oltre 3 miliardi di ore settimanali giocando online. Analizzando le statistiche di utilizzo di nuove piattaforme mass market come iPhone o Facebook la categoria giochi si colloca al primo posto sia per numero di applicazioni disponibili che per fatturato generato. Una enorme massa di non giocatori diventati giocatori e familiari a meccaniche come punti, livelli, boss di fine stage, classifica a punti, missioni e badge. Un target composto non più e non solo individui di sesso maschile 15-33 anni ma anche donne, tante donne che hanno invaso il mondo dei social games tanto da diventarne lo stereotipo di giocatore (donna, mamma sui 43 anni). Ad un rinnovato bilanciamento di genere, anche una stratificazione economica. Il magazine scientifico americano Cyberpsychology, Behaviour and Social Networking riporta che nel 2009 circa il 61% dei CEO, CFO ed altri senior executives intervistati si concede una breve pausa gaming giornaliera per staccare dal lavoro soprattutto su piattaforme mobile come iPhone, iPad, Blackberry e smartphone in generale.

Già negli anni 90 le grandi corporation colsero la sfida e l’opportunità promossa dalla massificazione di questo nuovo medium interattivo. Furono i primi passi della Gamification of Marketing, i cui antisignani furono Chupa Chups  con una campagna di in-game advertising nel 1992 e Adidas che promosse dei cartelloni pubblicitari a bordo campo nell’edizione del 1994 di Fifa Soccer prodotto da Electronic Arts.

Da allora di tempo ne è passato ed i videogiochi stessi sono mutati attraverso un graduale ma ineluttabile passaggio dall’atomo al bit, dai prodotti pacchettizzati ai giochi digitali. Il mondo dei social games, sia su Facebook che su App Store, è diventato dal 2010 un terreno di conquista da parte delle aziende protese a creare un livello di engagement ed una esposizione che nessun altro medium tradizionale è in grado di offrire. Il vantaggio è ovviamente reciproco, il proprietario/sviluppatore del gioco oggetto della campagna ricava non solo un fee solitamente basato sul CPE (cost per engagement) ma anche una valorizzazione del prodotto. Numerose esperienze, anche personali, han dimostrato che associare un gioco ad un brand significativo aumenta il livello di interazione della customer base.

Le strade percorribili da brand owner e centri media sono molteplici e devono essere influenzate dagli obiettivi, , budget a disposizione e corretta individuazione del social game a cui legare temporaneamente il marchio. Per comodità è utile dividere tra integrazione Leggera e Pesante, la seconda contraddistinta dalla creazione di giochi ad hoc brandizzati sarà approfondita nel corso della settimana entrante.

Oggi prendiamo in esame la forma Leggera di interazione, una partnership che comprende tutte le opzioni all’interno di giochi già esistenti con varie sfumature di intensità. Dolitamente si denota per il breve periodo in cui è celebrata da un giorno ad un mese al massimo. Non richiede grandi sforzi preparatori a monte e solitamente in massimo tre mesi viene studiata e messa in pratica, a patto di affidarsi a persone o agenzie esperte del settore. In alcuni casi la campagna non ha risvolti diretti sul gameplay, ma si limita ad offrire virtual currency (moneta virtuale del gioco x) in cambio di una interazione col brand all’interno del gioco o solamente nella sua bacheca come:

– Esposizione a un video

– Diventare fan della pagina ufficiale facebook di quel brand

– Compiere una azione collegata al brand

– Condividere con i propri amici il brand

– Partecipare a un sondaggio/quiz

Questo tipo di azioni non sono invasive e tendono ad essere estremamente economiche ed appetibili. A dirla tutta possono essere gestite da molte agenzie pubblicitarie senza bisogno di un esperto se non per l’individuazione dei prodotti giusti su cui investire.

Nel nostro ragionamento è molto più interessante una forma di integrazione che ha impatto sul gameplay grazie alla realizzazione di branded virtual goods.

Per chi non fosse pratico di social games e mondi virtuali, i virtual goods sono la riproduzione digitale di oggetti reali o di fantasia che vengono utilizzati dai giocatori per personalizzare il proprio avatar o progredire nella trama: spade, vestiario, oggetti decorativi e migliaia di altre sottocategorie che richiedono da parte dello sviluppatore un semplice lavoro grafico di creazione.  Così come nella vita reale vi sono oggetti virtuali no marca ed altri marchiati da brand noti. Solitamente hanno un prezzo da 0 a 3 euro e possono prendere il nome di Virtual Gifts nel caso in cui siano oggetti che un giocatore può regalare ad un altro.

Nel mese di Maggio il social game calcistico I AM PLAYR, prodotto dall’inglese WE R Interactive, ha ospitato una campagna marketing innovativa di Alfa Romeo. I giocatori che riescono a segnare 5 gol contro Danny Deans, capitano della squadra di River Park, sono premiati con una Alfa Romeo MiTo personalizzabile a piacimento grazie ad un apposito tool. A questa forma innovativa si accompagnano dei banner a bordo campo in puro stile in-game advertising.

Alfa Romeo MiTo nel social game I AM PLAYR

Capital One, colosso americano legato a banche e carte di credito, nei giorni scorsi ha lanciato una campagna gamificata sul social game Farmville di Zynga. Entrando nel gioco una pop up avvertiva dell’iniziativa ed inviata gli utenti a cliccare s “Mi Piace” nella pagina ufficiale facebook di Capital One. In cambio di questa attività i giocatori ottengono una statua visigota che, una volta apposta nella fattoria, era in grado di raddoppiare per una settimana i punti Mastery (utili per progredire più velocemente nel gioco). Parallelamente nel guardaroba sono stati inseriti due vestiti da contadino, uno maschile e uno femminile.

Capital One branded virtual good in Farmville

Campagne come queste, in cui vi è uno sforzo di creazione di branded virtual goods ed una loro integrazione in una cornice di gioco possono costare mediamente sui 50.000 euro, cifra estremamente indicativa. Una grande variabile è rappresentata dal tipo di gioco prescelto: estremamente popolare (mass market) o di nicchia ma ben associabile al prodotto da pubblicizzare. Nel secondo caso il costo può scendere sui 20/30.000 euro mentre nel primo arrivare anche fino ai 100.000.

E’ possibile spingersi oltre dando vita ad un connubio più profondo tra brand e social game. Non solo virtual goods offerti ma anche vere e proprie missioni o nuove location esplorabili direttamente afferibili al prodotto. In questi casi l’efford è maggiore e spesso vi è un connubio tra CPE e fee fisso che può arrivare anche a 150/200.000 euro.

Lo scorso 17 Maggio la popolare cantate Lady Gaga è sbarcata su Farmville per promuovere il nuovo album “Born This Way”.  Una area del gioco denominato Gagaville è stata adibita a fattoria della popstar, luogo in cui gli utenti possono entrare in contatto con virtual goods ad edizione limitata e con alcuni bravi inediti del nuovo disco da ascoltare in streaming. Parallelamente all’iniziativa in-game, è stata messa in vendita in alcune catene commerciali una Zynga Card dal valore di 25 dollari con la quale scaricare gratuitamente il nuovo album, un unicorno Lady Gaga esclusivo da utilizzare in Farmville e la chance di partecipare al blackstage di un tour.

Lady Gaga su Farmville

Esistono già un centinaio di case history documentate, alcune già correlate di metriche interessanti che sembrano confermare i possibili benefici nell’integrazione tra brand reali e giochi virtuali. Una case history concreta arriva dal film Disney Tron: Legacy recentemente promosso su NightClub City di Booyah. Nelle due settimane di promozione vi sono stati 120 milioni di minuti di brand engagement considerando: il numero di MI PIACE nella pagina del film, il numero di volte in cui è stato visto il trailer e il numero di volte in cui la colonna sonora del film è stata ascoltata nel juke box virtuale presente nel gioco.  Inoltre un totale di 3.1 milioni di virtual goods brandizzati sono stati consumati nei 15 giorni.

Nel prossimo articolo scoprire le dinamiche dell’integrazione pesante in questa corsa alla Gamification!

Esperti di Gamification – Bunchball

Fino ad oggi abbiamo analizzato una decina di case study focalizzate su prodotti e servizi concepiti sin dall’inizio con una struttura gamificata da NikeID a My Starbucks passando per 4Food. In tutti questi casi  il core business  si fonde intrinsecamente col paradigma della Gamification dando vita  ad una entità unica che richiede sforzi e capacità da parte del brand.

Per capitalizzare questo trend, sono nate e continuano  a nascere start up che ambiscono a gamificare attraverso l’utilizzo di piattaforme facilmente implementabili via API in siti internet, community e servizi online già esistente. Questo approccio ha l’indubbio vantaggio di standardizzare il modello di business, una volta creati i moduli è facile venderli a N clienti nei  settori più disparati. Il risultato finale è un core business sul quale si innesta un livello di Gamification, più o meno pesante a seconda dei moduli implementati in base agli obiettivi che il cliente intende raggiungere.

Meccaniche di gioco e comportamento umano

CHI E‘: Lo schema meccaniche/istinti umani è il modo migliore per introdurre la prima di una serie di società che andremo ad analizzare nell’ambito degli Esperti di Gamification. Bunchball nasce in Silicon Valley nel Febbraio 2005, molto prima del boom Gamification, con lo scopo di creare engagement, partecipation, loyalty e revenue per siti web terze parti.  Fondata da Rajat Paharia, ha ottenuto 6 milioni di dollari dagli investitori pur vivendo nell’ombra fino al 2010. In seguito il successo di social game come Farmville e l’hype intorno alla Gamification hanno dato una svolta alla compagnia. Ad oggi vanta numerosi clienti importanti come Warner Bros, Comcast, Victoria’s Secret PINK, USA Network, LiveOps e  Hasbro.

TECNOLOGIA: La piattaforma “Nitro”  aiuta siti web corporate e campagne pubblicitarie online a conseguire obiettivi concreti diversificati: gli utenti posteranno più video o commenti, daranno il consenso a comunicazioni via mail, condividere il contenuto via social network ed altri riassunti nell’immagine di cui sotto.

Cosa può fare la Gamification concretamenteA set of APIs for tracking user behavior and retrieving generated data (like leaderboards, newsfeeds, etc.). These can be accessed via REST, JavaScript, and Flash.

L’infrastruttura si fonda su tre assi portanti che richiedono da 1 giorno a 5 settimane a seconda di cosa si vuole implementare e dal tipo di applicazione che si intende gamificare:

  • Un set of Widget per embeddare funzionalità nel sito in maniera semplice e veloce. Vi è un un content management system per costruire avatar e ambienti virtuali, trofei ed altro. Tutto questo senza scrivere una riga di codice.
  • Un set di API per tracciare i comportamenti degli utenti salvando i dati generati (leaderboard, newsfeed…).Le Api sono accessibili via Reset, Javascript e Flash.
  • Un Admin UI da cui è possibile configurare l’installazione e generare reports. Ogni aspetto dei moduli implementati sarà modificabile dal cliente senza bisogno di assistenza da parte di Bunchball.

RISULTATI: L’implementazione dei moduli ha consentito il raggiungimento di alcuni risultati concreti:

  • 2X di aumento pagine viste
  • 60% aumento pagine viste per visita
  • 30% aumento visitatori unici
  • 100% tempo  speso sul sito
  • 400% ritorno sull’investimento.

Mediamente nel giro di 3 mesi il cliente ripaga il fee dovuto a Bunchball.Questo ecosistema sembrerebbe estremamente appetibile nel mondo dei siti dedicati al mondo televisivo/cinematografico dove Bunchball annovera numerosi clienti e case history.

Il microsito promozionale Chiquita per la campagna Rio

CASE STUDY: Tra i tanti, ho scelto una interessante campagna marketing lanciata da Chiquita. Il produttore di banane ha  affidato a Empower MediaMarketing (design e sviluppo del sito) e Bunchball (implementazione game mechanics)  la realizzazione di un web site promozione gamificato con lo scopo di creare engagement attorno al marchio sia per bambini che per i loro genitori.

Ne è nato un micro sito estremamente divertente e godibile col quale è possibile interagire per vincere premi come suonerie, buoni sconto per il cinema, rifornimenti di banane ed un viaggio a Rio de Janeiro.

Una volta registrati,  si possono ottenere dei virtual badge partecipando alle attività del sito. Nel momento in cui scrivo sono oltre 770.000 sono stati sbloccati dai partecipanti non solo per gratificazione psicologica ma anche per ambire ai vari premi. Infatti i premi rispondono ad una logica gamificata. Non basta, come nel passato, registrarsi e sperare ma si contribuisce alla propria sorte ottenendo il maggior numero di badge possibili. Infatti più se ne hanno e maggiori saranno le possibilità di vittoria di un premio via via migliore.

 

Osserviamo più da vicino le sezioni del portale tutte direttamente collecate all’unlock di badge

– VIDEO: Una serie di filmati relativi al mondo Chiquita e Rio

– GAMES: Una serie di 4 mini giochi flash tematizzati Chiquita e Rio: il clone di Bejewelled, Trova le Differenze, Puzzle ed il Memory

–  COLOR PAGE: Cinque artwork in bianco e nero da scaricare e poi colore comodamente a casa una volta stampati

– PRODUCTS: Un catalogo Chiquita sfogliabile

– RECIPIES: Una lista di ricette ottenibili partendo da prodotti Chiquita

Niente di rivoluzionario, sezioni comunemente presenti in molti siti a scopo marketing. Ciò che rende frenetica l’interazione è il desiderio di sbloccare badge la cui natura non è nota all’utente. Appare in alto un counter di 34 badge sbloccabili ma nessuno sa come, dove e quando questo avverrà. Vi anticipo che si guadagnano non solo esplorando ed utilizzando il sito ma anche condividendo i contenuti: Tasto I LIKE, funzione di share sociale e tweet.

Virtual Badge Passport

Infine vi è la sezione più caratteristica “Make Your Way to Rio”  in cui appare una mappa americana con 4 locations in cui il nostro uccello blu dovrà viaggiare per vincere i premi. Cliccando su ogni location si ottiene il dettaglio dei premi ottenibili, ad esempio il punto di partenza è Minneapolis che di default concede a tutti un buono sconto  di 3 dollari per l’acquisto di alcuni dvd e blu ray della Twentieth Century Fox e, ad estrazione, libri, colonna sonora e magliette legate al film.

In ultima istanza,  sulla sinistra, appare un newsfeed in real time…notare come akiraa (cioè io) ha sbloccato un paio di badge

Newsfeed in real time

Questo primo post aiuta a dimostrare come Gamification non sia solo buzzword e fuffa. I risultati concreti  iniziano a essere rappresentati da diverse case history dove il brand owner ha tratto concreto giovamento dall’ implementazione di game mechanics. Oltre 700.000 badge per un sito di per se’ tradizionale e con premi tutto sommato modesti rispetto ad altre iniziative (se si eccettua il viaggio a Rio, i restanti rewards sono tutti collegati al mondo Chiquita e Rio a sostanziale costo zero) è un risultato eccezionale.

 

 

 

 

 

Coca Cola loyalty program

L’evoluzione delle tecniche di customer loyalty e relationship sta spingendo sempre più corporation ad abbracciare una intersezione reale/virtuale per aggiungere una sana dose di appealing e fun oltre che aumentare l’engagement tra utente e brand. Dopo aver parlato di My Starbucks Reward, oggi analizziamo un’altro case study significativo offerto da Coca Cola.

Dal Febbraio 2006 è attivo in alcune nazioni (non l’Italia) il programma MyCoke Rewards. La struttura base prevede la submission del codice trovato sotto il tappo o nelle confezioni multiple dei drink Coca Cola (Sprite, Powerade, Nestea, per un totale di 15 brand) sullo specifico sito o mediante un sms contenente il codice da inviare ad uno short number. Questi codici vengono immediatamente convertiti dalla piattaforma in una moneta virtuale successivamente spendibile per ottenere dei rewards.

Coke Points

Il primo motivo di interesse arriva da una doppio sistema di Punti. Pur non trattandosi di una dual currency, tipica di giochi social, gli utenti possono guadagnare i Points da prodotto ed ExtraPoints da “challenges”. A dire la verità questa parte del programma è poco curata e nel momento in cui scrivono figurono solo due “challenges”, una legata ad un brand esterno ed una con funzione di socializzazione. E’ infatti possibile ottenere 10 punti extra per ogni nostro amico che invitiamo all’iscrizione una volta che quest’ultimo ha guadagnato almeno 50 punti.

Extra Points

Coca Cola ha imposto il limite di 120 punti base riscattabili settimanalmente al fine di prevenire gli utenti pirata in grado di forzare la piattaforma introducendo codici presi da bottiglie non consumate personalmente. Ogni 7 giorni il counter si resetta e sarà possibile continuare l’accumulo di punti all’interno del programma che si rigenera di anno in anno.

I punti, come già anticipato, sono utilizzabili per ottenere dei Rewards di varia natura suddividi in quattro macro-categorie:

Rewards: un vero e proprio catalogo di premi: oggettistica varia, buoni sconto, riviste

Sweepstakes: Una lotteria a cui si accede investendo pochissimi punti, anche uno solo. Si ha una chance di vincere premi importanti come iPod e viaggi. Interessante l’introduzione della meccanica di time limit, le promozioni hanno spesso una scadenza segnalata con una scritta di colore rosso con lo scopo di mettere pressione e senso di urgenza all’utenza.

Instant Win: L’equivalente dei nostri Gratta e Vinci, si investono pochi punti (max 6 nelle offerte correnti) e si viene notificati in tempo reale in caso di vittoria di biglietti per Disneyland piuttosto che per concerti.

MRC Point Plus: Un interessante sistema che consente di trasformare in soldi i punti da noi accomulati. Sostanzialmente vi sono una serie di oggetti acquistabili in parte con cash ed in parte riscattando punti. Ad esempio un telecomando tv il cui prezzo di listino è 9.99 dollari, ci viene proposto di acquistarlo con 33 Points + 3.99 dollari.

Points Tracker

Chiudo il post mostrandovi il pop up di gestione Punti. E’ correttamente ben indicato il saldo di punti attuale (0) e la deadline in cui scade il famoso blocco dei 120 a settimana. Poi appare una progress bar sotto forma di bottiglia che si riempie man mano che si accumulano Points con un bell’effetto grafico.

Sicuramente questo programma non vanta la profondità di Starbucks dove oltre a Points, challenges e Rewards compariva anche una progressione a Livelli e dei benefits di status come la Gold Card. Ad una semplificazione del game design corrispondono tre logiche peculiari:

ESTENSIONE MOBILE: E’ possibile inserire il codice prodotto direttamente via sms ad uno short number e attraverso il mobile sito appositamente creato. Strategia sempre più nodale in un’epoca in cui una crescente parte del traffico dati viene generato da smartphone, soprattutto in situazioni all’area aperta come quella tipica di una bevuta in un bar o al parco.

PRESSIONE TEMPORALE:  Si è già parlato di offerte con scadenza temporale ma è bene dire che dopo 90 giorni di inattività il proprio bilancio viene azzerato.  Una pressione psicologica notevole che sicuramente scoraggerà i light users

LOTTERIE E INSTANT WIN: Un’ottima idea è l’introduzione di “giochi d’azzardo” in grado di conferire una variante aggiuntiva al classico sistema di catalogo premi. Si possono effettuare 50 giocate al giorno dando vita ad un gioco nel gioco.

 

 

 

 

 

 

Come Starbucks “gioca” con i clienti

Nell’articolo di ieri si è delineata l’evoluzione delle tessere fedeltà  dagli esordi sul finire del 1700 alle  recenti evoluzioni rese possibili dall’introduzione di game mechanics all’interno di strutture consolidate. Oggi passeremo in rassegna una prima case history significativa in cui all’obiettivo primario della loyalty si è aggiunto il concetto di “engagement”, creare feeling e attrazione tra il programma di fidelizzazione e il consumatore.

 

MY STARBUCKS REWARD

Il 26 Dicembre  2009 la popolare catena americana di caffetterie Starbucks (assenti in Italia) ha lanciato il suo nuovo programma di punti e fedeltà denominato My Starbucks Reward. Capendo la necessità di evolvere il sistema tradizionale “Gold Card Membership Program”, i marketer della catena hanno abbracciato alcune nuove dinamiche con l’aiuto di game designer. E’ il caso di analizzare le novità introdotte ed anche la gestione della transazione da una struttura semplice ad una gamificata:

Strutturazione card tradizionale: Fino a fine 2009 Starbucks offriva ai suoi clienti più affezionati la possibilità di acquistare una card plastificata al prezzo di 25 dollari annui. Dopo averla intesta al proprio nome e cognome, si aveva diritto allo sconto del 10% su ogni prodotto acquistato, a  coupons promozionali ricevuti via posta con sconti e offerte su bevande e dolciumi oltre alla possibilità di aggiungere sciroppi gratuitamente. Sebbene il numero non sia mai stato diramato, si stimano alcune centinaia di migliaia di iscritti al programma.

Una struttura estremamente convenzionale e semplice, già adottata in italia da compagnie come TreniItalia per la sua CartaVerde, sottoscrivibile dai giovani fino a 26 anni in cambio di un fee annuale per ottenere uno sconto del 30% su alcune tipologie di treni. Il grande limite di operazioni loyalty come queste è la barriera d’ingresso del pagamento. Soltanto i consumatori pesanti di un servizio/prodotto vengono incentivai ad un upfront rispetto al quale godranno i benefici nei 12 mesi a venire. Un nuovo utente troverà penalizzante la somma richiesta a monte e nel corso del tempo non sarà incentivato ad entrare a far parte del “gioco”. Potremmo definirlo un rapporto puramente speculativo in cui l’utente effettua dei calcoli per capire se la cifra investita sarà ammortizzata e ripagata nel corso dell’anno o meno.

Switch da Gold Card a MyStarbucks Reward: La migrazione da una tessera fedeltà ad un’altra non è mai facile, si pongono problemi di gestione della precedente customer base e rapporto con gli utenti che andranno a iscriversi nella nuova fase. Starbucks ha inviato una comunicazione a tutti gli affiliati alla Gold Card offrendo il passaggio diretto al terzo livello Golf.

Le novità MyStarbucks Reward:

Passaggio da una struttura a pagamento ad una free. In tal modo chiunque può ottenere la card base ed entrare nel gioco in modalità “free to play”

Interazione fisica/online: La carte può essere comprata online o nei punti vendita. Dico comprata perchè è l’utente a scegliere che ricarica effettuare (da 5 a 20 dollari), soldi che serviranno per pagare velocemente alla cassa senza bisogno di cash. Nella pagina ufficiale vi è già un primo livello di Gamification dettato dalla “Personalizzazione”.  Abbiamo visto in precedenti blog post quanto importante sia a livello psicologico offrire possibilità di scelta all’utente alla stregua di quanto avviene nella pagina di customizzazione del proprio avatar. Selezionare un vestito, volto o serigrafia di una card a propria immagine e somiglianza aiuta  l’associazione tra la persona reale e l’oggetto fisico/digitale. A titolo di cronaca la carta può essere anche non fisica, ma digitale all’interno di una app iphone liberando l’utente dal doversela sempre portare dietro con se.

Game mechanics in My Starbucks Rewards

Punti: L’unità di punteggio prescelta sono le stars/stelle (Mario 64 docet). Ad ogni acquisto in cui si  passa in cassa la card o iPhone si ottiene una stella.

Livelli: Sono stati introdotti tre livelli. Iscrivendosi al “gioco” si entra id diritto nel “Welcome Level”. Per il level up si necessitano 5 stelle e si accede così al “Green Level”. Infine 30 stelle sono necessarie per raggiungere il terzo ed ultimo “Gold Level”. La gente ama progredire di livello in ogni ambito della vita (si pensi alle gerarchie militari o agli scatti di grado in ufficio) ed è quello che i game designer hanno applicato anche in ambito food & beverage. La regola base di game design legata alla progressione del livello di difficoltà  è stata anche ben applicata. Il passaggio dal livello 1 al 2 avviene dopo “soli” 5 punti, lo scatto da 2 a 3 richiede invece ben “25 punti” in una curva crescente di difficoltà.

Progress Bar: Nella parte alta dell’immagine si vede una barra, tipica espressione di game design. La barra di progresso aiuta il consumatore a capire immediatamente quanto manca al raggiungimento del prossimo obiettivo.

Strutturazione dei premi in base ai livelli raggiunti

Reward: Diligentemente i game designer hanno optato per dei reward basati sul livello di appartenenza. Iscrivendosi al programma ed in qualità di “Welcome Level” si ottiene una bevuta gratuita nel giorno del compleanno (dato inserito nel form di registrazione online della carta) e due ore gratis di Wi-Fi che altrimenti è a pagamento ad un paio di euro l’ora in media. Passando al Green Level i benefit aumentano con la possibilità di personalizzare il drink, possibilità di riempire la tazza (loro utilizzano tazze di carta in stile mac donald per la coca cola) una seconda volta gratuitamente con caffe e così via. Infine passando al Livello Gold si ottengono sia vantaggi materiali che psicologici. Fino ad ora i rewards non incidevano sostanzialmente sul bilancio Starbucks, trattandosi esclusivamente di piccole aggiunte (Wifi che utilizzato o non utilizzato è già a budget della catena) o regali per chi ha già pagato qualcosa (una seconda tazza dopo aver pagato la prima). Nell’ultimo livello si ottiene invece una bevuta gratis ogni quindici stelle, sostanzialmente 45-60-75 stars danno diritto ad una bevanda gratis a scelta. A questo vantaggio concreto se ne aggiunge uno psicologico, l’assegnazione di una Carta Gold Personalizzata che va a diventare un vero e proprio status symbol e segno di distinzione rispetto agli altri avventori. Se ne è già parlato di queste istanze psicologiche già ampiamente esplorate nel mondo delle carte di credito.

Come mia abitudine mi soffermo anche sui possibili miglioramenti e criticità lato game design. L’introduzione di punti, livelli, progress bar e reward rappresenta un passo avanti rispetto alle precedenti esperienze della catena americana. Il bacino di utenza si sarà probabilmente allargato da centinaia di migliaia ad oltre 1 milione di iscritti raggiungendo sicuramente uno dei primi obiettivi che la compagnia si è posta. Resta un grande punto interrogativo sulla strutturazione dei punti, dove 1 punto equivale ad un acquisto. Non viene minimamente presa in considerazione l’entità della somma spesa. Non sarebbe difficile introdurre delle “Missioni” che assegnano stelle extra a tutti coloro che spendono più di 10 dollari  in un giorno o 50 in un mese.

Manca inoltre una parte social che aiuti la condivisione del programma via Facebook o Twitter. Creare dei badge collegati alla viralizzazione sarebbe una idea di semplice fattibilità e consentirebbe una viralità amplificata.

 

 

Il gioco delle tessere fedeltà: Loyalty + Gamification

Sul finire del 1700 i primi intraprendenti negozianti capirono la necessità di offrire qualcosa in più agli acquirenti per convincerli a scegliere la propria bottega a scapito di quelle vicine sempre più numerose nel nuovo contesto di urbanizzazione progressiva.  La gente dal contado era solita recarsi periodicamente in città per acquistare tutti i beni necessari per la settimana (o a volte mese) ed un negozio valeva sostanzialmente l’altro per tipologia, quantità e prezzo delle merci. Nacquero in questo contesto storico le prime promozioni basate sull’idea di regalare una certa quantità di prodotto ogni tot acquistato.

In assenza di confezioni si era soliti acquistare 500 grammi di lenticchie piuttosto che 1 kg di zucchero. Per incentivare la fidelizzazione e di conseguenza i consumi, i negozianti proposero modelli del tipo “compra 1 kg di zucchero e 100 ti saranno regalati”. Una formula rivoluzionaria per l’epoca ed ancora oggi alla base di molte iniziative dal “compri tre e paghi 2” ai pacchi di Cereali con “200 gr di prodotto in regalo”.

La cosiddetta ratio del 10:1 aveva l’indubbio vantaggio di conferire una immediatezza economica alla promozione, chiunque era in grado di calcolare il risparmio ottenuto. Pur divenendo una pratica istantaneamente mass market, non vi era negozio che non la applicasse a qualche merce, il 10:1 è ancora oggi una politica “onerosa” per il consumatore finale che si vede obbligato ad acquistare grandi quantità di prodotto per aderire al programma di loyalty. Non tutti hanno necessità di acquistare 2 confezioni di caffè per averne una terza gratis ed il cannibalismo spesso porta a effetti negativi come l’arrivo a scadenza di un prodotto deperibile nel proprio frigo ed ancor peggio rappresenta una barriera di ingresso per coloro intenzionati a sperimentare per la prima volta quella marca. La prova diverrebbe troppo onerosa, una strategia quindi dai risvolti positivi per gli “hardcore spenders” e negativi per i “casual spenders”.

Nel 1793 un negoziante americano inventò la prima rudimentale formula di tessera a punti. Dei gettoni di rame venivano regalati agli avventori per poi poter essere collezionati e riscattati con merci in negozio. Da una fidelizzazione puramente monetaria ad una intangibile dove l’idea di premio/reward rimaneva intatta ma a patto di giocare con le regole imposte dal banco all’interno di una fidelizzazione di media/lunga durata.

Il primo esempio moderno di raccolta a punti arrivò nel 1930 con i bollini di Sperry & Hutchinson Green. Questa società americana produceva e vendeva dei bollini, dal taglio di 1, 10 e 50 punti, presso negozi e distributori di benzina. Questi esercizi li regalavano ai propri clienti sulla base dei dollari spesi con libero arbitrio sul tasso di cambio. Qualcuno poteva optare per 10 centesimi di dollaro= 1 punto, altri per 15 centesimi e di conseguenza si instaurò una concorrenza spietata. I clienti, a loro volta, dovevano inumidire il retro adesivo per incollarli su un apposito album distribuito gratuitamente da S&H. Ognuna delle 24 pagine presenti doveva contenere 50 punti per un totale di 1200 ad album, scopo ultimo riscattare i premi presenti nel catalogo consegnando via posta o in negozio il proprio album per ottenere un dato regalo contraddistinto da una specifica soglia di punti necessari. Una pletora di regali tra cui sceglie all’interno di un libro/catalogo che divenne per diversi anni la più grande pubblicazione edita in America.

Raccolta punti S&H Green Stamps

Il successo di questa ed altre iniziative similari sconvolse e mutò radicalmente le abitudini di spesa e vita dei cittadini anglosassoni. Dinamiche tipiche del gaming come la sfida e cooperazione vennero incentivate, molte famiglie allargate unirono gli sforzi pur di raggiungere il numero necessario di punti per l’agognato premio. Altri iniziarono ad acquistare più di quanto realmente servisse loro pur di primeggiare rispetto agli amici, meglio di me potranno raccontarlo le testimonianze dirette raccolte da un portale americano.

L’idea geniale alla base di quella rivoluzione copernicana fu l’introduzione di una virtual currency, una moneta virtuale oggi d’uso comune in numerosi videogiochi ma che allora contribuì a smaterializzare il valore del reward conferendogli un alone non più meramente economico ma di status symbol. La gente ragionava ormai in bollini, spesso dimenticando che quel premio avrebbero potuto comprarselo direttamente con tutti i soldi spesi per accumulare punti. Ma non importava, c’era il desiderio di raggiungere un obiettivo, un immenso gioco a cui si prestarono la maggior parte delle famiglie americane.

Recandoci oggi, 18 Maggio 2011, in un qualsiasi punto vendita della Grande Distribuzione è facile notare come questi sistemi risalenti al precedente millennio siano la base odierna delle strategia di fedeltà del consumatore. Un immobilismo di fondo che solo recentemente è stato sommariamente scartavetrato dall’impiego di game mechanics e dynamics all’interno del paradigma della Gamification.

La fedeltà di un consumatore (loyalty) è uno dei pilastri del marketing. Proprio le tessere punti (cibo, benzina, aerei…) rappresentano una delle forme meglio riuscite e conosciute di Gamification. Una contaminazione tra gaming e vita quotidiana  per promuobere la fidelizzazione di un utente ad un brand o punto vendita mediante il conferimento di extrinsic motivations o più banalmente premi. Non è un caso se oggi giorno le forme più avanzate di tessere fedeltà siano i Frequent Flyer Program,  ormai adottati da tutte le compagnie aeree americane per incentivare al volo i passeggeri. Invitandovi a leggere lo specifico post sul tema, vorrei solo segnalare che a partire dagli anni 80 figure di game designer hanno lavorato all’ottimizzazione ed evoluzione del classico paradigma punti/reward aggiungendo ulteriori layer di gamification come strutture a livelli, boss di fine livello, benefici psicologici ed altro ancora.

Il progressivo passaggio da un sistema fisico basato su tessere plastificate, scontrini e cataloghi cartacei ad uno digitale, seppur nel solco della tradizione (per ora non prendiamo in considerazione Foursquare e altri software che rappresentano un ulteriore gradino evolutivo) apre innumerevoli possibilità  di miglioramento dello status quo.

Schema di Gamification applicata alle tessere punti

Questa semplicissima schematizzazione proposta nel blog Loyalty Expert incorpora alcune tecniche base di Gamification:

1.  Virtual Points: L’online facilita la possibilità di check continuo del proprio punteggio, cosa non proprio agevole nei programmi solo fisici dove è possibile conoscere il saldo recandosi in negozio.

2. Progress Bar: Tecnica ampiamente sdoganata nel mondo dei social games, rappresenta un rinforzo mentale notevole per tenere traccia dell’obiettivo prossimo da conseguire. Una colorazione differente indica lo stato di completamento della barra fino al raggiungimento del numero di virtual points necessario per ottenere il regalo selezionato o il prossimo livello.

3. Levels: I livelli sono solo parzialmente usati nel mondo delle tessere fedeltà. Innestare una struttura di questo tipo aiuta a dare profondità all’esperienza e a creare un motivatore psicologico ulteriore in grado di creare loyalty ed engagement. Solitamente il passaggio al livello successivo non implica un costo reale all’azienza, ma aiuta il giocatore a sentirsi parte di una cerchia via via più ristretta, una elite che gode di vantaggi immateriali. L’esempio più vivo nella nostra mente è la strutturazione base, gold e platinum delle carte di credito. La Mastercard di turno non ha costi ulteriori nel creare una carta platinum con un planford maggiore, mentre il possessore ne ottiene uno status sociale x10 amplificato sfoderandola in un ristorante. Introdurre i livelli incoraggia il consumatore a spendere di più e più velocemente per progredire nel “gioco”.

4. Challenge  Personalizzata:  L’avvento del social graph consente alle piattaforme che utilizzano FB Connect di avere a disposizione una messa di dati personali formidabile. L’analisi del pregresso e i behaviour on site (leggi alcune tecniche) dovrebbero incoraggiare la creazione di CHALLENGE, sfide, personalizzate. Il mondo online consente questo tipo di flessibilità impensabile nel punto vendita: ad una donna divoratrice di libri appariranno offerte che daranno un extra punteggio se acquisterà un dato libro.

5. Leaderboard: Creare classifiche giornaliere/mensili/all time aiuta il senso di competizione ed offre uno strumento di gratificazione immediata e sociale per gli heavy users.

6. Extra Points: Come vedremo nell’articolo di domani basato su case history, alcuni sistemi di loyalty online hanno introdotto delle quest aggiuntive non direttamente riconducibili all’atto di acquisto. Condivisione con amici, completamento del proprio profilo ed altre azioni secondarie conferiscono punti extra.

7: Gratta e vinci: E’ già una tecnica sfruttata nel mondo fisico,  ogni 10 euro di spese un gratta e vinci che offre una chance di vincere immediatamente un premio o partecipare ad una estrazione finale. Una idea potrebbe essere quella di assegnare dei gratta e vinci digitali all’esecuzione di particolari combo

– Fai spesa per 3 giorni di fila

– Supera 50 euro di spesa 3 volte consecutive

L’imprevedibilità della vincita per fortuna stuzzica gli istinti umani e si rivela sempre un ottima aggiunta.

8. Status: L’avvento massivo di smartphones con geolocalizzazione e possibilità di scansione del codice a barra aprono la strada a interconnessioni tra visita nello store, acquisto e upgrade del proprio status.

Sono semplici spunti che le aziende interessate possono chiedermi di approfondire visitando la sezione Consulenze, in attesa dell’articolo di domani in cui vedremo attuazione concreta di alcuni di questi principi.

 

I media italiani parlano del libro “Gamification”

Per chi come me non è uno scrittore professionista, la pubblicazione di un’opera ha come principale obiettivo la diffusione delle proprie idee e l’inizio di un dibattito a cui far accedere il maggior numero possibile di individui. Il mio libro “Gamification – I Videogiochi nella Vita Quotidiana” sta ricevendo una buona circolazione sia in termini di copie vendute che di articoli direttamente o indirettamente incentrati su di esso e sui temi proposti nelle 221 pagine della versione cartacea.

Nell’ultima settimana vi sono stati due interessanti articoli promossi da un noto portale di marketing ed uno di videogiochi.

Nella recensione scritta da Gabriele Cazzulini su Cinema e Videogiochi, il libro ha convinto a tal punto da far dire all’autore:

“Gamification è un ricchissimo armamentario che permette di centrare due obiettivi. Uno: fare il punto, questa volta in italiano, senza bisogno di traduzioni tardive e conseguente sudditanza culturale, sull’universo videoludico al di là del momento ludico in sé. Cioè: riflettere sui videogiochi al di là del divertimento stesso. Cioè: fare cultura. Due: innescare una reazione neuronale a catena per ramificare questo poderoso libro all’interno di sentieri culturali che corrono tra cinema, letteratura, design, sociologia… ed è qui che nasce il bisogno-desiderio di una specie di Gamification II che esca dai confini videoludici, talvolta vissuti in modo troppo simile a un confortevole e protettivo ghetto, per allineare la cultura videoludica sullo stesso piano delle altre”

Questa descrizione mi ha reso felice non tanto per le belle parole spese quanto per la corrispondenza tra la filosofia di fondo che mi ha spinto a scrivere l’opera e la percezione positiva  che ne ha tratto il lettore/recensore (per inciso non ho mai visto Cazzulini in vita mia).

Di tenore diverso, invece, l’articolo proposto da Marketing Arena in relazione al libro sotto forma di una intervista al sottoscritto. Gamification è stato lo spunto su una chiacchierata su marketing e videogiochi, binomio sempre più in crescita ed in fermento.

 

Ci può segna­lare 3 nomi di pro­getti da seguire?

Uti­lizzo tre degli ultimi esempi spie­gati nel mio blog, diversi tra loro per dina­mi­che uti­liz­zate e obiet­tivi finali. Nel primo caso un gioco b2c a scopo di alfa­be­tiz­za­zione, nel secondo una piat­ta­forma gami­fi­cata b2b per miglio­rare l’efficienza lavo­ra­tiva di un ente pub­blico ed infine il gaming por­tato all’interno del mondo food & beve­rage tradizionale.

  • Il pro­blema di come “istruire” gli utenti all’utilizzo di soft­ware com­plessi è da sem­pre nei pen­sieri delle ditte pro­dut­trici. Le varie solu­zioni intro­dotte, dalla clas­sica FAQS a forme più dina­mi­che ed inte­rat­tive, hanno quasi sem­pre fal­lito il com­pito offrendo una guida mono-direzionale scar­sa­mente uti­liz­zata e sin­ce­ra­mente poco appea­ling. Adesso dispo­ni­bile nella ver­sione 2.0, Rib­bon Hero è un “gioco” che si installa auto­ma­ti­ca­mente su Office (30 MB ed uni­ca­mente in lin­gua inglese) dando vita ad una forma del tutto nuova di e-learning. La trama ha come pro­ta­go­ni­sta la redi­viva graf­fetta Clippy (la ricor­de­rete come tutor ani­mato…) sbal­zata nel corso della sto­ria da una mac­china del tempo impaz­zita. Ogni epoca si com­pone di obiet­tivi e mis­sioni da com­ple­tare per pas­sare al livello suc­ces­sivo. I task asse­gnati si basano sullo svol­gi­mento di com­piti su Excel, Power Point, One Note e Word come ad esem­pio cam­biare font di un para­grafo o inse­rire par­ti­co­lari effetti in una slide. Ad ogni azione cor­retta cor­ri­sponde un deter­mi­nato pun­teg­gio che sarà con­fron­ta­bile con quello di amici, col­le­ghi o com­pa­gni di corso in un mec­ca­ni­smo lea­der­board based.
  • Sem­pre più enti pub­blici ed isti­tu­zioni stanno abbrac­ciando i para­digmi della Gami­fi­ca­tion per creare ser­vizi appea­ling per il pub­blico o miglio­rare l’organizzazione interna del lavoro. Un ottimo esem­pio arriva dall’Inghilterra e pre­ci­sa­mente dal “Depart­ment of Work and Pen­sions”. Idea Street è una piat­ta­forma online nata con lo scopo prin­ci­pale di favo­rire la cir­co­la­zione di nuove idee tra gli impie­gati dell’agenzia creando le pre­messe per una con­ti­nua col­la­bo­ra­zione di idee even­tual­mente imple­men­ta­bili anche nel day by day. Dopo 18 mesi di vita, Idea Street ha visto l’adesione di 4000 lavo­ra­tori, la genesi di 1400 idee e di que­ste 63 hanno tro­vato attua­zione pra­tica nel Dipar­ti­mento. Per quanto ci riguarda è inte­res­sante l’introduzione di mec­ca­ni­che gaming per ren­dere più enga­ge­ment e diver­tente il pro­cesso di crea­zione e con­di­vi­sione: moneta vir­tuale, punti, clas­si­fica, com­mu­nity diven­tano stru­menti di facile uso e com­pren­sione anche per un pub­blico pro­ba­bil­mente estra­neo ai videogiochi.
  • La catena ame­ri­cana 4Food ha aperto i bat­tenti la scorsa Estate intro­du­cendo dina­mi­che ludi­che all’interno di un busi­ness fisico e tra­di­zio­nale come quello dei Fast Food. Dal sito inter­net è pos­si­bile non solo ordi­nare ma anche creare il pro­prio panino per­so­na­liz­zan­dolo secondo molti para­me­tri (ingre­diente prin­ci­pale, secon­da­rio, tipo­lo­gia di pane, forma) e dan­do­gli addi­rit­tura un nome. Que­sta ope­ra­zione, sti­liz­zata alla stre­gua della custo­miz­za­zione di un per­so­nag­gio da gioco di ruolo, ha dei risvolti pra­tici. Recan­dosi nel punto ven­dita fisico per riti­rare il panino dise­gnato si potrà vedere il pro­prio nome in una tabella lumi­nosa ben visi­bile dove appare la clas­si­fica dei panini più acqui­stati nella set­ti­mana. I crea­tori otter­ranno delle royalty (un tot. di cen­te­simi) per ogni modello del pro­prio panino ven­duto tra­sfor­mando il sem­plice atto di ordi­nare e acqui­stare un panino in un immenso gioco dove reward psi­co­lo­gici (essere ai primi posti in clas­si­fica) e mate­riali (royalty) con­cor­rono alla fide­liz­za­zione dell’utente e alla vira­lità dell’iniziativa, in quanto ognuno è spinto a con­di­vi­dere via social net­work le pro­prie creazioni.

 

 

I videogiochi al servizio del marketing

Nei prossimi giorni andrà online una mia intervista su MarketingArena.it, portale dedicato alla tematica del marketing declinata nell’ottica delle nuove opportunità offerte dalle evoluzioni dei media. Il rapporto tra l’industria dei videogiochi e la comunicazione/promozione è destinato ad intrecciarsi sempre più e sarà nodale per brand owner, centri media e media agency cogliere le opportunità offerte dalle piattaforme digitali (social games, smartphones games, tv games) e dalle nuove tecniche come la Gamification.

 

Quali vantaggi traggono le aziende nell’utilizzare gaming, o parti di esso, nelle proprie attività marketing e non?

Per rispondere alla domanda è necessario dare una idea della pervasività dei videogiochi oggi. Nel 2010 in Italia il  43,5% delle famiglie possedeva almeno una console da gioco con un fatturato nel solo canale retail di oltre 1.1 miliardi di euro (fonte AESVI). Nel mondo sono oltre 500 milioni le persone che attualmente video giocano, un rapporto simbiotico specialmente nella fascia d’età under 18 dove il 90% dei ragazzi americani si diletta con questa forma di intrattenimento arrivando a spendere una media di 5 ore a settimana. Ma già da anni non è più solo la G Generation (generazione nata dopo il 1990) a essere il target di riferimento, l’avvento dei giochi su Facebook e Smartphone ha contribuito ad un allargamento del bacino. Il magazine scientifico americano Cyberpsychology, Behaviour and Social Networking riporta che nel 2009 circa il 61% dei CEO, CFO ed altri senior executives intervistati si concede una breve pausa gaming giornaliera per staccare dal lavoro. Molti non sanno che l’utente principale di giochi su Facebook (un mercato da oltre 200 milioni di giocatori mensili) è una donna, spesso mamma, sui 43 anni o ancora che tra i servizi più utilizzati su BlackBerry, smartphones per loro natura business oriented, i giochi occupano il secondo posto.

Il lungo preambolo aiuta a capire perché sempre più aziende ed istituzioni stanno abbracciando concetti come “advergames”, “serious games” ed il più recente “Gamification” – utilizzo di meccaniche e dinamiche gaming all’interno di contesti non video ludici – per perseguire i propri obiettivi.

I vantaggi elencati in ordine sparso sono:

TARGET: Centinaia di milioni di individui già avvezzi alle meccaniche e dinamiche dei videogiochi, buona parte dei quali è gaming addicted.

MOTIVAZIONE: Un bravo game designer è in grado di far leva sugli istinti umani: cooperazione, sfida, competizione, orgoglio, auto espressione, gioia,  socializzazione. Sentimenti e abitudini che possono essere rafforzati/modificati in linea con gli obiettivi del progetto.

METRICHE: In tempo reale ogni comportamento dell’utente può essere monitorato e tracciato ottenendo dati quantitativi e qualitativi. Il vantaggio di una siffatta analisi, all’interno di un advergame o gamification è la possibilità di creare azioni “data driven”. Se ci accorgiamo che solo il 5% degli utenti effettua il Level Up dal primo al secondo livello potremo intervenire in tempo reale per abbassare la curva di difficoltà o al contrario se troppi utenti passano al livello successivo lo si renderà più complesso onde evitare una veloce saturazione dell’esperienza.

ENGAGEMENT: Sia che si implementi il gaming per una campagna marketing sia per rinforzare il proprio core business (sia fisico che digitale), le game mechanics offrono una esperienza unica di interazione tra brand owner ed utente. In questi casi sarebbe meglio parlare di utente/giocatore, una fruizione attiva che consente di sentirsi parte integrante del meccanismo pur all’interno degli obiettivi individuati dal proprietario della piattaforma.

L’agenzia immobiliare americana Century 21 ha lanciato una campagna branded virtual goods su My City, social mobile gaming disponibile su iPhone by Ngmoco

Quali sono gli ingredienti per un gioco virale?

A partire dal 2007 Facebook ha aperto la propria piattaforma a sviluppatori esterni per realizzare ogni tipo di applicazione sfruttando le proprie API proprietarie. I giochi, ad oggi, rappresentano la categoria numero uno per quantità di titoli e fatturato generato mediante un business model basato su “virtual goods e currency”.  Proprio la viralità ha spinto numerose aziende ad abbracciare questa piattaforma (direttamente o indirettamente via Facebook Connect); una statistica largamente condivisa indica mediamente in x7 il coefficiente di viralità di un social game rispetto ad uno online. La miglior case history è rappresentata da Farmville, top social game di Zynga forte di 60 milioni di utenti mensili e ben 20 milioni giornalieri costanti da oltre due anni. Gli sviluppatori hanno fatto ampio uso di:

VIRTUAL GIFT: Entrando nel gioco lo schermo mostra subito una lunga lista di regali da inviare ad amici non ancora attivi. Regalare è uno dei gesti connaturati nella natura umana perché fa leva sull’istinto della reciprocità. Chi regala si sente di aver compiuto un gesto positivo e chi riceve è si sente in “dovere” di ricambiare. Come nella vita reale, durante le festività si ricevono regali da persone con cui non si è mai in contatto, ma l’onore e il buon senso ci spingono a ricambiarlo anche se controvoglia. Uno strumento di marketing virale eccezione, il giocatore è spinto ad invitare più amici possibili e ad effettuare il maggior numero possibile di regali giornalieri per velocizzare la crescita della propria fattoria.

COOPERATION: Sviluppatori come Zynga hanno capito l’importanza di render possibile una interazione positiva fra i giocatori. In Farmville si rivela fondamentale avere il maggior numero possibile di vicini di fattoria al fine di progredire nell’esperienza di gioco e trarre giovamento dal loro intervento durante la nostra assenza. Un buon vicino potrà venire a fertilizzarci il campo o aiutarci nel raccolto. Un circolo vizioso che ci spinge a mandare inviti a più gente possibile!

REAL TIME FEEDBACK: Molti giochi Facebook utilizzano una tecnica di “tutorial” perenne che accompagna ogni azione del giocatore. Una serie di frecce ed icone illuminate indicano passo dopo passo l’azione da compere a cui seguirà un premio sia tangibile (virtual goods o level up) o psicologico, quasi sempre un pop up testuale in cui il sistema si complimenta con l’utente invitandolo a condividere il traguardo raggiunto con tutti i propri amici. Questo è il “Wall Post”, quei messaggi che riempiono molte bacheche spesso eccedendo e causando l’avversione al prodotto (ma è proprio compito del game designer bilanciare). Giochi ben strutturati riescono a produrre una mole enorme di questi flussi in bacheca (nota bene: vi è un rapporto tra utenti e stream da non superarsi altrimenti si rischia la chiusura immediata dell’app..) che sono immediatamente visibili  a tutta la propria lista di amici, un aiuto incredibile alla viralità. A loro volta questi Wall Post possono essere statici oppure offrire un incentivo a coloro che vi cliccheranno. Ad esempio in Farmville  uno dei messaggi classici era relativo alla scomparsa di un animale dalla fattoria e cliccando un nostro amico avrebbe potuto adottarlo a mo’ di reward per aver cliccato.