Le elezioni americane si avvicinano e tra le molte iniziative ci aspettavamo sicuramente qualche idea potenziata dalla gamification.
Trump è da sempre concentrato sull’ambito social ed ora va alla carica con la nuova app T2020 che trovate su google e su apple store.
Applicare la gamification alla propaganda è un concetto che non dovrebbe risultare innovativo. Nell’ormai lontano 2011, Fabio Viola scrisse un lungo articolo sull’intersezione possibile tra politica e coinvolgimento segnalando i primissimi casi provenienti dal mondo anglosassone e le possibilità di farne una tecnica di marketing politico anche in Italia.
Come funziona
L’app fornisce accesso a video tutorial che spiegano come diventare un attivista digitale, come organizzare incontri con gli amici a sfondo propagandistico, come diventare un bundler (attrattore di fondi per la causa).
La app usata dal team di Trump utilizza un sistema a punti: si ottengono punti se condividi i tweet del presidente, più punti se condividi la app.
Quando l’utente accumula 5000 punti puo utilizzarli nello shop online della campagna di Trump, che comprende prodotti ma anche accessi vip alle manifestazioni presidenziali; per i fanatici sostenitori, arrivare a 100mila significa un invito a fare una foto con il presidente!
La gamification rende più serene le persone sospettose e più attive quelle favorevoli
L’efficacia di questo sistema, che a noi può apparire ancora un pò alieno, è basata sul coinvolgimento attivo dei sostenitori, che vivono l’impressione di essere un membro del team. Che sia effettivamente così o no è difficile giustificarlo, ma anche ammesso che il numero di nuovi adepti cresca in modo trascurabile grazie alla app, è garantito che si moltiplichino le view dei messaggi del presidente.
Ci sono aspetti “sommersi” non così evidenti ed altrettanto importanti: uno è l’accesso ai numeri dei contatti sui cellulari (previo autorizzazione dell’utente) che permette di creare una mappatura degli influencer più efficaci e quindi meritevoli di attenzione. Un altro concetto che viene veicolato è il microtargeting: comprendere tramite informazioni condivise (i social con cui ti sei loggato, la profilazione, i tempi di risposta ai banner) quali siano gli argomenti di maggiore interesse e su cui quindi preparare dichiarazioni del presidente.
Un aspetto molto delicato che emerge dall’analisi di questo prodotto è quello etico: è corretto proporre uno strumento che studia le convinzioni degli elettori al fine di dire al candidato “cosa è meglio” dire alle persone? Non si tratta di un vero e proprio inganno? Per il team del presidente non lo è in quanto sono gli stessi utenti a dare le informazioni e accettare questo veicolo elettorale.
E’ una strada che Trump ha iniziato già nei tempi delle prime elezioni e che diverrà un punto fermo negli anni a venire, perché il tam tam social è molto più veloce, ed anche meno dispendioso rispetto alle convention tradizionali. Il coronavirus ha evidentemente accelerato l’adozione di questo metodo.
Stiamo quindi correndo verso uno scenario alla Max Headroom?
I numeri social di Trump stanno dando ragione alla sua decisione di gamificare la campagna, visto che supera in follower il rivale Biden di 13 a 1; quello che non viene spiegato opportunamente è quanti di questi follower sia in realtà delgi haters.
In conclusione, e indipendentemente dall’efficacia del processo di gamificazione della campagna condotta da Trump, che comunque appare indiscutibile, possiamo dire che il matrimonio fra gamification e politica è stato celebrato e inevitabilmente prenderà piede anche altrove ed in paesi digitalmente arretrati come l’Italia. Un’ ennesima battaglia vinta possiamo affermare.
A cura di Valter Prette