Teoria

Le Origini della Gamification

E’ sempre più facile imbattersi nel vocabolo gamification. Seppure ancora considerato un fenomeno sperimentale in molti ambiti accademici o istituzionali, è ormai ingiustificabile ignorarlo quale che sia lo scopo per cui si intenda avvalersi del gioco nel proprio contesto aziendale o sicale.

Un aspetto sorprendente del fenomeno gamification è il suo aver appena compiuto i primi dieci anni di vita “ufficiali”, almeno da quando il termine iniziò a circolare su Google ad inizi 2010. Una disciplina quindi giovanissima ed un vocabolo da poco entrato nel lessico quotidiano e delle aziende. 

storia della gamification

Parlare di gioco, coinvolgimento, storydoing, punteggi, missioni, badge suonava non solo strano ma spesso controproducente nelle aziende. La cultura dominante era il totale distacco rispetto al gioco percepito come una attività da relegare ai più piccoli, una attività poco serie in contrasto agli obiettivi di business serissimi che una azienda si dava.

Quando è iniziato allora il grande cambiamento? Chi ha i meriti di aver affrontato lo status quo cercando di far germogliare la gamification (che ancora ovviamente non si chiamava così).

Con la dovuta umiltà introduciamo in questo articolo gli spunti storici che possono aiutare chi si avvicina a questo fenomeno a comprenderne l’evoluzione.

Il primo testo di riferimento che ha formulato una descrizione ampia del concetto di coinvolgimento dello studente nel percorso conoscitivo mediante la motivazione è probabilmente Thomas Malone, con il suo libro “What Make Thing Fun to Learn” pubblicato al MIT nel 1980.

Thomas Malone libro engagement

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Malone, con un approccio puramente scientifico e, se vogliamo, solo speculativo propose la domanda sul perchè i giochi per computer, in grande crescita in quel periodo (è l’anno in cui Atari invade i salotti con il suo VCS), attirino le persone con tanta facilità.

Il passo successivo del suo studio cerca di proporre degli spunti per sfruttare l’efficacia del videogioco a fini educativi, come supporto allo studio indipendentemente dalla materia affrontata.
Si parla insomma di meccaniche ludiche informatiche, allo scopo di classificarle e riutilizzarle come principi generici.

Lo spunto di Malone non rimarrà inascoltato in ambito universitario, propiziando commenti ed interventi di altri teorizzatori sull’onda del fascino dilagante dell’idea di computer come “compagno dell’uomo”.

La Human Computer Interaction è il primo ambito semi industrializzato in cui queste teorie trovano applicazione, nel tentativo di sostituire i criptici listati comprensibili solo a programmatori, con interfacce visive, almeno minimamente intuitive, in cui l’utente può immedesimarsi: sono state poste le basi del concetto di avatar.

interaction design gamification

 

 

 

In questa decade il governo americano spingerà molto la sperimentazione scolastica introducendo giochi come supporto ad attività studentesche.

E’ il caso di Math Blaster, creato dall’educatore Jan Davidson nel 1983 per offrire sfide in forma di gioco arcade che esercitassero le capacità matematiche. Lo schermo propone problemi matematici di vario livello e il giocatore deve sparare sulle risposte corrette. Un editor permetteva agli insegnanti di rielaborare i quesiti.

Oggi Math Blaster appare un concetto infantile e basilare, ma allora fu rivoluzionario, tanto da attirare, che ci rediate o no, molte più critiche che elogi da parte di tutto l’establishment educativo che voleva vedere in un gioco solo la futilità e la ripetitività, cieco ai concetti di engagement, divertimento e riconoscimento immediato del risultato (cosa inaudita per professori che gestivano le correzioni e l’attesa dell’esposizione dei voti come un’imprescindibile imposizione di ansia, timore reverenziale e autorità).

Praticamente il potere intoccabile e la figura distante e seria dell’insegnante veniva scardinata da un “futile gioco”.

 

 

 

Stiamo vivendo l’infanzia di una rivoluzione che lentamente dovrà evolvere introducendo concetti più maturi quali lo storytelling, poi visto nel seguito di Math Blaster ed in altri videogiochi basati sul ragionamento e la logica.

Nel 1985 Chris Crawford realizza su Macintosh e successivamente computer Amiga il grande classico Balance of Power, costringendo una parte della comunità di giornalisti e scrittori “impegnati” a interrogarsi su come il videogioco possa essere uno strumento molto più veloce e coinvolgente per l’utente attraverso il concetto di storytelling vissuto e quindi modificato attivamente, anzichè sequenziale tipico dei libri di testo.

 

 

 

 

Negli anni 2000 possiamo individuare l’inizio dell’applicazione della gamification ad ambiti socio culturali estesi e non più solamente speculativi.

Le prime attestazioni del termine gamification risalgono al 2002 stando ad un commento web pubblicato da Nick Pelling. Il programmatore di videogiochi inglese, con all’attivo decine di titoli dal Commodore 64 alla Pla-ystation 2, rivendica la primogenitura del termine e Wikipedia sembra accordargli tale titolo sebbene postdatando al 2004. Si rimanda al nostro articolo Storia della Gamification per approfondimenti.

Si ricorda per esempio l’associazione Games for Change introdurre nei giochi informazioni sugli aspetti sociali e culturali dei conflitti bellici.
Alla fine del millennio è matura ormai l’introduzione della gamification in ambito aziendale tramite punteggi e badges, grazie ai pionieri di Bunchball, che offrono soluzioni di training aziendale motivazionale.

Internet alle soglie del decennio attuale avrà il compito di esplodere la discussione su questi metodi grazie alla sua viralità, soprattutto con la storica conferenza tenuta dal game designer Jesse Schell al DICE (Design Innovate Communicate Entertain)  2010 che sdogana la pointification da cui poi nascerà una scienza più compiuta che prende il nome di gamification. 

 

Nel 2011 a San Francisco si tiene il primo Gamification Summit e lo Oxford Dictionary dovrà prendere atto ed aggiungere Gamification nei neologismi del 2013.

In Italia è il game designer Fabio Viola ad introdurre il termine dedicandovi il primo libro italiano sul tema, Gamification – I Videogiochi nella Vita Quotidiana ed inaugurando il blog Gameifications.com entrambi nel 2011.
Tutto il resto non è più storia ma attualità.

Ci sono naturalmente molte applicazioni e molti studiosi non citati in questo articolo che hanno dato un fondamentale contributo all’evolversi di questo fenomeno, ma i limiti evidenti di questo contesto ci impongono di ricordare come abbiamo voluto solo fornirvi degli spunti storici per incentivare la vostra curiosità e stimolarvi, se vorrete, a commentare voi stessi errori o dimenticanze con altre citazioni in commento in questo blog.




Video: Videogiochi e Gamification con Fabio Viola

Una lunga chiacchierata su Twitch tra il gamification e game designer Fabio Viola e Massimiliano Dona, Presidente dell’Unione Nazionale Consumatori.

Fabio Viola al Premio Dona 2016

CREATOR: gd-jpeg v1.0 (using IJG JPEG v62), quality = 100

Il tema al centro del format Beyond Consumers è stato, ovviamente, il mondo del gaming e della gamification ed i loro impatti positivi (con raccomandazioni sugli abusi) nella vita di 60 milioni di italiani. Nei trenta minuti di dialogo si è parlato di come giocare sia sinonimo di imparare, della gamification come leva di innovazione ed in generale del coinvolgimento come motore economico del XXI secolo. 

“Se dovessi scegliere il mio Primo Ministro del futuro sarebbe qualcuno con una cartella “ludica”  ricca qualitativamente e quantitativamente, il gioco in tutte le sue forme aiuta a sviluppare numerose skill sociali e cognitive”.

Non sono mancati consigli su come impostare correttamente il rapporto col videogioco seguendo le disposizioni PEGI e le raccomandazioni degli psicologi mondiali sulla durata del tempo a schermo.

 

Master in Teoria, Design ed Applicazioni della Gamification a Tor Vergata

E’ stato un percorso lungo, ma finalmente posso ufficializzare la nascita del “Master in Teoria, Design ed Applicazioni della Gamification” promosso dall’Università di Tor Vergata a Roma in partnership con DigitalFun s.r.l. ( n.b. società di cui sono tra i fondatori) e l’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche (ISIA). Finalmente l’Italia accademica è al passo coi tempi, lanciando un master legale di II Livello primo in Italia ed in linea con le recenti attività formative del mondo anglosassone e di paesi vicini come la Spagna.
Tutto nacque da un incontro casuale col professore Carlo Giovannella di Tor Vergata a margine di un mio speech alla “Smart City Exhibition di Bologna” e da lì l’idea di progettare e proporre al Senato Accademico il sopracitato corso. Me medesimo, Fabio Viola, sarà uno dei docenti del Master e membro del Comitato Scientifico.
l settore della ‘gamification’ ovvero dell’applicazione delle tecniche di gioco all’interno di ambiti non ludici è in rapida crescita e offrirà grandi opportunità di lavoro nel prossimo futuro. Si prevede, infatti, che per la fine del 2014 più del 70% delle 2000 più grandi compagine utilizzerà tale approccio e rilascerà almeno una applicazione basata sulla ‘gamification’, anche per rendere meno noioso il lavoro dei propri dipendenti. La gamification, inoltre, è strategia che sta assumendo sempre maggiore considerazione anche in ambiti altri, non strettamente legati al mercato, come quello dell’erogazione dei servizi sociali e più in generale dei servizi al cittadino, della salute, della preservazione dell’ambiente e della trasformazione dello spazio urbano. Non a caso il mercato della ‘gamification’ ha raggiunto quasi mezzo miliardo di euro e le previsioni sono per una rapida crescita che lo porterà sino ad almeno 4 miliardi annui entro il 2018.

Il 1° master con titolo legale sulla Gamification lanciato dallUniversità Tor Vergata di Roma

Il 1° master con titolo legale sulla Gamification lanciato dallUniversità Tor Vergata di Roma

Essere i primi in Italia con un titolo legale così innovativo aprirà interessanti opportunità di lavoro. Già oggi in molti annunci collegati a figure professionali di product management, innovation, HR ed engagement tra le skills richieste vi è spesso la gamification. Iniziano inoltre ad essere numerose aziende ed enti pubblici, soprattutto all’estero ma anche in Italia, che richiedono espressamente degli “Engagement Director”.

Grazie ad una condivisione della linea formativa, si è deciso di dar vita ad un percorso estremamente pratico e professionalizante in cui gli studenti impareranno concretamente a gestire un progetto dall’ideazione alla messa sul mercato. Saranno fornite tutte le competenze per utilizzare le tecniche di gamification design, realizzare un gamifcation design document, realizzare mock ups e coordinare un team di lavoro. Ben 400 ore saranno di attività laboratoriali durante le quali gli studenti potranno selezionare un settore e svilupparlo sotto la guida di esperti di disciplina fino ad arrivare ad un project work finale.

Il bando completo uscirà a Settembre, ma è già possibile trovare informazioni ed iscriversi sul sito ufficiale del Master.


Personalmente sono commosso ed emozionato, è la fine di un ciclo progettuale che iniziai nel 2010 scrivendo il libro “Gamification – I Videogiochi nella Vita Quotidiana” e dando vita al blog www.gameifications.com. Sono stati anni entusiasmanti, tanti progetti e attività divulgativa superando anche le resistenze di una certa parte di industria tradizionale dei videogiochi che da sempre vede di cattivo occhio l’allargamento del perimetro di azione.

La lenta agonia della game industry tradizionale

Sono totalmente eccitato dall’evoluzione che il mercato del gaming sta vivendo in questi anni ad un ritmo serrato. Inizio il ragionamento facendo leva sugli ultimi dati, rilasciati da NPS, sull’andamento del mercato dei videogiochi “fisici” in USA nel mese di Maggio. Il fatturato realizzato da hardware, software e accessori è crollato del 28% a $516.5 milioni continuando il trend negativo di tutto il 2012. Il mercato dei giochi pacchettizzati è destinato a scomparire da qui al 2020 e a nulla serviranno gli sforzi delle grandi manifatture Sony, Microsoft e Nintendo pronte a rilasciare l’ottava generazione di console entro il 2013. Per chi fosse interessato alle cause di questo veloce declino può acquistare il mio libro “Gamification – I Videogiochi nella Vita Quotidiana” o consultare questo articolo.

Un quadro riepilogativo sul tema lo offre Statista con una dirompente infografica. Il mercato dei videogiochi è cresciuto, quasi ininterrottamente, dagli anni 90 fino al 2008 poi accade qualcosa. Badate bene, quella data non è casuale e non va semplicisticamente correlata alla crisi economica mondiale. Il 2008 è l’anno in cui assurgono agli onori della cronaca una intera generazione di nuovi store digitali dove gli sviluppatori possono vendere liberamente e con alti margini i propri videogiochi. Parlo di piattaforme come Facebook, App Store di Apple o ancora l’attuale Google Play che sdoganano anche in occidente il gaming digitale fino ad allora componente minoritaria sia da un punto di vista delle revenues che di partecipazione dell’utenza. Da 2008 ad oggi inizia un profondo calo dell’industria dei videogiochi tradizionali che culminerà nel 2012 riportandola indietro di 6-7 anni, ai livelli di fatturato del 2005/2006.

La decrescita dell’industria fisica è percentualmente bilanciata dalla grande crescita della controparte digitale ma, purtroppo, lo stesso non si può dire sull’intera torta delle revenues. Ogni copia di un gioco PS3 non venduta equivale a 60-70 euro di introiti mancanti che al momento non sono rimpiazzati da 100 download da 0.79 su App Store.

 

Infografica di Statista sulla transizione del mercato videoludico

L’infografica mette in luce anche un altro aspetto fondamentale. Il mondo console e PC pacchettizzato sta perdendo interamente la fetta di utenza casual sempre più propensa a giocare su tablet, smartphone o social dove trova una maggiore scelta a prezzi molto inferiori. Restare chiusi nella “nicchia” hardcore, per quanto alto spendente essa sia, significa auto decretare la propria morte vanificando il pur pregevole tentativo che Nintendo fece nel 2006 lanciando il Nintendo Wii. Anche qui non è casuale la crescita impetuosa che si ebbe nel biennio 2006-2008 coincidente proprio col lancio del nuovo hardware motion control based della azienda giapponese. Tutto era stato pensato per cooptare nel gaming tradizionale milioni di invididui estranei alle logiche di pad e sparatutto ma pronti a condividere socialmente esperienze di gioco come Wii Sports piuttosto che Wii Fitness.

L’unica speranza (solo per prolungare l’agonia N.B.) sembra arrivare ancora una volta da Nintendo con la console di prossima uscita entro fine anno Wii U.


Questo gioco, non certo casual, mostra alcune possibili applicazioni del nuovo controller venduto in bundle con la console. Una sorta di tablet che offre un secondo schermo, touch ed analogico, in grado di differenziare pesantemente l’esperienza di gioco rispetto agli altri players coinvolti con il controller “tradizionale” già avisto nella precedente console. Ancora maggiori potrebbero essere le possibilità offerte nell’ambito delle sfide casalinghe attraverso l’ “Asymmetrical Multiplayer“. In tutti quei giochi dove sussistono ruoli diversi, è possibile suddividere l’esperienza di gioco in base al controller che si maneggia. In una caccia la tesoro il tablet consentirà ad un player di dislocare gli oggetti senza esser visto dagli altri, nell’acchiappa bandiera si occuperà di gestire il fazzoletto bianco o ancora in un gioco calcistico potrà svolgere il ruolo dell’arbitro. Tutto questo non sarebbe mai stato possibile senza l’introduzione di un “second screen” che consente di dar vita a variazioni di gameplay ampliando il divertimento ed il ciclo di vita dell’esperienza multiplayer domestica.

Social Network Enterpise Gamification Whitepaper

E’ la prima volta che una azienda rende pubblici dei dati comparativi riguardanti un social network enterprise in cui un massivo A:B test ha diviso la customer base di circa 400.000 utenti in due segmenti: uno vedeva aspetti gamificati (gruppo A) e l’altro no (gruppo B). Abbiamo spesso riportato i risultati incoraggianti derivanti dall’implementazione di punti, reward, badge, leaderboard e via via dinamiche più complesse, ma è sempre mancata la controprova favorendo il dibattito circa gli effettivi benefici di questa scienza. Alcuni sostengono che l’integrazione di estrinsic rewards (badge, premi, punti…) causi una riduzione dell’interesse soprattutto in quei progetti in cui l’utente partecipa per proprio interesse all’attività.

Da IBM un whitepaper destinato a far molto discutere e soprattutto riflettere in attesa di futuri studi. Una breve parentesi prima di entrare nel vivo della discussione, IBM al pari di tante altre corporation hanno da anni implementato dei canali digitali interni di comunicazione tra gli impiegati. Questi social network interni hanno lo scopo di metter in contatto persone e team dislocale nelle varie sedi mondiali offrendo una occasione interessante per coloro che vogliono farsi notare pur trovandosi a migliaia di km dal quartier generale.

Il gruppo “gamificato”  otteneva  5 punti per ogni foto/lista uploadata e 15 per ogni commento inserito. Il point system era la chiave d’accesso ai quattro livelli di “gioco” con i più bravi in grado di accedere alla leaderboard.

Esempio della struttura gamificata pilota

Una analisi delle metriche relative alle prime tre settimane di utilizzo ha attestato quando già ampiamente sdoganato dalla letteratura di tema. Il tasso di user generated content è aumentato considerevolmente rispetto alla controparte non gamigicata con una progressiva curva di decadimento nei sei mesi in cui il progetto pilota è rimasto sul mercato. Nel mezzo anno a disposizione il numero di contenuti caricati è stato maggiore nel gruppo A rispetto a B mentre la percentuali degli uploaders sostanzialmente identica.

Ad un certo punto il social network è ritorno identico per tutti, ovvero la parte gamificata eliminata totalmente con un annuncio veicolato sul sito stesso. La metodologia di studio ha riguardato un arco temporale di 4 settimane, due antecedenti la rimozione e 2 successive prendendo per soggetto 3486 utenti che avevano effettuato almeno una attività durante il mese.

Metriche con e senza gamification in un social network enterprise

La tabella raffronta i dati con e senza elementi gamificati attivi sulla piattaforma. Nella colonna a sinistra spuntano dati quantitativamente migliori rispetto alla colonna di destra. Ad esempio 4502 foto caricate nelle 2 settimane pre-rimozione ed un quasi dimezzamento nelle due successive con sole 2926 foto.

Invitandovi a leggere il whitepaper integrale in inglese, non posso che ribadire quello di cui da ormai due anni sono profondamente convinto. L’utilizzo corretto di game mechanics all’interno dei più svariati ambiti aiuta l’insorgenza di comportamenti che hanno sicuramente un forte impatto nel breve termine ma che, in congiunzione con una finalità sincronica con le motivazioni di un utente, porta a cambiamenti comportamentali nel lungo tempo. Su questa premessa è facile capire l’impatto fortemente negativo di una rimozione tout court del sistema.

Stimolare la Motivazione Intrinseca nella Gamification

Lo scorso Giugno citai all’interno di un articolo sulle Motivazioni Intrinseche vs Motivazioni Estrinseche il nome di Steven Reiss, professore di psicologia presso l’Università di Ohio State e autore del libro “The Normal Personality”.  Sulla scorta di uno studio condotto su 6000 individui schematizzò in 16 i desideri umani che ci motivano  intrinsecamente ad iniziare e continuare un comportamento.

 

La teoria dei 16 desideri dello psicologo Steven Reiss

Questo schema può venirci in aiuto nella realizzazione di un progetto gamificato. Effettuare una check list delle motivazioni da suscitare nel nostro “giocatore” può aiutarci a colpire il più ampio target possibile all’interno di una strategia di medio-lungo periodo. Maggiore sarà il nostro grado di soddisfare certe necessità, maggiori le chance di raggiungere il mass market.


Who Am I? : The 16 Basic Desires That Motivate Our Actions and Define Our Personalities

In aiuto può venirci uno studio condotto dallo stesso Reiss e James Wiltz dal titolo Why People Watch Reality TV. L’analisi di circa 300 soggetti ha mostrato che i principali spettatori di format come Grande Fratello soddisfino bisogni come Status e dalla Vendetta. Nel primo caso il fenomeno sembrerebbe legato al rinforzarsi della propria persona conseguentemente alla relazione con i partecipanti all’interno della casa. Veder loro compiere azioni sbagliate, rispondere maldestramente ai quiz e quant’altro ci porta a enfatizzare noi stessi. Per quel che concerne la Vendetta scende in campo il desiderio di vittoria, come saprete il format prevede l’eliminazione progressiva dei partecipanti e scatena quindi il senso di vittoria sugli altri.

Quali meccaniche e dinamiche per venire incontro alle motivazioni intrinseche?

Spero possa essere un valido contributo alla discussione, fermo restando che sono un convinto sostenitore della necessità di utilizzare bene e contemporaneamente tanto le motivazioni estrinseche nella varietà di premi erogabili quanto del far leva sulle esigenze innate al fine di assicurare una sostenibilità sia nel breve che nel lungo periodo.

 

Personalità e tipologia del giocatore – Parte Seconda

Conoscere il proprio target, schematizzarlo e disegnare appropriate esperienze è parte stessa delle fondamenta di un progetto gamificato. Nella prima parte della guida abbiamo ri-esplorato i 4 Player’s Type di Richard Bartle e dato un primo sguardo alle Social Media Personality Types di Adrian Chan, tentativi in cui gli autori pur partendo da mondi differenti -gaming e social media- tentano di classificare il genere umano secondo una serie di motivazioni e comportamenti standard.

Oggi continueremo a pescare da studi effettuati fuori dal perimetro puramente videoludico, la cui conoscenza però dovrebbe essere assimilata da un gamification designer in fase di progettazione.

Nel 1921 lo psicologo svizzero Carl Gustav Jung pubblicò il libro “Psychological Types” dando vita ad una primissima forma di archetipi umani basati sul comportamento e personalità. Questo lavoro, che qui per brevità non esporrò, è stato letteralmente ripreso e rifinito da Katharine Briggs e sua figlia Isabel Myers. E’ nel 1962 che il Myers Briggs Type Indicator, conosciuto anche come MBTI, viene pubblicato sotto forma di questionario disegnato per misurare il modo in cui gli individui percepiscono il mondo e compiono azioni.  Vengono così individuati 16 profili frutto di quattro grandi dicotomie:

Introverso(I) o Estroverso(E)

Sensitivo(S) o Intuitivo(N)

Razionale(T) o Sensibile (F)

GIUDIZIO(J) o Percezione (P)

I 16 tipi psicologici di Myers-Briggs

Invito tutti a provare il QUIZ (parte bassa della pagina) non solo per curiosità personale ma anche perchè l’elaborazione dei dati può fornire interessanti considerazioni statistiche. Il CAPT (centro per l’applicazione dei tipi psicologici) ha rilasciato uno studio sulla popolazione americana che risulterebbe composta in maggioranza dalla macro-categoria di Guardiani: Procector (9-14%), Inspector (11-14%) ma anche Supervisor e Provider.

Compiendo un salto avanti di alcuni anni, precisamente il 1970, lo psicologo David Kiersey definì la Teoria dei 4 Temperamenti nel suo libro Please Understand Me.  Nello schema precedente sono stati aggiunti i quattro appellativi che Kiersey, riprendendo a piene mani dal lavoro di Myers-Briggs, diede ad altrettanti patterns di comportamento:

– Artisan: realistico, tattico, manipolatore (di cose o persone), pragmatico, impulsivo, basato sull’azione, cerca forti emozioni

– Guardian: pratico, logico, gerarchico, organizzato, basato sul dettaglio e sui processi, possessivo, cerca sicurezza

– Rational: innovativo, strategico, logico, scientifico/tecnologico, orientato sul futuro e sui risultati, cerca conoscenza.

– Idealist: sognatore, diplomatico, emotionale, orientato alle relazioni, drammatico, cerca identità.

Le affinità col modello elaborato successivamente da Bartle sono moltemplici a partire dalla razionalizzazione a quattro tipologie principali per giungere ai fenotipi individuati. Un ulteriore passo avanti nella comprensione di un modello condiviso lo compiamo col game designer Chris Bateman che nel suo libro 21st Century Game Design realizza un demographic game design model noto come DGD1.

Il modello di demografia gaming di Chris Bateman

Vengono individuati quattro tipologie di giocatori lungo l’asse principale Casual/Hardcore:

Conqueror: è uno stile di gioco in cui la componente sfida, possibilmente online, è primaria ed associata alla fierezza della vittoria e della conquista. E’ un giocatore incallito che impara a conoscere il sistema per padroneggiarlo in ogni particolare.

Manager: Giocano non tanto per raggiungere un obiettivo quanto piuttosto per sentirsi padroni del sistema. Hanno una componente fortemente strategica  e si nutrono di dettagli. Non necessitano di una esperienza online.

Wanderer: Vogliono provare esperienze uniche e intriganti, viaggiare, esplorare e scoprire qualcosa di nuovo su cui poi instaurare conversazioni. Non ragionano per obiettivi.

Partecipant: Amano provare emozioni, prendersi cura, giocare in multiplayer in un ambiente emozionale e non competitivo.

E’ possibile effettuare il test QUI.

La seconda e penultima parte si conclude qui, nel prossimo articolo esamineremo altri modelli teorici e proveremo a offrire un riepilogo complessivo su come disegnare in relazione alla tipologia di utente trovando uno schema ricorrente che accomuna molti psicologici e game designer.

Personalità e Tipologia del Giocatore – Parte Prima

Ognuno dei 7 miliardi di individui al mondo differisce l’uno dall’altro innanzitutto per DNA e poi per una combinazione di fattori dovuti al luogo di nascita, contesto familiare e sociale. Un videogioco o prodotto con la minima ambizione di essere mass market non potrà certo colmare richieste individuali di una platea così ampia, impossibile creare un design adatto individualmente. Viene in aiuto la possibilità di creare delle personalità e tipologie standard di utenti/giocatori, conoscere il proprio audience diventa basilare per disegnare esperienze, introdurre meccaniche di gioco allineate alla tipologia di giocatore individuata in fase progettuale.

Non tutte le meccaniche e dinamiche sono adatte a tutti, alcune potranno creare divertimento e stati d’animo positivi in un individui ma al contrario scoraggiare l’esperienza di un’altra tipologia. Per creare una tassonomia a monte vengono in aiuto diversi studi rilasciati negli ultimi decenni, alcuni dei quali già ampiamente citati in queste pagine come i Player’s Types di Richard Bartle (slide 31-32) e Deadalus di Nick Yee.

Proprio da Richard Bartle prima maniera è necessario riparte perchè, a mio avviso, rappresenta ancora oggi il  modello teorico più generalizzabile e facilmente associabile ad una qualsiasi base utenza anche non strettamente gaming.

La tassonomia dei quattro tipi di giocatori di Richard Bartle

Nel suo primo lavoro “Hearts, Club, Diamonds, Spades: Player Who Suit MUDs” il ricercatore inglese, dopo lunghi anni di osservazioni di utenti attivi nei primi giochi online multiplayer, individua quattro categoria di individui a cui affibbia nomi altamente evocativi. Sulla base dei due assi orizzontale e verticale si muovono giocatori chiamati Killers (agiscono sui giocatori), Achievers (agiscono sul mondo), Explorers (interagiscono col mondo) e Socializers (interagiscono con giocatori), ciascuna categoria necessita di strumenti ad hoc per potersi totalmente auto-esprimersi e sentirsi a proprio agio nel sistema.

Quale Game Design per le tipologie di Richard Bartle?

Nessuna base utenza può essere omogenea nella sua interezza ed addirittura nessun giocatore è al 100% corrispondente ad una singola categoria, piuttosto un insieme di due o più fattori sebbene sempre con una feature dominante. Ah se non mi credete è possibile effettuare un test, non ufficiale! Sono al lavoro per un adattamento di questo test a contesti generali e non MMORPG oriented così da poterlo implementare come strumento di progettazione per ogni tipo di esperienza di interactive design. Intanto vi propongo il mio profilo.

Sono ufficialmente un Achiever!

Barle non è sicuramente il dogma indiscutibile, un aiuto nella comprensione delle personalità e motivazioni degli utenti ce la offre Adrian Chan, un social interaction designer. Nel suo studio Social Media Personality Types individua 11 tipologie nell’ambito social media, mi ci soffermo perchè penso possano aggiungere qualcosa al modello di Bartle nell’analisi dei futuri utenti del nostro progetto gamificato per disegnarne al meglio l’esperienza.

Personalità secondo Chan e relative meccaniche

Ripetendo l’esperimento fatto già con Bartle si prova a schematizzare sommariamente alcune meccaniche in grado di stimolare una esperienza positiva per numerose delle tipologie di Chan. Noterete spazi vuoti in relazione a figure come Rebel e Critic in quanto la loro presenza, pur in qualche misura utile, difficilmente sarà incoraggiata dal designer.

Nel prossimo capitolo esploreremo la teoria dei “4 Temperamenti di Kersey” e il “DGD1” di Chris Bateman sperando di individuare uno schema generale utilizzabile nel Gamification Design per individuare il profilo del proprio utente/giocatore ed i necessari accorgimenti a livello di meccaniche e dinamiche per ingaggiarli.

Cosa rende i giochi divertenti?

Trovandomi in Bulgaria e con pochissimo tempo a disposizione ho pensato di proporvi una delle migliori presentazioni di “Game Theory” apparse di recente sul web. Jani Cortesini, membro del planning department di Inferno Group, ha tenuto un bellissimo speech a Extra Life: A Gaming Event for Brands tenutosi a Londra. La presentazione di cui sotto si intitola “What makes games fun” rappresenta una sintesi ragionata sul perchè i videogiochi esercitano una così grande influenza su molti di noi e perchè riescono a tenerci incollati ore ed ore.

La parte sicuramente più interessante arriva quando l’autrice individua tre elementi cardine in grado di tenere il giocatore nell’ormai noto stato di “flow” di cui si è abbondantemente discusso anche in queste pagine:

1)Interessanti obiettivi da padroneggiare: Goals stimolanti all’interno di regole altrettanto stimolanti, binomio visto in titoli come Angry Birds. Gli obiettivi devono essere progressivamente più difficili da padroneggiare

2) Risposte chiare:  Un sistema di feedback immediato e ben visualizzato

3) Un significato per tutto:  Aiuta ad una “immersione sensuale” nell’esperienza di gioco

Gamification: La Scienza del “Divertimento”

Come già annunciato il prossimo Sabato 22 Ottobre sono stato invitato a tenere  una lezione al Ravenna Future Lessons introducendo alla platea di giovani e giovanissimi la disciplina della Gamification. Sebbene ancora work in progress ho pensato di rendere disponibile una bozza della presentazione così da condividere alcune idee e riflessioni che potrebbero diventare oggetto di discussione a Ravenna.
Ogni critica o consiglio è ben accetto, fatelo pervenire nei commenti a questo post o su Twitter @Gameifications