Un fresco studio di Boston Retail Partners, basato sul mercato americano, afferma che quest’anno il 62% delle catene stanno pianificando di allocare maggiore budget sui propri programma di fidelizzazione. Il dato è apparentemente in disaccordo con le performance fatte registrare da questo strumento di marketing nell’ultimo quinquennio, con un progressivo calo dei partecipanti. La spiegazione risiede nella necessità di adattare i vecchi programmi, largamente immutati negli ultimi 100 anni, all’evoluzione dei consumatori: digitalizzazione, mobile, logiche di gamification, feedback in tempo reale, personalizzazione dell’esperienza, superamento del puro momento transazionale. In parole povere così come le strategie dei retailers stanno diventando sempre più “omnichannel” di conseguenza anche il principale strumento di retention dovrà diventarlo.
Per me un loyalty program ha tre mission principali, dalle quali a cascata posso derivare altri micro obiettivi:
– Prendersi cura maggiormente di quella piccola fetta di utenza (solitamente il 20% o meno) che genera la stragrande maggioranza del fatturato aziendale (intorno all’80%). In quest’ottica i premi, gli status e le altre tipologie di rewards concorrono a farli sentire coccolati e pensati dal brand.
– Fare retention andando così ad abbattere i costi di acquisizione che tendenzialmente sono 5/10 volte più alti rispetto a quelli di mantenere un cliente esistente.
– Conoscere il cliente: attraverso la profilazione l’acquirente da anonimo diventa una persona con le sue abitudini e comportamenti. Partendo da questa clusterizzazione individuale sarà possibile creare, se l’azienda ha l’infrastruttura adeguata, dei percorsi personali.
Inutile nasconderlo, la sfida è complessa e va a toccare diverse aree all’interno dell’organizzazione aziendale. Un reparto IT fortemente sollecitato verso un CRM centralizzato e soluzioni maggiormente aperte, una sfida creativa legata ad una maggiore attenzione alla customer experience, unificazione delle piattaforme di vendita online e fisiche, l’ingresso nel team di nuove figure esperte di engagement e data analytics.
Ovviamente su questo blog il focus resta il tema dell’engagement design e di conseguenza la gamification. Sempre Boston Retail Partners nel suo report 2015 afferma che l’87% dei negozianti vuole introdurre la gamification nel programma di fidelizzazione per rendere le interazioni maggiormente “fun”. Al 2015 sono il 31% negli usa ad utilizzarla nei loyalty programs con una crescita del 6% del 2014.
Oggi vorrei soffermarmi su alcuni esempi che inseriscono una delle più utilizzate meccaniche di gamification, i Livelli. Pur non essendo nuova in ambito loyalty, i primi casi risalgono agli anni 80 nel comparto delle compagnie aeree, ad oggi sono ancora pochi i programmi che ne fanno un effettivo utilizzo. Strutturare per livelli significa classificare gli utenti all’interno di perimetri numerici con il Level Up che avviene al raggiungimento di una determinata soglia di punteggio. Ad ogni livello, via via più esclusivo, corrisponderanno dei premi o dei privilegi crescenti.
Quattro ragioni per introdurre i Livelli nel vostro loyalty program:
1. Differenziarsi: A fronte della standardizzazione dei programmi, l’aggiunta di una nuova meccanica e funzionalità contribuirà a renderlo unico e diverso rispetto alla concorrenza.
2. Engagement: L’aggiunto di questa meccanica di gamification rendere l’esperienza stimolante e sfidante, nonchè fun. Siamo geneticamente predisposti per scalare classifiche ed i livelli stimolano questa componente umana. E’ possibile guidare i comportamenti di acquisto, e non solo, attraverso una struttura a livelli che ci stimola ad andare avanti fino al raggiungimento della vetta. Lo stimolo paradossalmente non arriva soltanto dall’accesso a premi sempre migliori, ma semplicemente nell’aver completato un task
3. Storytelling: Sebbene la maggiorparte dei programmi basati sui livelli utilizzino nomi standard come Bronze/Silver/Gold o numerici 1/2/3 molte aziende hanno compreso come i “tiers” possano essere parte integrante del racconto dell’azienda. Un esempio di cui già vi parlai nel dettaglio lo offre Moosejaw, un retail specializzato in abbigliamento ed attrezzatura outdoor. Come indica l’immagine sottostante i loro livelli sono direttamente collegati allo spirito aziendale. Sono le montagne reali a dare il nome ai tiers in ordine crescente dalla cima più bassa a quella più alta.
4. Rewarding: Grazie alla clusterizzazione spiccata, ciascun gruppo può beneficiare di premi strettamente legati allo sforzo fin qui profuso ed al viaggio compiuto. Solitamente si parla di customer journey (molto simile a quanto avviene nei videogiochi col Player’s Journey) che consta solitamente di quattro fasi che vanno da visitatore, acquirente, acquirente seriale fino ad ambasciatore del brand. Ciascuno di questi utenti necessita di incentivi differenti per convertirsi alla fase successiva ed anche i rewards possono diventare un formidabile strumento motivazionale. Il programma VIB di Sephora è riconosciuto come uno dei migliori per quel concerne la strutturazione dei rewards. Loro hanno optato per 3 livelli: Beauty Insider, VIB e VIB ROUGE. A ciascuno è associato un range specifico di vantaggi che riprendono bene l’idea di superare il mero premio di natura economica (oggetti o coupon) allargando lo spettro verso reward di status, accesso, potere, emotivi di cui ho spesso parlato in queste pagine. Troviamo regali il giorno del compleanno, accesso in anteprima ad alcune vendite, regali basati sulla stagionalità, spedizione gratuito etc etc.
A livello di design l’introduzione dei livelli porta con se la necessità di affiancarsi ad un game designer. Ho visto molti programmi che invece di mantenere clienti hanno contribuito a perderli per la debolezza del design. Gli errori più frequenti sono sempre nella ripartizione punti/livelli, con soglie numeriche mal studiate che impediscono un naturale viaggio dell’utente. L’altro problema principale risiede nel numero di livelli e nei premi ad essi associati. Evitare improvvisazioni affidate ad agenzie senza un track nel game design.