Ieri abbiamo iniziato ad analizzare una delle numerose critiche che in alcuni ambienti circolano sulla Gamification. Sono tante e variegate le obzioni e l’avvocato della parte civile Fabio Viola deve rindossare la toga e tornare in aula di fronte alla Suprema Corte per difendere la Gamification dalla pesante accusa di essere “Bad” o “Ugly” secondo una vulgata comune in alcuni ambienti web.
E’ UNA CATTIVA PAROLA GAMIFICATION?
Partiamo ancora una volta da “sir” Ian Bogost che in un suo blog post si esprime come segue:
This rhetorical power derives from the “-ification” rather than from the “game”. -ification involves simple, repeatable, proven techniques or devices: you can purify, beautify, falsify, terrify, and so forth. -ification is always easy and repeatable, and it’s usually bullshit. Just add points.
La seconda parte del termine Gamification avrebbe una esplicita valenza negativa. A suo dire “ification” implica uno spostamento da una attività “artigianale ed unica” come è quella del game designer ad una industriale e, dice il forbito professore, “piena di merda” come quella vista nella Gamification.
A me questa idea non convince affatto per motivi formali e sostanziali.
Il suffisso nominale -ification affonda le sue origini nel latino -atio ed in italiano ha un suo equivalente in -zione. In tutte le lingue da me conosciute, e purtroppo il latino ed il greco antico li ho studiati per 10 anni, indica meramente l’atto espresso dal tema. Nella fattispecie la valenza catastrofica attribuita da Bogost al termine non trova un reale riscontro semantico. Altrimenti dovremmo bandire centinaia di parole d’uso comune: industrializzazione, amministrazione, purificazione, santificazione…ok mi fermo qui!
Ma implicitamente questa tipologia di suffisso porta con se l’idea del “the process of becoming“. Provando a star dietro a questo gioco di forzature logiche i processi spesso si accompagnano ad una idea di standardizzazione e non di creatività.
Gamification quindi assume un significato del tipo “il processo di rendere giocabile qualcosa che originariamente non lo è” al pari di come Purificazione è “il processo di rendere puro qualcosa”. Ammetto che questa definizione puramente lessicale mi piace ed andrebbe ad allargare il raggio d’azione di questa disciplina a comparti come l’in-flight entertaiment e in-car entertainment ovvero trasformare apparecchi nati con tutt’altre finalità in schermi utili per giocare.
Credo che questo termine, pur nel suo iniziale abuso palesato da 1.5 milioni di risultati su Google in 17 mesi, abbia l’indiscusso pregio della semplicità ed appealing. Semplice perchè riesce a sintetizzare idee e concetti meglio di tanti altri vocaboli che incontreremo successivamente. Nel migliore dei mondi possibili ogni azione, e sotto azione, dovrebbe essere classificabile con un nome proprio così da facilitare i discorsi accademici. In un mondo reale in cui bisogna relazionarsi con consumatori ed aziende con sensibilità e culture variopinte, diventa complesso spiegare pointsification, exploitationsware, playful design, emotional design, serious games, in-game advertising, advergames, alternative reality games, games for change e il variegato bagaglio lessicale che noi dell’industria dei videogiochi siamo riusciti malamente a creare o sarebbe meglio dire a spiegare.
Alzi la mano chi di voi conosce l’esatto significato dei termini sopra riportati e, badate bene, sono una minima parte di quelli utilizzati. La mancata circolazione di idee fuori dai confini della nostra nicchia ha per anni contribuito all’emarginazione sociale e culturale del gaming stesso. Fu proprio questa constatazione che nel 2002 mi spinse a lasciare i videogiochi tradizionali per dedicarmi al mobile gaming prima ed al gaming digitale poi. Sentivo la necessità fisica di dialogare di gaming con aziende e persone che nella loro vita avevano tutt’altre preoccupazioni personali e lavorative e colossi come Tim, Vodafone e Wind rappresentarono un ottimo nastro di partenza. Lavorando per Electronic Arts Mobile piuttosto che Namco Network o RCS negli anni mi sono spesso trovato a dover interagire con grandi brand e corporation vivendo sulla mia pelle i danni che noi stessi avevamo arrecato alla nostra immagine esterna. I direttori di dipartimento conoscevano i videogiochi, sapevano nominare qualche titolo, ma nessunissima nozione di come il loro mondo potesse giovarsi del game thinking e sensibility. In queste riunioni dovevo partire da zero e spiegare strumenti come l’in-game advertising o emotional design ed il tempo non era mai sufficiente^_^
Oggi qualcosa è cambiato, le aziende conoscono sommariamente il concetto di Gamification e si ha una base di partenza per una discussione. Concordo che c’è moltissima confusione ma questa, ad oggi, non mi spaventa perchè è la stessa che si viveva nel 2001 quando nacque il’industria mobile gaming che solo dieci anni dopo ha conosciuto una standardizzazione e consacrazione universale (ah e molte delle persone che anni fa non volevano saperne e denigravano questi giochi su piccolo schermo oggi hanno compiuto un triplo salto mortale…) nel 2010 ha conosciuto una consacrazione mondiale. Da una parte erano nate società che sfruttavano l’hype iniziale vendendo il medesimo gioco, a sua volte un clone, riskinnato ai tre operatori telefonici italiani dell’epoca ed altri che iniziarono a investire nella creazione di giochi appositamente studiati tenendo conto delle peculiarità della piattaforma. Convivevano idee e filosofie differenti con i fautori dei mobile games come puro strumento di monetizzazione facendo leva sui tempi morti in metro o autobus ed altri che vedevano nel quarto schermo uno strumento straordinario di diffusione del gaming grazie alla portabilità h24 ed alle opportunità offerte dalle reti mobili e fotocamere per la creazione di prodotti altresì impensabili su altre piattaforme. Nel primo biennio questi team che producevano giochi dozzinali e standardizzati hanno generato altissimi utili bassissimi costi di sviluppo e distribuzione a mila soggetti), poi han chiuso tutte i battenti per la scarsa quantità di download generati. Dopo un primo periodo in cui la novità spingeva i consumatori a scaricare tutto lo scaricabile, essi divennero sempre più esigenti premiando i prodotti di qualità. Accadde anche che i call center degli operatori telefonici vennero subbissati di lamentele da parte di mobile gamers che si erano ritrovati con giochi pieni di bug o che addirittura non partivano.
Quindi ben venga un termine appetibile, facilmente memorizzabile, comprensibile e comunicabile senza riscivolare nella moltiplicazioni di nomi che nemmeno tutti gli addetti al settore conoscono e comprendono. Poi che si chiami Gamification piuttosto che GAMEGAGA poco importa.
Altri parlano della semplicità del concetto su cui regge la gamification. Può essere vero al pari di chi oggi vedendo i primi prototipi di videogiochi che giravano nelle università negli anni 60/70 li giudica composti da sue asticelle che si muovevanno con un gameplay nullo. La percezione necessita di tempo per sedimentarsi, non è oggi, a 17 mesi dall’avvio del trend, che si può giudicare una disciplina in via di formazione. C’è chi volutamente la sta semplificando e standardizzando per rivenderla ad X clienti, è un male? Forse si, il tempo ed il mercato dirà se queste piattaforme sapranno evolversi e resistere. Ma non mi sognerei di togliere il bisturi dalla dotazione medica perchè qualche cardiologo lo sta adoperando solo per effettuare incisioni superficiali senza maneggiarlo per scavare a fondo nei meandri del cuore.
Un esempio che mi ronza in testa è quello del medium televisivo. Strumento formidabile che ha avuto una incidenza senza pari nella storia italiana assumendo il ruolo di mezzo primario di unificazione nazionale e culturale con i programmi offerti dal primo canale nell’immediato dopoguerra. In questa scatola magica ora passano programmi di vario tipo in preponderanza leggeri e superficiali che non attirano minimamente la mia attenzione. Eppure molti miei amici e familiari li amano ritenendoli un valido passatempo e strumento di fuga dalle durezze della vita. Una grandissima platea li fruisce consentendo alle emittenti di raggiungere i propri target di ascolto e raccolta pubblicitaria. Che si fa? Ci limitiamo a dire che la televisione è spazzatura o proviamo a capire il perchè di questo appealing, le ragioni psicologiche che spingono a guardare il Grande Fratello invece che L’infedele di Gad Lerner il Lunedì sera per dar vita ad un programma in grado di risultare leggero in superficie pur veicolando un messaggio più profondo?
Bisogna entrare nella logica che Gamification e Gaming sono due cose molto differenti tra loro, discipline che pur abbeverandosi alla stessa fonte hanno obiettivi e strumenti diversi. Un game designer difficilmente sarebbe calabile in un progetto gamificato, così’ come un “Gamification designer” non sarebbe tecnicamente in grado di progettare un videogioco. Entrambe le figure invece potranno coesistere su determinati progetti perchè gamification è una scienza inclusiva che necessita assolutamente del contributo, soprattutto in questa fase embrionale, di persone provenienti dal game design così come dal marketing, economisti e psicologi.
Distaccare il gaming dalla gamification significa sgombrare la critica di coloro che vedono nell’utilizzo di meccaniche e dinamiche gaming in contesti esterni una delegittimizzazione del proprio medium, una sorta di banalizzazione. Ma siam sicuri che questo ragionamento non poggi su pilastri fallaci?
Esaminando le classifiche di vendita console negli ultimi anni si notano bestseller seriali da Call of Duty a Mario Bros passando per Fifa. Giochi riproposti con cadenza quasi annuale e con piccole modifiche venendo incontro alle esigenze della massa e facendo leva su propensioni naturali come l’amore viscerale per il calcio in alcuni paesi o l’istinto guerrafondaio di altri. Anche questi sono prodotti seriali, ripetibili?
Poi leggo spesso che la Gamification non sarebbe “Etica“. Questa è la cosa che mi fa andar di più ai matti, un termine che aborro tanto in questo contesto quanto nella vita reale. Etica rientra in quel nuvolo di parole fumose come “buon senso”, “buon gusto” “morale” suscettibili di cambiamenti in base alla sensibilità individuale e dei tempi in cui ci si trova a vivere. Negli anni 40 indossare un bikini era amorale, un atto osceno in luogo pubblico, oggi è quasi sinonimo di puritanesimo.
Per fortuna, ma evidentemente per sfortuna secondo alcuni, non viviamo in uno stato teo-cratico. Ciò che ci indica cosa è giusto e cosa non è giusto è la legge di cui ogni stato si è dotata. Quindi cosa significa che la gamification non è etica? Viola qualche legge o regolamento? Chi dovrebbe dettare le 10 tavole dell’Etica?
Io preferisco ragionare nell’ottica “raggiunge o non raggiunge gli obiettivi che il committente si è posto”?
Io aziende ho il problema di dover incentivare la componente User Generated Content del mio prodotto GAGO. Dopo brief interni e consulenze di ditte esterne metto a punto una strategia articolata in cui decido, o meno, di utilizzare una soluzione che sfrutti il tool della gamification per incentivare tale comportamento. Sono una azienda e ragiono per obiettivi concreti –>in 12 mesi dovrò 1 milione di video caricati dai miei utenti. Se l’obiettivo è stato mancato allora la strategia è stata sbagliata!
Chi segue regolarmente questo blog conosce il mio punto di vista sulla Gamification che al meglio delle sue possibilità dovrebbe esprimersi con un framework in cui le motivazioni estrinseche (punti, badge, reward) dovrebbero offrire una cassa di ridonanza alle motivazioni intrinseche suscitate dal progetto (competizione, auto-espressione, socializzazione) conferendo un senso di lungo periodo al viaggio dell’utente/giocatore.
Ma pur avendo una chiara visione personale ritengo legittimo il ricorso a sistemi di feedback ed altre meccaniche gaming estrapolandoli dal loro contesto originario per raggiungere obiettivi prefissati. Su obiettivi a scadenza e breve durata può risultare ridondante architettare un prodotto playfull e discordante con le logiche ed i budget di una campagna marketing per il lancio di un film fra 30 giorni. Se semplicemente aggiungendo uno scoring system ed un buon sistema di badge riesco ad aumentare la frequenza delle visite ed il time per visit nel portale creato ad hoc per lanciare harry potter 11 cosa c’è di così sbagliato. Sono convinto che la ripetitività di queste iniziative creerà dis-engagement nel tempo rendendo inutile la ripetizione seriale di siti analoghi ma si vive nel presente e nessuno ha la sfera di cristallo.
Forse il nostro viaggio finisce qui o forse rilasceremo un add-on col terzo Livello di Difesa della Gamificaiton..!