Non mi è mai piaciuto entrare nelle querelle da bar che periodicamente infiammano il mondo dei videogiochi con l’unico risultato di distogliere energie da obiettivi concreti e, spesso, auto-martellarsi in stile Tafazio. La storia è proprio fatta di corsi e ricorsi, dopo avervissuto le discussioni sulle console vs pc, l’era dei mobile games chiamati “giochini”, social games vs videogames ora sembra il turno dei “game designer” vs Gamification.
Ma proseguiamo con ordine. Questa titanica lotta vede contrapposti da una parte i fautori della gamification, disciplina ancora in stato embrionale, che mira a creare engagement e risolvere problemi sfruttando meccaniche, dinamiche, schemi di user interface ed in generale un modo di pensare presente nei videogiochi, il tutto all’interno di contesti non gaming. L’avversario di turno sembra incarnarsi nel game designer, figura professionale che si occupa primariamente di decidere come sarà un videogioco.
LEVEL 1) GAMIFICATION E’ UNA INVENZIONE MARKETING?
…gamification is marketing bullshit, invented by consultants…
Così sentenziò tale ( non vorrei risultare blasfemo facendo anticipare “tal” al nome di Ian, ma il 99% dei lettori di questo blog non ha la minima idea di chi esso sia) Ian Bogost, professore associato di Letteratura, Comunicazione e Cultura al Giorgia Institute oltre che fondatore del game studio Persuasive Games LLC, in suo recente blog post.
Shit, Bullshit!!!! E’ una falsità senza se e senza ma. Siamo in un immenso videogioco, è bene concedere tre vite al nostro paladino per salvare la principessa!
Vita 1) Anno 2002, il britannico Nick Pelling inventa il termine dandone l’accezione attuale pur limitandone il campo d’azione. Nick ha all’attivo oltre 30 videogiochi in veste di programmatore sin dai tempi del Commodore64. Come lui stesso mi ha confermato in una intervista:
Inventando il termine Gamification intendevo “Applicare “game-like accelerated user interface design” per rendere le transazioni elettroniche più godibili e veloci”.
Aiaiaiii Ian, ritenta e sarai più fortunato…
Vita 2) Oh no, nel 2008 il termine è stato ripreso da Bret Terril all’epoca Senior Director Corporate Development in Zynga, la gaming company con la quotazione più alta al mondo.
Ma i grandi eroi danno il meglio di loro nei momenti di difficoltà. Sta arrivando su schermo il boss di fine livello e non gli resta che una sola vita…
Vita 3) Nel Febbraio 2010, pur senza mai citare espressamente il termine, Jesse Schell nell’ormai storico Talk “Design outside the box” getta (volontariamente esasperando) alcune basi teoriche della disciplinapaventa un mondo in cui ogni nostra azione sarà influenzata da punti e reward grazie alla diffusione di sensori, smartphone, geolocalizzazione. Ah, Jesse Schell è l’autore del più venduto nonchè miglior manuale di game design oltre che founder di Schell Games, studio da 150 dipendenti.
IAN YOU LOSE. THE END!
I pasdaran anti-gamification si spingono anche oltre annoverando tra i cattivi profeti anche personaggi come Jane McGonigal, fresca autrice di Reality is Broken e responsabile di numerosi alternative reality games.
La storia, e non le parole, testimoniano come il marketing e persone marketing oriented non abbian giocato alcun ruolo nell”invenzione del termine Gamification e del suo significato odierno. Spazzato via questo dubbio passiamo avanti!
Purtroppo il tempo per questa prima missione è per me scaduto, la barra energetica si riattiverà fra 24 ore e prometto di ritornare sul tema affrontando l’altra grande critica sul valore stesso del termine “Gamification” spesso definitivo “bad” o “ugly”.
Trackbacks/Pingbacks