[Mi scuso per i tre mesi di assenza dal blog, una serie di sconvolgimenti nella vita privata e lavorativa mi hanno tenuto distante dal mio amore, il gaming] Sin dai suoi albori la creazione di esperienze ludiche ed online è stata affidata interamente alla libera creatività di designers. Figure spesso diventate mitologiche dotate di una penna e di un block notes in grado di intercettare e/o anticipare i gusti di massa dando vita a prodotti e servizi di successo. A loro spetta il compito di stendere completi documenti di design a cui il team di sviluppo dovrà strettamente attenersi. La proprietà, non potendo spesso rischiare enormi budget sulla scorta di semplici idee e intuizioni, si avvaleva sovente di strumenti quali focus group, passate esperienze similari, beta chiuse di prodotto per saggiare la bontà del progetto. Capirete bene che questo metodo di lavoro porta in sè una componente aleatoria e soggettiva altissima rendendo la percentuale di rischio sull’investimento notevolmente elevata. Questo modo di concepire il flusso di lavoro è ancora oggi, ahimè, molto in voga tanto nel mondo digital generico quanto nel gaming. Le metriche non vengono riconosciute come una parte fondamentale al pari dello sviluppo, design e marketing. Oggi, ancora più che in passato, questo approccio retrogrado è penalizzate perché il prodotto si ritroverà a competere con tanti altri che beneficiano del valore aggiunto apportato dagli analytics. Non stupitevi se la vostra sola idea, per quanto geniale, resterà nel limbo delle centinaia di migliaia di apps già presenti. A partire dal 2007, con rare eccezioni antecedenti, l’avvento di ecosistemi aperti e dispositivi always connected ha favorito l’inizio di un modo del tutto nuovo di fare design. E’ il paradigma “data driven”. Non più la figura del game designer visionario e sognatore che tira fuori dal cilindro soluzioni valide per l’intero lifecycle del prodotto ma una matematizzazione dei processi grazie all’introduzione dei data analytics. Aziende come Zynga, seguita a ruota da centinaia di altre, hanno compreso sin dal 2007 l’importanza che i comportamenti in-game di ogni singolo giocatore rivestono nel disegnare l’esperienza. Ancora oggi c’è diffidenza, leggo spesso critiche a questo modo di fare gaming da parte di chi non comprende che le metriche non sono altro che un modo per avvicinare utenti e sviluppatori. Retention, life time value, churn rate, sticky factor, dau, mau, early lifecycle retention, sono termini fondamentali per aumentare le possibilità di dar vita ad un buon prodotto sostenibile nel tempo. Sono perfettamente consapevole che non è facile darsi una simile organizzazione, crearsi una piattaforma di analisi metriche in-house richiede tanto tempo e know how ed appoggiarsi a soluzioni già esistenti è molto dispendioso (siamo sui 5k dollari al mese per un servizio full). E questo non basta, bisogna reclutare un game data analyst coi coglioni ed in generale organizzare in modo specifico attorno a questa fase il team di lavoro. Credetemi, ne vale la pena! Migliaia di giochi su App Store, Google Play o Facebook restituiscono allo sviluppatore giga e giga di dati analizzati quotidianamente da un data analyst per essere trasformati in giornalieri/settimanali documenti di design dando vita ad un tipo di sviluppo ongoing in grado di riflettere al meglio le aspettative dell’utenza. Questa mole di dati, inizialmente poco leggibile su Kontagent piuttosto che su altri tools, si trasforma in meccaniche atte a creare maggiore engagement, retentions piuttosto che monetizzazione: dinamiche di gameplay, pop up, pacchetti di virtual currency fluttuanti in base al livello di gioco etc etc… Nel corso del 2012 è andata affermandosi una ulteriore evoluzione del paradigma di sviluppo, inizia l’era dei “Clustomers“. Il termine nasce dall’intersezione dei due vocaboli inglesi customers (cliente) e clusters (segmentazione) e letteralmente significa segmentazione dell’utenza. Nel mondo gaming si intende la creazione di classi omogenei di utenza in base a specifiche abitudini di spesa. Analizzando i dati è possibile sin dalla prima settimana creare clusters a cui sarà veicolata una specifica esperienza di gioco pre-immaginando quali saranno i loro desideri, sogni e abitudini di spesa. Avere 5 classi non significa offrire loro 5 esperienze totalmente diverse, ma all’interno di un medesimo canovaccio una pop up potrà apparire prima o dopo, un oggetto essere incluso nello shop al prezzo x piuttosto che y e così via. Esempio esemplificativo: un gruppo sarà composto da utenti che non investiranno mai soldi reali nel mio sistema, sappiamo che sono una componente significativa nei prodotti free to play ed è fondamentale capire come bilanciare al meglio la loro presenza nel sistema. Sarà inutile riempirli di tricks e pop up reminder legati all’acquisto di oggetti e monete virtuale, mentre avrà molto più senso che quella pop up chiederà loro di condividere via social uno stream o invitare amici per proseguire. D’altro canto con questo design clustomers eviteremo di chiedere a heavy spenders di compiere azioni lunghe e noiose in-game per acquisire moneta. L’obiettivo ultimo di questo nuovo paradigma è abbattere il più possibile ogni frizione tra il giocatore ed il suo progredire nell’esperienza dando a ciascuno quello che realmente sta cercando. Aziende come Bigpoint hanno già aggredito pesantemente il tema con risultati notevoli.