Fabio Viola su Forbes

Il passaggio dallo storytelling allo storydoing nella formazione aziendale.

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BRAINSTORMING

BRAINSTORMING

Organizziamo sessioni full day, utilizzando il mazzo di carte dell'engagement designer ed altri metodi gamificati, per generare e collezionare all'interno di un processo collettivo, le migliori idee provenienti dal team. Questo processo è adatto sia ad obiettivi consumer che enterprise!
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CONCEPT

CONCEPT

Utilizzando il nostro Motivational Design Framework lavoriamo insieme su una griglia che individua gli obiettivi short e long term, la tipologia degli utenti/giocatori, le motivazioni per creare engagement e le meccaniche e dinamiche di gamification indispensabili per le vostre finalità di business.
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GAMIFICATION DESIGN

GAMIFICATION DESIGN

Per migliorare soluzioni già esistenti o nella fase di costruzione di un nuovo progetto, realizziamo un gamification design document (GDD) e wireframe continuamente iterato fino all’approvazione del cliente.
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ARCHITETTURA E SVILUPPO

ARCHITETTURA E SVILUPPO

Dopo decine di esperienze di sviluppo per marchi internazionali, conosciamo le esigenze IT delle aziende e le aiutiamo a scegliere la giusta architettura tra sviluppo ex-novo e utilizzo di api dei gamification vendors.
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SPAZI URBANI IN GIOCO – URBAN GAMIFICATION

Ieri nella lezione presso IED Milano, il nostro Fabio Viola ha parlato della sua idea di città in cui il coinvolgimento diventa perno centrale di ogni processo di riqualificazione. Contaminazione tra spazi fisici e strumenti digitali con elementi mutuati dal design dei videogiochi per dar vita a quella idea di PLAYABLE CITY fondata sulla partecipazione attiva, premiante e volontaria dei suoi cittadini, residenti e temporanei.

Ci scusiamo per la qualità delle slides, nella conversione si è persa parte della formattazione ed i link interni a ciascuna slides per la visualizzazione dei video e siti web di riferimento.

Fabio Viola nella TOP 10 mondiale Gamification

Il 2017 parte con una bella notizia per il nostro Fabio Viola e per tutto lo staff. L’agenzia inglese RISE ha inserito Fabio Viola tra i 10 principali gamification designer ed esperti al mondo. Un risultato che conferma la leadership, non solo italiana, ed inaugura un anno che vedrà l’uscita del suo secondo libro incentrato sulla necessità di porre il coinvolgimento al centro di ogni prodotto, progetto e processo sia per enti pubblici che per aziende private.

RISE LEADERBOARD

Fabio Viola gamification design

[BTO2016 VIDEO] Videogiochi, Gamification e Turismo

Videogiochi e Turismo o ancora Gamification e Turismo culturale. La convergenza tra questi mondi è stata al centro di uno dei momenti della Borsa del Turismo Online (BTO) andata in scena a Firenze lo scorso 30 Novembre. Il nostro Fabio Viola ha condiviso il palco col prof. Stefano Monti per ragionare, anche attraverso esempi pratici, su nuove modalità per far conoscere e vivere il nostro straordinario patrimonio.

Nelle scorse settimane avevamo reso disponibili le slides ed il testo del discorso, da oggi è possibile guardare ed ascoltare l’intero panel “Il mondo giocato. Cultural Heritage, Gamification e Business Development”.

Videogiochi e Teatro per coinvolgere pubblici

Negli ultimi 20 anni il mondo sta cambiando ad una velocità mai sperimentata nei secoli precedenti. L’avvento della terza rivoluzione industriale, rappresentata da Internet, ha influito enormemente sulla quotidianità delle nostre vite ed è diventata parte integrante dei modi di vivere delle nuove generazioni. E’ innegabile che sia in atto un profondo corto circuito tra le modalità tradizionali di trasmissione della cultura, con un approccio dall’alto al basso, e le aspettative ed esigenze manifestate da milioni di individui che si aspettano di ritrovare in ogni momento di rapporto con brand privati, enti pubblici ed istituzioni culturali quel senso di protagonismo, partecipazione e coinvolgimento sperimentati nel mondo digitale. Che poi, a pensarci bene, è assolutamente da superare questa diarchia tra fisico e digitale. Ognuno di noi trascorre le sue 24 ore immerso in centinaia di piazze, da quella del paese a quelle offerte nei social network o nei videogiochi o in piattaforme partecipative come Wikipedia e Youtube. Il fisico continua nel digitale, ed il digitale si interlaccia a fisico con auspicabili intersezioni ancora oggi poco esplorate.

Pensiamo ad una delle più antiche forme d’arte, il Teatro. Quanto è realmente cambiato il modo di mettere in scena una rappresentazione dai tempi classici greci e romani? Quanto è cambiato il ruolo dello spettatore? Come sono mutate le interazioni tra attore e spettatore?

Io credo che sia necessario avviare una discussione, dalla quale non dovrebbe essere esclusa nessuna forma d’arte, sul futuro del teatro in un’epoca dai profondi cambiamenti sociali, tecnologici ed economici. Si parla sempre più spesso dell’importanza, dello sviluppo e coinvolgimento dei pubblici, ma quanto effettivamente è stato svolto per intercettare i desiderata delle milioni di persone che non hanno mai messo piede in un teatro. Le stime Istat del 2014 parlano di poco più di 300.000 ingressi, una nicchia che ha generato circa 200 milioni di euro di indotto economico.

Come è possibile che una industria culturale neonata, come i videogiochi, abbia in Italia decine di milioni di giocatori con un fatturato vicino al miliardo di euro? Come è possibile che una percentuale irrisoria della mia cerchia amicale (ragazzi e ragazze asseribili nella Generazione Y) percepisca il teatro come qualcosa di lontano, noioso, ingessato?
Eppure tra videogiochi e teatro ci sono molte più assonanze di quello che si è ritenuti a pensare. Il teatro è luogo dove meglio di tutti si raccontano storie e dove il rapporto tra attore e spettatore non è intermediato da schermi o barriere.

Solo di recente ho iniziato a interrogarmi su come sia possibile integrare i due mondi, contaminarne le tecniche ed i linguaggi. Anticipando il pezzo, lancio personalmente una chiamata ai creativi per disegnare insieme uno spettacolo teatrale partecipativo.

Un punto di partenza, molto più commerciale che narrativo, è l’idea che oggi esista un bacino amplissimo di videogiocatori, fortemente legati al medium col quale sono cresciuti. Quasi 10 milioni di italiani che attivamente giocano su PC, Console, smartphone dedicando diverse ore ogni settimana a questo medium ed investendo numerose risorse economiche. I dati 2015 parlano di circa 1 miliardo di euro speso, nella sola Italia, nell’acquisto di software, hardware e accessi videoludici. Un bacino di individui stratificatosi negli anni, non più e non solo ragazzi in età scolare ma anche ragazze e donne over 40 che hanno beneficiato dei nuovi canali distributivi e, di conseguenza, nuove tipologie (Candi Crash, Farmville) per avvicinarsi a questa neonata industria.

Spettacoli teatrali la cui storia, scenografia, personaggi richiamassero l’universo dei videogiochi rappresenterebbero sicuramente un volano per avvicinare questa fetta importante di audience. In Italia praticamente nulla è stato sperimentato, mentre all’estero abbiamo esempi di performance direttamente mutuate da videogiochi. E’ il caso di Metal Gear Solid: The Theater Production, Dragon Quest Ballet, Phoenix Wright musical e tanti tanti altri.
Questi sono esempi semplici di utilizzo di brand videoludici all’interno di linguaggi tradizionali come la prosa, musical e balletto, la forma più leggera di contaminazione tra i due mondi.

Nel 2011 la compagnia americana Piper McKenzie ha portato in scena a Brooklyn lo spettacolo Theater of the Arcade basato sul riarrangiamento di 5 storie basate su classici dei videogiochi (Donkey Kong, Duck Hunt etc etc).

Eppure esistono già forme di contaminazione molto più complesse in cui il pubblico entra in scena, influisce sullo spettacolo ed interagisce con gli attori dando vita a spettacoli estremamente coinvolgenti.

La compagnia inglese Punchdrunk da anni porta in scena a Londra e a New York rappresentazioni che fanno segnare quasi sempre il tutto esaurito. Spettacoli come Sleep No More rappresentano un esempio perfetto della gamification del teatro. Per diretta ammissione dello sceneggiatore Barrett, larga parte dello spettacolo attinge a piene mani nel modo di designare i videogiochi per ricreare quel senso di immersione e imprevedibilità che spinge le persone a giocare e rigiocare. Non è un caso se la compagnia ha raggiunto l’obiettivo delal “Replayability”, brutto termine inglese col quale nell’industria gaming indichiamo quei prodotti che possono essere fruiti più e più volte perchè presentano dinamiche di novità e sorpresa. Queste possono essere differenti finali in base alle nostre scelte, nuovi achievement da sbloccare, nuovi segreti da scoprire, nuove sequenze animate e così via.

Sleep No More è un adattamento del classico Macbeth di Shakespeare rappresentano in un teatro non convenzionale. Una immensa fabbrica distribuita in sei piani in cui il pubblico, circa 400 a spettacolo, indossando una maschera è invitato a muoversi liberamente nell’area di “gioco. Le uniche regole sono non togliersi la maschera e non parlare se non espressamente invitato a farlo. Durante la libera esplorazione possono incontrare un attore e seguirlo ascoltando così la sua parte della storia o continuare a muoversi liberamente esplorando, e talvolta, interagendo con gli elementi di scena. E’ possibile aprire finestre, scorrere libri, leggere lettere scoprendo ogni volta qualche nuovo elemento secondario della storia o nuove lenti attraverso le quali interpretare lo spettacolo. E’ possibile, su invito, interagire con gli attori ed essere invitati ad accedere in locations segrete dove viene rappresentata qualche scena nascosta a tutti gli altri.
Il giudizio del pubblico al termine dello spettacolo è estremamente positivo, una esperienza diversa, inusuale e soprattutto coinvolgente che li spinge a ritornare più e più volte per avere il quadro d’insieme dell’intera rappresentazione teatrale.

Questa tipologia di spettacoli, anche conosciuta come “promenade performance” o “site-specific play”, non è facile da progettare e sceneggiare. Sono poche le compagnie, tutte non italiane, impegnate in questa ibridizzazione del linguaggio con risultati di apprezzamento, ed economici, straordinari. Il pubblico resta meravigliato dal vedere spettacoli quasi individuali, personalizzati in cui si sfibra la rigida categorizzazione di attore e spettatore. Insieme concorrono alla produzione, ed ogni esperienza è diversa. Per creare questa magia è necessario bilanciar il flusso rigido degli eventi nella sceneggiatura con la libertà del pubblico.

 

Drowned Man, altro spettacolo prodotto da Punchdrunk, è andato in scena a Londra in un grande edificio composto da oltre 100 stanze nelle quali avviene la performance per circa 3 ore. Anche qui si entra dotati di una maschera bianca che aiuta a differenziare il pubblico dagli attori e si è invitati a vivere l’esperienza in solitudine scegliendo quali ambienti visitare- Nel mentre gli attori performano le loro sequenze, in contemporanea in ambienti diversi e senza vedersi.  La storia prende inizio e la sensazione è quella di ritrovarsi in un flusso narrativo visto in videogiochi come Gone Home.

Il livello di dettaglio delle stanze è elevatissimo, tantissimi oggetti da guardare e toccare e comprendere. In questa totale libertà di azione, il game designer/sceneggiatore utilizza tecniche videoludiche per provare a guidare i comportamenti ed i movimenti utilizzando luci, suoni, messaggi che indirizzano il pubblico verso gli ambienti dove sta per accadere qualcosa.

Non sempre gli spettacoli devono andare verso pubblici numerosi, gioielli come Then She Fell di Third Rail Projects ci riportano ad una cornice narrativa intimistica, uno spettacolo partecipativo a cui possono accedere solo 15 spettatori per volta. Gli spettatori possono muoversi in una ambientazione che ricorda quella di Alice nel Paese delle Meraviglia all’interno di una storia ospirata alla vita e alle opere di Lewis Carroll. Un misto tra videogioco e libro-game, una esperienza che i creatori definiscono multi sensoriale ed estremamente toccante dal punto di vista emozionale. Nelle due ore della performance si è molto spesso da soli, one to one con l’attore o al massimo in gruppi di 5. Al termine di ogni spettacolo, il pubblico è invitato a leggere le note e riflessioni scritte dagli altri per comparare le esperienze e metter insieme i pezzi di uno spettacolo secondo diversi punti di vista. Un tasso di coinvolgimento elevatissimo che ha reso possibile il continuo sold out di Then She Fell nonostante il prezzo di 95 dollari, non propriamente economico!

 

Altre modalità di interazione arrivano dal collettivo tedesco/canadese Rimini Protokoll ideatori di spettacoli come Best Before in cui il pubblico viene dotato di un joystick attraverso il quale esprimere delle scelte che hanno reali ripercussioni sul proprio avatar visualizzato sullo schermo andando a creare una storia nella storia. Immaginate le potenzialità di una struttura narrativa così partecipativa. All’interno di bivi autoriali, la maggioranza del pubblico potrà decidere se investigare su un personaggio o su un altro. Potrà essere coinvolto nella decisione di una sequenza di dialogo tra 4 risposte multiple ed in generale influenzare il finale dell’opera.

E’ ancora possibile esplorare progetti transmediali in cui la storia parte come videogioco ed è fruibile su quel media per poi continuare in un palco teatrale, o viceversa. Heroes Must Die, scritto da Rick Stemm, si muove esattamente in questa direzione. Un videogioco gratuito con differenti finali che fanno da prequel allo spettacolo teatrale che parte, quindi, con inizi differenti. Acquistando il biglietto teatrale si sbloccano funzionalità extra nel gioco e le due storie, seppur separate e non dialogandi, presentano medesimi personaggi, costumi e ambientazioni creando un filo unico nella narrazione e nella immersione.

L’i’italianissima Fanny & Alexander conWe Need Money sta sperimentando lo “spettacolo per azioni”, una performance che varia rappresentazione dopo rappresentazione grazie al contributo del pubblico che invia online proposte per differenti finali o varianti ai quali la compagnai si adegua mettendosi in gioco. Il rimando è a progetti videoludici come Super Mario Maker o Minecraft, dove su una struttura base è il giocatore a incidere pro-attivamente non solo prendendo delle scelte ma impegnandosi ad comporre il nuovo livello.

Questa veloce panoramica di progetti, ha dimostrato quanto importanti e dirette siano le influenze del design dei videogiochi in un nuovo modo di fare teatro basato sulla partecipazione attiva, coinvolgimento e immersione dei pubblici. Un potenziale di contaminazione ancora largamente inespresso e che si baserà sulla mutua collaborazione tra due settori dell’arte che ad oggi non si sono assolutamente parlati.

 

Gamification del teatro

Mettere in gioco il nostro mondo

Il video del mio intervento al Teatro Argentina di Roma il 16 Novembre 2016 in occasione del premio Vincenzo Dona dedicato al tema del gioco. E’ stata una gioia immensa salire sul palco di un teatro straordinario e raccontare di come sia fondamentale rimettere il gioco al centro delle nostre esperienze formative, lavorative e sociali. In fondo giocare è un modo diverso di imparare e socializzare!

Tra gaming e gamification!

Videogiochi e Gamification per il turismo

Ieri alla BTO di Firenze il nostro Fabio Viola è salito sul palco per raccontare la strana intersezione tra videogiochi, gamification e turismo. Segue una sintesi del suo speech ed alcune slides!

Fabio Viola BTO

Mentre vi parlerò milioni di persone nel mondo staranno conoscendo ed esplorando il mondo attraverso la lente dei videogiochi.

State attenti a non derubricare a pura virtualità queste esperienze. Provate a uscire da questa sala ed a fotografare, di nascosto, persone nell’atto di giocare. La gestualità dei loro corpi e l’espressività dei loro volti tradiranno uno stato di coinvolgimento frutto della alternanza di stati d’animo ed emozioni che, quando ben disegnati, sono in grado di generare. Rabbia per non riuscire ad uccidere un nemico, gioia per aver completato un livello, altruismo per aver regalato ad un amico le monete di cui aveva bisogno, soddisfazione per essere i primi nella classifica, iper concentrazione per risolvere un enigma. Dovete sapere che quelle persone in foto presentano una accelerazione del battito cardiaco, un aumento della conducibilità elettrica e numerose altre alterazioni fisiche che sono prodromiche, ad esempio, alla insorgenza di una forte connessione emotiva ed alla memorizzazione a lungo termine delle esperienze.

Questo è il reale segreto dell’ascesa di una industria che 40 anni fa non esisteva e oggi è diventata la principale per fatturato e tempo speso nel comparto dell’entertainment con quasi 100 miliardi di fatturato annuo, di cui circa 1 in Italia, generati da 1 miliardo di persone nel mondo.

Ancor più importante ai fini dei nostri discorsi è il target dei fruitori. Sgrombriamo subito il campo, l’età media di chi acquista nel mondo un videogioco è intorno ai 35 anni. E’ vero che il 90% degli appartenenti alla Generazione Z utilizza videogiochi, ma è altresì vero che col passare degli anni persone come me nate negli anni 80 si portano dietro questa passione per cui è lecito aspettarsi un innalzamento dell’età media dei videogiocatori nelle prossime decadi.

Centinaia di milioni di persone che si aspettano di ritrovare nella vita quotidiana quella velocità, quel senso di protagonismo, quella imprevedibilità, quel livello estetico che hanno sperimentato nei videogiochi così come su Youtube, Netflix.

Molti di voi in sala potranno pensare, e qualcuno dire, che il mondo stia impazzendo e non sarò certo io a darvi torto. Eppure, e prometto che sarò breve, almeno dal 1600 l’industria creativa e cultura ha largamente influito, positivamente, sull’andamento turistico della nostra penisola. I media culturali hanno rappresentato nel corso dei secoli, pur con le dovute diversità, straordinari volani di promozione e costruzione dell’immaginario turistico. Già sul finire del XVII secolo, e ancora per tutto il XVIII, l’Italia divenne la principale destinazione di viaggio per i giovani aristocratici e rampolli europei. I “Grand Tour”, da intendersi come la prima forma di “turismo di massa”, nascevano dalla curiosità di ammirare con i propri occhi le bellezze culturali, oltre ai modi di vivere e gestire la cosa pubblica. Centinaia di migliaia di persone, provenienti prevalentemente dai paesi del Nord Europa, si avventurarono lungo il Belpaese in soggiorni a volte lunghi anche anni con positive ricadute economiche sui tessuti urbani. Fu così che non solo i “grandi attrattori” ma anche centinaia di comuni descritti nell’ Italian Voyagedi Richard Lessels, nel Viaggio in Italia di Goethe e nei racconti di Shelley e Byron divennero oggetto di un boom turistico inedito e molto lontano dai “tour utilitaristici” del Medioevo. Le principali espressioni culturali e artistiche dell’epoca divennero inconsapevoli strumenti di marketing territoriale, si viaggiava per visitare quei luoghi visti o immaginati attraverso ritratti e diari di viaggio.
Dopo una interruzione di flussi turistici a cavallo delle due grandi guerre, l’Italia riconquistò presto il primato mondiale come destinazione. Sul finire degli anni ’50 alcune stime affermano che un turista su cinque nel mondo visitava la penisola, conferendo un primato mondiale protrattosi fino agli anni ’70.

Lo straordinario trentennio di egemonia turistica degli anni ‘50-‘70 si avvalse della creazione di “software” culturali a cui largamente contribuì la crescente industria cinematografica da considerarsi il principale media della generazione dei Baby Boomers (nati tra il 1940 ed il 1960). Pellicole come I Soliti IgnotiLa Ciociaria e La Dolce Vita contribuirono a creare una immagine di “Paese Cartolina”, alimentando un immaginario da esportare in tutto il mondo. Il turista straniero ha conosciuto e si è innamorato della nostra penisola anche attraverso le sequenze diVacanze Romane dove una giovane Audrey Hepburn si muove sullo sfondo del Colosseo, piazza di Spagna e tante altre meraviglie dell’Urbe. Immortale la sequenza in cui Gregory Peck finge di perder la mano all’interno della Bocca della Verità della chiesa di Santa Maria in Cosmedin.

Ora perchè parlarvi di tutto questo? Il XXI secolo sarà largamente dominato dai videogiochi come media di riferimento per intere generazioni e con tutti i vantaggi e innovazioni che essi portano a livello di immersività e coinvolgimento. Pochi sanno, sopratutto gli amministratori pubblici ignorano, che già centinaia di videogiochi di grande successo mondiale sono stati ambientati in Italia e nei prossimi anni altrettanti lo saranno. Ad oggi sono oltre 300 i videogiochi, di grandi publisher e di studios indie, ambientati in toto o in parte in borghi, castelli, manicomi, strade, italiane e sono stati giocati da una platea di circa 500 milioni di persone nel mondo. Un bacino enorme che sta conoscendo ed ammirando l’Italia attraverso un videogioco. Questo fenomeno va immediatamente compreso e reso parte integrante delle strategie turistiche a livello centrale e locale.

Per questo nasce GameCommission.it, un manifesto ideologico per mettere in contatto chi crea videogiochi con i territori. Una iniziativa dal basso, non istituzionale, totalmente privata e senza scopo di lucro contrariamente ad altree idee nate successivamente.

In tutto questo vi anticipo lo straordinario caso del Museo Archeologico Nazionale di Napoli che per primo diventerà publisher di un videogioco che consentirà a persone di tutto il mondo di conoscere Napoli, il museo e soprattutto le storie che esso racchiuse. Il nostro Fabio Viola è stato nominato producer di questo esperimento.

Il futuro dei videogiochi e della gamification

Testo del discorso tenuto dal game e gamification designer Fabio Viola alla conferenza annuale dell’Unione Nazionale Consumatori – Premio Vincenzo Dona il 18 Novembre 2016 presso il Teatro Argentina di Roma.

 

Videogiochi e società

Quello che continua ad affascinarmi e per certi versi a soggiogarmi dopo 17 anni di lavoro nell’industria dei videogiochi è plasticamente visibile in questa immagine.

Guardate l’espressione del corpo ed ancor più dei volti di queste persone? In questo momento milioni di persone nel mondo stanno sperimentando questa alternanza di stati d’animo ed emozioni che i videogiochi sanno generare.

Se non mi credete, vorrei lanciarvi una sfida, provate a fotografare di nascosto persone nell’atto di videogiocare. Le istantanee restituiranno un centrifugato di gioia per aver superato un ostacolo, rabbia per esser stati sconfitti da un nemico, sorpresa per un bonus random che vi è stato assegnato, iper concentrazione per risolvere un enigma, compiacimento per aver infranto un record, altruismo per aver regalato un oggetto virtuale ad un vicino di fattoria. Potrei raccontarvi altre decine e decine di stati d’animo che ho provato da giocatore sin dall’età di 7 anni quando spintaneamente i miei genitori mi regalarono un Commodore 64 e poi dall’altra parte della barricata lavorando su produzioni che sono entrate nelle vite di centinaia di milioni di persone nel mondo come Fifa, The Sims, Crash Bandicoot.

In fondo è questa la vera ragione dell’ascesa inarrestabile di una industria nata sul finire degli anni ’70 e che, a distanza di soli 40 anni,   è diventata la principale tra le industrie dell’intrattenimento per fatturato e tempo medio speso. Eh si, superando per consumi i cugini della musica, editoria e cinema. Solo nel 2016 in Italia circa 1 miliardo di euro verrà speso nell’acquisto di software e hardware videoludico e nel mondo stiamo traguardando per la prima volta i 100 miliardi di dollari.

Ma ancora più del dato economico i videogiochi stanno mostrando al mondo come sia possibile progettare esperienze in grado di generare tassi di coinvolgimento difficilmente raggiungibile in altri ambiti. Vi dirò di più mi capita sempre più spesso di parlare e lavorare con aziende ed enti pubblici che mi raccontano, spesso con toni angosciosi, di come stiano vedendo diminuire generazione dopo generazione ed anno dopo anno il tasso di coinvolgimento  dei dipendenti sul lavoro, degli studenti scuola o dei consumatori nei programmi di loyalty. Tutto questo ha impatti profondissimi a livello economico ma ancor di più sociale.

Come approfondisco meglio nel mio nuovo libro in uscita ad inizio 2017 per Hoepli, negli ultimi 50 anni da una parte è aumentato sensibilmente il quoziente intellettivo medio (con tutte le cautele del caso su come esso si misura e confronta nel tempo) e dall’altra è aumentato il tasso di suicidi.

Ma come è possibile che le ultime due generazioni, la Generazione dei Millenials (nati tra il 1980 ed il 2000) e la Generazione Z (nati dopo il 2000) si stiano disinteressando sempre più nei confronti di ciò che ci circonda? Stiamo parlando di generazioni che stanno vivendo e crescendo in un periodo storico senza eguali nella storia dell’uomo in quanto a stimoli e opportunità. In un click accediamo a milioni di brani musicali, film in alta risoluzione, possiamo costruire oggetti con una stampante 3D, parlare in tempo reale con persone dall’altra parte del mondo…Dall’altra parte penso ai miei nonni  e a quando allora ventenni erano costretti ad aspettare un mese per un ciclo di comunicazione completo a mezzo lettera. Se oggi noi entro 10 secondi non riceviamo risposta al messaggio inviato via Whatsapp, Facebook o Telegram iniziamo a sclerare addirittura controllando impulsivamente se appare la doppia spunta di lettura o meno. Qualcuno potrebbe pensare e dire che il mondo sia impazzito.

A questa corrente di pensiero, solletico la pancia aggiungendo un dato proveniente da recenti studi condotti da Microsoft. La curva di attenzione di un essere umano è diventata inferiore a quella di un pesciolino rosso, 8 secondi!!

Io credo, ma sentitevi liberi di smentirmi in diretta, che sia in atto un profondo corto circuito tra le aspettative, esigenze e bisogni di queste nuove generazioni e il modo in cui ancora oggi molte esperienze quotidiane vengono progettate in continuità con le logiche settecentesche della rivoluzione industriale che, per me, ha rappresentato almeno 3 secoli di standardizzazione  delle produzioni e quindi delle esperienze, in un certo qual senso, delle emozioni!

Ora non sto suggerendo di trasformare tutta la nostra esistenza in un immenso videogioco, anche se devo confessarvi che ogni tanto questo sogno accompagna le mie fasi REM. Impariamo dall’industria dei videogiochi e della più recente scienza della gamification le tecniche e le logiche per porre al centro di ogni processo il coinvolgimento.  Ogni attività può essere resa coinvolgente, non abbiate paura di mettervi in gioco come aziende o enti pubblici.

Ho avuto il privilegio di poter morire e rinascere milioni di volte in questa vita e sogno un mondo in cui il GAME OVER sia un modo diverso per dire apprendimento. Quando si muore in un videogioco si impara qualcosa, il sistema ti rilascia un feedback in tempo reale che il giocatore mette in pratica al tentativo successivo ed ecco che il sistema una volta riuscito ti premia con un punteggio o un bonus extra. Ed ogni ostacolo è sempre un pelino più complesso allineando la tua capacità alla sfida. Questo genera un coinvolgimento straordinario, in psicologia si parlerebbe di FLOW.

Insomma vorrei un mondo in cui si inizi ad utilizzare sempre più la prima persona nei confronti delle attività che ci circondano come i miei amici fanno con me quando mi raccontano “ho salvato la principessa”. In fondo è questo sentirsi protagonisti la vera magia dei videogiochi, cediamo parte del nostro potere in quanto brand, datori di lavoro o amministratori pubblici e lasciamoci contagiare dalla creatività e pensiero fuori dagli schemi di queste nuove generazioni!

Vi saluto con una immagine di uno dei progetti per il quale vado più fiero. Insieme al Museo Archeologico Nazionale di Napoli siamo al lavoro su un vero e proprio videogioco in grado di coinvolgere ed emozionare persone in tutto il mondo trasmettendo il messaggio universale della bellezza scissa dal tempo in cui si è vissuti.

archeological museum of naples videogame

 

Gamification per i consumatori

Quando iniziai nel lontano 1997 ad occuparmi di videogiochi mai avrei immaginato che uno degli eventi nazionali più importanti dedicasse la sua decima edizione al tema del gaming e della gamification. Men che mano avrei immagino che ad introdurre le opportunità che i videogiochi, la gamification e l’engagement possono avere in ambito aziendale e nella vita quotidiana venissi chiamato io. Avrò l’onore e l’onere di inquadrare questa crescente disciplina che rientra nel più ampio movimento dell’ engagement design, un modo diverso di progettare esperienze partendo dalla domanda “come motivo e soddisfo le aspettative dei miei pubblici attuali e potenziali?”. Un ribaltamento rispetto alla metodologia tradizionale in cui il fruitore era considerato un consumatore e non un consumATTORE.

A fronte di questo interesse verso l’industria del gaming e gamification in nuovi contesti, molto deve essere ancora fatto per creare nuove professionalità che si collochino nell’intersezione tra game design, engagement design e psicologia. E’ quanto mai fondamentale liberare il campo da agenzie e consulenti improvvisati facilmente riconoscibili dall’assenza di un reale curriculum nell’industria dei video-giochi. Improvvisare significare minare di credibilità una industria che sta raggiungendo i 15 miliardi di dollari di fatturato nel mondo e dar vita a progetti che non riescono ad ottenere il ritorno sull’investimento auspicato dallo stakeholder.

Sul palco il nostro Fabio Viola sarà in ottima compagnia di grandi aziende ed influencer che hanno posto il gioco al centro delle loro politiche da Bla Bla Car a Fitbit passando per Gardaland ed Eni. Dopo l’immagine troverete il programma completo e suggerisco di non mancare questa opportunità gratuita!

fabio viola speaker gamification

Quest’anno, la decima edizione del Premio “Vincenzo Dona, voce dei consumatori” si svolegerà venerdì 18 novembre (dalle 9,00 alle 13,30) al Teatro Argentina di Roma sul tema “Gioco ergo sum”.
Quest’anno il tema della manifestazione è il CONSUMO LUDICO, con uno sguardo alle ultime novità sulla gamification e la testimonianza delle imprese che stimolano l’ingaggio del consumatore in modo “giocoso-partecipativo”.

PROGRAMMA COMPLETO

 

Treedom Gamification sociale e ambientale

La scorsa Estate ricevetti una mail dai fondatori di Treedom. Per chi ancora non la conoscesse si tratta di una società nata nel 2010 a Firenze con l’idea realizzare una piattaforma web che permette di piantare un albero a distanza e seguirlo online. Da allora il progetto è diventato una solida realtà con fatturati in costante crescita e, soprattutto, centinaia di migliaia di alberi reali piantati tra Africa, Latina e Italia.  Tutti gli alberi vengono piantati direttamente da contadini locali e contribuiscono a produrre benefici ambientali, sociali ed economici. Grazie a tale business model, Treedom fa parte dal 2014 delle Certified B Corporations, il network di imprese che si contraddistinguono per elevate performance ambientali e sociali.

Ogni albero di Treedom ha una pagina online, viene geolocalizzato e fotografato, può essere custodito o regalato virtualmente a terzi. Grazie a queste caratteristiche, l’albero di Treedom coinvolge le persone ed è al tempo stesso uno strumento di comunicazione e marketing per aziende.

L’idea iniziale venne a Tommaso Garcea e Federico Speroni durante l’epoca doro dei social games, il cui re incontrastato è stato lungamente Farmville di Zynga. Si quel gioco Facebook che consentiva di creare e gestire una propria fattoria piantando semi, accudendoli gli alberi per poi raccoglierne i frutti il tutto in continua relazione con altri giocatori reali che potevano aiutarci a tenere pulito, regalarci oggetti utili e tanto altro ancora.

Questi echi si sono riverberati nella attuale piattaforma che già a livello di interfaccia richiama molto per colori e stile l’universo del gaming.

Green Gamification Treedom
Partendo da una piattaforma che funziona e viene utilizzata, stiamo provando a ragionare su come sia possibile aumentare le logiche di coinvolgimento anche mediante tecniche di gamification. Una delle chiavi di partenza in ambito green è quella che definisco “HERO”, gli utenti vogliono sentirsi parte di un progetto più ampio in cui le loro azioni hanno ripercussioni positive su tanti altri soggetti. Ed è qui che bisogna lavorare per amplificare le interazioni presenti nella piattaforma dando una immediata visualizzazione ed informazione sugli impatti verso agricoltori, in termini di Co2 e sulle economie del sud del mondo. E’ importante che questi HERO inizino a riconoscersi e conoscersi formando gruppi a cui poter assegnare missioni.

Tutto il resto lo vedrete nei prossimi mesi online, si spera!

Fabio Viola porta la gamification in Treedom

Il principio del Near Win: Quasi vincere è meglio che vincere

Al netto dei giudizi morali sul comparto industriale, devo confessare che ho molto imparato lavorando come lead game designer presso alcune delle più grandi gambling company al mondo. Anche le più piccole, e apparentemente insignificanti modifiche, nel design ed interfaccia di hardware e software, erano progettate per generare cambiamenti comportamentali significativi nei giocatori. I colori su schermo, il posizionamento dei tasti, i (non) tempi di attesa, la struttura delle sale slot incidevano sul numero di giocate, sul tempo medio speso e sull’ARPU naturalmente. Di queste logiche una delle meno conosciute è sicuramente quella definita “NEAR WIN“.

Near win effect gamification

E’ quel principio che ti fa esclamare “ho quasi vinto,  invece di ho perso”. In una slot machine, ad esempio, il game designer fa in modo che in caso di non vincita si percepisca la sensazione di esserci andato vicinissimi. Avete notato che spesso i primi due simboli combaciano e poi il terzo non combacia per una casella? Appaiono due simboli del denaro ed il terzo allineato subito sotto dandovi l’illusione di esser andati vicinissimi ad una importante vincita. Nei gratta e vinci accade spesso qualcosa di simile, manca un simbolo per sbloccare una combinazione vincente. O pensate ancora al Bingo. Andate ancora più indietro nei ricordi, seppur non ingegnerizzato, vi ricordate l’emozione collegata all’aver fatto 12 alla schedina? Col 12 non si vinceva nulla, ma l’esser andati così vicini al premio era una fonte di coinvolgimento potentissima. Ricordo di amici che si convervavano quella schedina e per settimane narravano di questa quasi vincita a tutti gli amici e, paradossalmente, il week end successivo erano più propensi che mai a giocare forti di questo risultato. E’ una tecnica di design che non porta alcun costo per l’azienda eppure fornisce un rinforzo del comportamento notevolissimo aggiungendo un layer di motivazione per continuare a provarci.

 

Diversi studi scientifici, tra cui il più famoso Neuron del 2009,  hanno suffragato psicologicamente quello che noi game designer avevamo intuito sul campo. Il principio del near win attiva nel giocatori quelle stesse aree del cervello (mesolimbico) collegata al rewarding al pari delle situazioni di vincita.  Come evidenziato anche in altri studi, le persone con una dipendenza dal gioco d’azzardo presentano un tasso di attivazione dell’area del cervello deputata ai processi premianti insolutamente alta in caso di near win. Sostanzialmente accade che il cervello non riesce più a distinguere una vittoria reale da una quasi vittoria e questo impedisce loro di interagire “normalmente” con il prodotto gambling in questione.

Le ultime richerche come questa apparsa  in Psychological Science, un giornale della Association for Psychological Science, ci aiutano a comprendere possibili utilizzi “positivi” di questa tecnica. In alcuni casi, qusi vincere ha effetti assolutamente benefici per l’individuo. In alcuni esperimenti condotti dagli autori Wadhwa  eJeeHye Christine Kim emerge chiaramente che perdere di poco può intensificare le nostre motivazioni verso il raggiungimento di un obiettivo. Abbiamo perso, ci rialziamo e riproviamo ancora e ancora imparando dalle sconfitte.

A 164 acquirenti americani è stato assegnato un gratta e vinci all’ingresso di un centro commerciale. I tagliandi erano stato così organizzati:

  • 30% vincenti (20 dollari) con una fila di sei simboli identici
  • 30% perde malamente
  • 30% ottiene 5 simboli identici su 6 e quindi (principaio near win)

Dopo l’esito della lotteria, le persone entravano normalmente nel centro commerciale e portavano a termine liberamente il proprio shopping. All’uscita veniva chiesto loro di mostrare lo scontrino ed il risultato fu abbastanza sorprendente. Il clusters “near win” è quello con lo scontrino medio più alto rispetto agli altri gruppi.

Paradossalmente il near win offre maggiori leve motivazionali rispetto alla vincita nel proseguo del comportamento desiderato.

Durante il mio lavoro nell’industria ho notato, empiricamente, un’altra tendenza interessante. La logica near win acquisisce maggiore forza quando il simbolo mancante è quello antecedente. Prendiamo ancora come esempio una slot. Ho già 2 campane sullo schermo e aspetto la terza per vincere. Il rullo si ferma e spunta fuori l’arcobaleno e subito prima la campana, questo è molto più motivante e coinvolgente rispetto ad una soluzione analoga in cui la campana è il simbolo successivo. L’occhio l’ha vista passare e fermarsi sulla linea vincente per poi procedere oltre, questo è meno motivante!

Ora provate a pensare gli impatti positivi che la conoscenza di questa tecnica potrebbe portare nella progettazione di esperienze didattiche o no profits dove abbiamo degli obiettivi e dei fallimenti che possiamo rendere parte integrante del processo di crescita!