Cosa hanno in comune Candy Crash, Clash of Clans, Duolingo, Foursquare, Facebook, Nike Plus, il ristorante dove cenate di frequente, il museo che visitate periodicamente, il fidanzamento ed Amazon? Quale è la ragione profonda che rende queste esperienze così di successo, nel tempo ed in presenza di tante alternative? Indubbiamente si tratta di momenti molto diversi tra loro ed apparentemente senza un filo logico comune. E se vi dicessi che alla base non vi è differenza alcuna? Si tratta di esperienze che ruotano intorno alla capacità di creare un ciclo ripetibile di abitudini. Il segreto risiede integralmente nel modo in cui sono state progettate e disegnate (bene) dando vita ad un Engagement Loop. Ma ci torneremo più avanti.
Mi capita spesso nel mio lavoro di engagement scientist e gamification designer di assistere aziende (e game companies) che continuano a focalizzare il loro progetto interamente su metriche di natura economica; numero di visite, numero di transazioni, arpu, frequenza di acquisto. Eppure nel 2016 deve essere chiaro un punto, si va verso una economia sempre più free to play dove l’atto di acquisto non avviene in anticipo ma sempre dopo aver interagito col prodotto. Di conseguenza i valori fondamentali diventeranno quelli della retention e dell’engagement. Le persone che ritornano e sono coinvolte in un video-gioco tendono a investire molto più tempo nel prodotto e sappiamo come, oggi, il tempo sia una variabile altrettanto importante come l’atto transazionale in se. Per giunta in un’epoca in cui tutti siamo sopraffatti da migliaia di stimoli e sempre più lo saranno i membri della Generazione Y e Z. Un utente che decide, volontariamente, di dedicarci parte del suo tempo, quasi sempre, si converte in un utente pagante o in un utente che contribuisce a rendere l’esperienza migliore a coloro che pagano. Senza retention ed engagement assistiamo a servizi e prodotti che hanno una scarsissima monetizzazione e dei costi di acquisizione che superano le revenue perchè si è continuamente costretti ad investire in customer acquisition non potendo contare ne su un ciclo di vita accettabile ne, tanto meno, sulla trasformazione del fruitori in ambassador.
L’engagement non è un parametro che nasce dal web. Il termine stesso in inglese ha come significato primario il “fidanzamento”, l’instaurarsi di un legame fisico ed emotivo tra due individui che si scelgono reciprocamente in un progetto di vita possibilmente di lungo periodo. Pensiamo anche alla capacità che hanno alcune canzoni, libri o film di creare una relazione con il fruitori che tenderà, quindi, a ripetere quell’esperienza nel corso della vita magari in connessione a momenti importanti della sua esistenza. Una delle caratteristiche che l’engagement deve avere è quello di creare una connessione profonda che sappia andare oltre il “tormentone”. Per tormentone intendo quei brani musicali, ad esempio, che nascono e muoiono nell’arco di una stagione estiva. Essi sono, al pari di prodotti piuttosto che servizi, disegnati per generare nel brevissimo periodo un elevato tasso di risposta a cui si accompagna un altrettanto veloce tasso di decadimento.
Ad oggi non esiste una definizione univoca di engagement e soprattutto non esistono dei KPI (metriche) universali per comprendere se un progetto sia riuscito, o meno, a coinvolgere il proprio pubblico di riferimento. Ogni verticale, o sarebbe meglio dire ogni azienda, sta iniziando, tra molte difficoltà, ad individuare l’Engagement Factor, un coefficiente che nasce dall’incrocio di vari parametri. Nel mondo dei video-giochi free to play (scaricabili gratuitamente ma con la possibilità di effettuare micro-transazioni per accelerare, personalizzare e potenziare l’esperienza di gioco) l’Engagement Factor è noto come Sticky Factor. In sostanza è il numero di utenti giornalieri attivi (DAU) diviso il numero di utenti mensilmente attivi (MAU). Se il ratio risultante è inferiore al 15% la logica conclusione è l’aver creato un prodotto con scarsa capacità di coinvolgere e trattenere l’audience e sarà necessario provare a invertire la rotta o a sopprimerlo.
Per spiegare in termini più semplici cosa sia l’engagement. Immaginate due musei, simili tra loro per tipologia di opere e location. Uno dei due presenta sin dall’esterno schermi e insegne che ci spiegano cosa è possibile visitare. All’ingresso veniamo dotati di una guida interattiva per comprendere meglio le opere, in un’ala troviamo anche alcuni laboratori dove i nostri bambini potranno interagire e divertirsi con l’arte. Numerosi visitatori interagiscono all’interno con le opere, affollano il bookshop e l’area caffè. All’uscita ci viene consegnata una cartolina ricordo con la foto dell’opera che ci è piaciuta maggiormente ed un depliant con i prossimi eventi e laboratori (a pagamento).
Il secondo museo, invece, si presenta desolato eccezion fatta per i due custodi interni. Nessun supporto alla visita, nessuna area ristoro, nessuna esperienza per il nostro bambino che quindi inizierà a rendere meno gradevoli e più veloci le nostre letture.
Secondo voi dove tenderò a ritornare? Ma soprattutto dove tenderò a spendere i miei soldi?
Per me l’engagement è l’indicatore comportamentale del nostro pubblico. Non è una metrica quantitativa, non è una metrica economica, non è una metrica marketing ma qualcosa di molto più importante. L’engagement ci indica come si stanno comportando i nostri utenti nel sistema,
ENGAGEMENT LOOP
Il ciclo di engagement è una sequenza di motivazione, azione, tempo, feedback ed emozione che si innesca come nuova abitudine comportamentale del nostro utente e, di conseguenza, tenderà a ripeterla infinite volte. Molti video-giochi, soprattutto quelli mobile e social, sono disegnati per creare coinvolgimento e retention attraverso l’Engagement Loop.
Come disegnare un engagement loop col framework Mafte di Fabio Viola
Non importa che si tratti di una esperienza fisica o digitale, di un e-commerce o di un museo il modello di creazione engagement è univoco e basato su cinque momenti (framework MAFTE):
FASE DI PRE-ENGAGEMENT
- Motivazione: l’utente deve avere una motivazione iniziale che lo spinga ad entrare e compiere una azione nel sistema. Non approfondirò qui il tema delle motivazioni, essere sono varie e devono basarsi sulle necessità ed esigenze del target. Maggiori informazioni qui.
FASE DI ENGAGEMENT
2. Azione: Ora l’utente dovrà poter compiere una o più azioni interagendo con l’ambiente, fisico o virtuale. L’obiettivo finale deve essere frammentato in una serie di azioni, possibilmente diversificate e a difficoltà progressiva
3. Tempo: Dopo l’azione l’utente deve aspettare un certo lasso temporale. Esso può variare da pochi millisecondi a intervalli temporali più lunghi in base alla tipologia di progetto.
4.Feedback: Dopo aver atteso un certo lasso temporale, l’utente ottiene un feedback (risposta) dal sistema che lo informa sull’azione compiuta. Questo momento è cruciale, diventa esso stesso un driver motivazionale aiutando l’utente a comprendere se lo sforzo profuso è andato più o meno bene.
FASE DI RE-ENGAGEMENT
5.Emozione: Il ciclo termina con l’insorgenza di una emozione nell’utente che diventa stimolo per ripetere nuovamente il ciclo. Le emozioni possono, e devono, essere di diversa natura. Dal senso di padronanza del sistema alla progressione passando per la soddisfazione personale (esaltata se inserita in una cornice sociale),il desiderio di completare, sani dosi di insuccesso accompagnate da feedback su come migliorare l’azione e così via.
Non è questo l’articolo in cui entrare nei dettagli, ma a livello di design motivationale è questa la fase in cui inserire un sistema di triggers. Per triggers intendo degli eventi, che possono essere interni o esterni o sociali, che ricordano all’utente di continuare a ripetere questo ciclo. Possono tradursi in notifiche, inviti, pressione sociale, punti, premi e tante altre meccaniche.
Ora provate a frammentare in un ciclo le esperienze di prodotti di successo come Candy Crash, Kickstarter, Facebook, il ristorante che frequentate e capirete il tratto di unione tra esperienze, apparentemente, così dissimili tra loro.
P.S. Sono al lavoro, col collega Vincenzo Idone Cassone, ad un libro in uscita a fine 2016 sull’ENGAGEMENT DESIGN – COINVOLGERE LE NUOVE GENERAZIONI