Fabio Viola su Forbes

Il passaggio dallo storytelling allo storydoing nella formazione aziendale.

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  • L’arte del Coinvolgimento – Il nuovo libro di Fabio Viola

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BRAINSTORMING

BRAINSTORMING

Organizziamo sessioni full day, utilizzando il mazzo di carte dell'engagement designer ed altri metodi gamificati, per generare e collezionare all'interno di un processo collettivo, le migliori idee provenienti dal team. Questo processo è adatto sia ad obiettivi consumer che enterprise!
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CONCEPT

CONCEPT

Utilizzando il nostro Motivational Design Framework lavoriamo insieme su una griglia che individua gli obiettivi short e long term, la tipologia degli utenti/giocatori, le motivazioni per creare engagement e le meccaniche e dinamiche di gamification indispensabili per le vostre finalità di business.
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GAMIFICATION DESIGN

GAMIFICATION DESIGN

Per migliorare soluzioni già esistenti o nella fase di costruzione di un nuovo progetto, realizziamo un gamification design document (GDD) e wireframe continuamente iterato fino all’approvazione del cliente.
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ARCHITETTURA E SVILUPPO

ARCHITETTURA E SVILUPPO

Dopo decine di esperienze di sviluppo per marchi internazionali, conosciamo le esigenze IT delle aziende e le aiutiamo a scegliere la giusta architettura tra sviluppo ex-novo e utilizzo di api dei gamification vendors.
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Intervista a Fabio Viola su Gamification, Storytelling e Transmedia

Sono sempre più attuali e contaminati i temi del transmedia, gamification e storytelling per dar vita a dei progetti in grado di sfruttare al meglio le potenzialità di cinema, editoria, web, social e videogiochi creando delle storie in grado di creare un forte livello di engagement e partecipazione attiva. Ho avuto il piacere di rispondere ad una lunga intervista a cura di Corrado Peperoni ed apparsa sul suo blog lo scorso 27 Novembre. Vi consiglio di leggerne la versione integrale, ma per comodità ho pensato di riportare alcuni stralci più significativi.

Si parte con la definizione di gamification sempre più divergente tra l’ambiente accademico e la  vulgata comune.

 

Xmp: Ciao Fabio, grazie per la disponibilità. Inizio subito con una domanda sul fenomeno di cui sei tra i maggiori esperti italiani: Gamification…puoi darmene una definizione?

Fabio Viola: Mi torna più semplice dare una duplice definizione. La comunità scientifica ha ormai adottato, in maniera coerente, l’idea che la gamification sia una scienza che interseca teorie e tecniche di game design, psicologia, scienze comportamentali e (neuro)marketing per creare una super user experience in contesti non gaming. Come ebbi modo di scrivere in alcune presentazioni nel 2011 “Il corretto utilizzo della Gamification riesce a spostare i comportamenti di un utente portandolo da un Punto A (sfera di interesse personale) verso un Punto B (sfera di interesse di brand/enti pubblici/no profit). E’ possibile creare una stretta relazione tra A e B (engagement), un rapporto di fidelizzazione (loyalty), rendere più divertente e meno noiosa l’esposizione di A ad una attività B (more fun) o risolvere/migliorare un processo di interazione tra A e B (solve a problem).”

La definizione tecnica deve purtroppo scontrarsi col linguaggio comune che ormai vede persone di ogni ordine e grado intendere con gamification qualsiasi tipologia di esperienza in cui il gaming esce dal suo perimetro naturale di strumento di divertimento per abbracciare i più svariati settori della nostra quotidianità. Ed è qui che serious games, edugames, advergames, gamification si mescolano in un grande calderone. Ciò premesso, non sono un grande amante dei perimetri circoscritti e non mi innamoro delle definizioni. Il termine gamification ha sicuramente riscosso un successo straordinario portando aziende e individui a confrontarsi, spesso senza il giusto bagaglio tecnico, con un medium sempre più egemone per la generazione corrente.

Intervista al game/gamification designer Fabio Viola su transmedia e storytelling

Intervista al game/gamification designer Fabio Viola su transmedia e storytelling

Interessante la  domanda sulla crescente presenza dei giochi nei prodotti narrativi ed in generale nelle strategie di persone ed aziende lontane dal “nostro” mondo.

Xmp: Più in generale, secondo te, quale il motivo per il quale sempre più frequentemente prodotti narrativi vengono ibridati con meccaniche ludiche? Quali obiettivi ci si pone, quale valore aggiunto si ottiene?

Fabio Viola: Io credo che il gaming abbia delle modalità tutte sue di raccontare storie che rappresentano al meglio i tratti distintivi della generazione che sta diventando numericamente dominante, i Millenium o Generazione Y (nati dopo il 1980). Provando a schematizzare alcuni tratti unici:

– I videogiochi sono il regno della libertà di scelta: andiamo a destra o sinistra? Parliamo con questo o con quel personaggio? Reagiamo in un modo o nell’altro ad una data situazione?
– I videogiochi rendono il giocatore protagonista: Siamo noi gli eroi ed i protagonisti assoluti. Questo aiuta tremendamente nell’immersione della storia, il giocatore diventa in un certo grado il co-designer dell’esperienza.
– Easy to play, hard to master: i videogiochi semplificano le azioni da compiere rendendole inizialmente semplici e progressivamente più complesse in relazione alle abilità acquisite. Questo è straordinariamente forte a livello di engagement, consentendo l’immersione in problematiche e scenari non accessibili nella vita reale.
– Feedback Loop: in tempo reale il sistema ci informa se stiamo performando bene o male una azione (se sferro un colpo ad un nemico, la progress bar mi indicherà istantaneamente se l’ho colpito o meno e quanto danno ho inflitto) aiutandoci a rinforzare o modificare dei comportamenti.
– Learning by doing: Nei giochi si matura attraverso l’esplorazione e l’azione. Le idee teoriche trovano corrispondenza sul campo. Paradossalmente il fallimento viene incoraggiato, cosa che mai accade nella vita reale, come strumento per progredire e rinforzarsi nella storia.

Xmp: Mi sembra evidente che un concetto chiave sia quello dell’esplorazione. Anche in questo caso si tratta di un legame, di una continuità, del mondo video ludico con quello del transmedia storytelling?

Fabio Viola: Negli ultimi anni i videogiochi hanno intrapreso sempre più spesso la strada di “open worlds”, mondi aperti e non lineari in cui viene esaltata la componente di libero arbitrio ed esplorazione dei giocatori. Pensiamo a giochi come Red Dead Redemption, Grand Theft Auto V e Minecraft, non più imbrigliati in livelli pre-definiti ma in scenari, a volte fedelmente ricostruiti rispetto alla controparte reale, nei quali vi è una più o meno ampia libertà di interazione. Se ci soffermiamo ad analizzare il gameplay di molti giochi open worlds noteremo sempre una certa tendenza del designer a mantenere il controllo dell’esperienza attraverso l’introduzione di missioni obbligatorie o laterali da portare a termine, fondamentale per continuare a veicolare una narrazione.

 

INTERVISTA COMPLETA

Progettare videogiochi ed applicazioni al Liceo

Sono fermamente convinto che i tempi siano maturi per inserire la progettazione, design e programmazione di applicazioni e videogiochi come materia curriculare negli istituti superiori italiani. Da oltre una decade una buona parte della nostra vita viene spesa online o mobile, utilizziamo quotidianamente siti internet, software, applicazioni per facilitarci la quotidianeità. Dobbiamo fornire a questa nuova generazione di nativi digitali gli strumenti tecnici base per tirar fuori l’enorme potenziale creativo che spesso faticano a far emergere nella didattica insegnando loro nuovi metodi di collaborazione e relazione col corpo docente.

Ho avuto la fortuna  di prender parte alla prima sperimentazione italiana portata avanti presso il Liceo Rosmini di Trento. Col supporto di alcuni docenti, e sotto la direzione del responsabile progetto dottor Pasquale Catalano, mi è stato chiesto di preparare un piano didattico finalizzato alla formazione sui temi dell’innovazione. Pianificate le quasi 100 ore curriculari, si è deciso di comune accordo di finalizzare il percorso dando vita anche a dei progetti (siti web ed apps mobile) in grado di avere una reale ricaduta sul territorio.

Premetto che per me è una grande sfida portare al Liceo temi che tratto normalmente nei miei corsi universitari a Roma (Tor Vergata) e Milano (IED), ma ho deciso di coglierla lasciandomi contagiare dall’entusiasmo dei ragazzi e dei docenti.

Abbiamo individuato 3 macro-temi da aggredire:

1) Eco-sostenibilità nella città di Trento: come incentivare la popolazione ad assumere comportamenti “verdi” dalla raccolta differenziata al bike/car sharing fino al risparmio energetico nella propria abitazione.

2) Attirare turismo eno-gastronomico in Trentino Alto Adige raccontando le tradizioni culinarie, i piatti tipici cercando di coinvolgere tutti gli attori della filiera: produttori, ristoratori, negozianti

3) Incentivare la sensibilizzazione sul tema della povertà e condizioni di vita dei bambini in Africa attraverso un percorso di storytelling emotivo in grado di favorire le donazioni.

Per tutti i progetti abbiamo deciso di pensare fuori dagli schemi, sviluppando software che integrino elementi di gamification e game design per rendere più appealing ed ingaggiante l’esperienza.

Dati questi brief ai ragazzi, divisi in gruppi di lavoro, li stiamo accompagnando nella realizzazione di un documento di design che sviscera le idee, le interfaccie, i menù e tutti gli aspetti che andranno materialmente a sviluppare. Eh si, a partire da Dicembre saranno i ragazzi stessi a dar vita e forma alle loro idee attraverso un framework open source chiamato WordPress + BadgeOs.

La scuola ha dovuto investire solo nell’acquisto di tre domini e di licenze software multi-utente per 500 euro, ottenendone in cambio prodotti che hanno un valore sul mercato di diverse decine di migliaia di euro. Non è un caso che i progetti hanno subito destato l’attenzione  di aziende ed enti pubblici territoriali disposti a investire per una uscita commerciale degli stessi.

Nei primi due mesi di lavoro insieme (si concluderà con la fine dell’anno scolastico) io e loro stiamo imparando tanto.

 

Il Liceo Rosmini di Trento è il primo in Italia a inserire lo sviluppo di applicazioni e videogiochi come materia curriculare sotto la guida di Fabio Viola

Il Liceo Rosmini di Trento è il primo in Italia a inserire lo sviluppo di applicazioni e videogiochi come materia curriculare sotto la guida di Fabio Viola

– I ragazzi del Liceo hanno una mente estremamente aperta, sono in grado di formulare idee fortemente innovative che necessitano di una guida per essere standardizzate e trasformare in un documento di fattibilità

– Il lavoro misto individuale/collettivo aiuta il coinvolgimento e il mantenimento dell’attenzione

Docenti e studenti si pongono sullo stesso livello nelle fasi di brainstorming e progettazione

– Per la prima volta in aula sono i docenti che spesso chiedono aiuto e si lasciano guidare dagli studenti che padroneggiano meglio i temi dell’innovazione

– Lavorare su un progetto che avrà un reale rilascio sul mercato spinge tutti a dare il meglio, non saranno giudicati con un voto per questa esperienza curriculare ma dalla cittadinanza per la bontà dell’idea ed esecuzione.

Sono sicuro che questo progetto non resterà un caso isolato e possa rappresentare un esempio per altri istituti. Resto a disposizione di presidi e docenti per approfondire le opportunità, chiamatemi al 3315789157.

 

Insegnare Videogiochi e Gamification al Liceo

Lo scorso 23 e 24 Ottobre il nostro Fabio Viola, game e gamification designer, ha tenuto 11 ore di lezione presso il Liceo Rosmini di Trento all’interno di un progetto che porterà circa 30 studenti tra i 16 ed i 17 anni, a realizzare progetti di innovazione sociale. E’ sempre più impellente l’introduzione dei videogiochi come strumento didattico in grado di veicolare messaggi, nozioni e idee agli studenti in un linguaggio a loro più vicino.

 

Intervista ad Altera Studio, autori di Pirate Fishing per Al Jazeera

Nei giorni scorsi abbiamo introdotto una interessante case histories di gamification made in Italy realizzata dal team italiano di Altera Studio. Pirate Fishing è un esempio di innovazione in cui video-documentari, giornalismo, videogames si fondono per veicolare un messaggio sociale su un pubblico internazionale come quello di Al Jazeera. Il creative director del gruppo, Ivan Giordano, si è gentilmente prestato a rispondere ad alcune domande che il nostro Fabio Viola gli ha posto per comprendere meglio questo progetto transmediale.

[Fabio Viola] Come nasce l’idea di un progetto transmediale come Pirate Fishing? Quello che ora possiamo giocare online coincide con la prima idea o è stata una lunga evoluzione concettuale?

[Ivan Giordano]  Altera Studio è un’azienda relativamente giovane e da quando siamo nati ci siamo posti come orizzonte quello della transmedialità. La voglia di realizzareun webdoc è nata da uno studio sulla narrazione interattiva applicata al videogiornalismo che portavamo avanti da circa un ann

Pirate Fishing, un gioco di giornalismo investigativo, pubblicaro da Al Jazeera

Pirate Fishing, un gioco di giornalismo investigativo, pubblicaro da Al Jazeera

o. Abbiamo proposto quindi a Juliana Ruhfus di corredare uno dei suoi documentari di inchiesta di un prodotto web interattivo. Siamo partiti da un’idea di fondo e da una lista di obiettivi. La forma che ha assunto il prodotto è il frutto di uno sviluppo stratificato che è avanzato mettendo a frutto i feedback che abbiamo ricevuto negli user test sui prototipi.

[Fabio Viola]  Per dare una idea di massima, quanto tempo ha richiesto il progetto dalla fase di brainstorming alla messa sul mercato? Quante e quali figure professionali sono state coinvolte?

[Ivan Giordano] Dall’approvazione ufficiale del progetto la produzione è durata circa un anno e mezzo. Io come direttore creativo ho curato in stretta collaborazione con Juliana Rhufus la progettazione del webdoc, ho tenuto i rapporti con il cliente ed ho architettato e coordinato il workflow del gruppo di lavoro. Davide Lemma, produttore esecutivo, ha tenuto il timone finanziario della produzione e ne ha organizzato i tempi. Vincenza Peschechera, responsabile dell’immagine, ha curato la direzione creativa del progetto ed ha realizzato le illustrazioni presenti nel webdoc. Niccolò Albani con Vincenza si è occupato del webdesign, realizzando le grafiche vettoriali e web. Giulio Rubino ha coordinato il lavoro di editing editoriale e giornalistico, Riccardo Cocozza ha curato in toto il lato audio del progetto dall’editing e mix delle clip, alla
composizione delle musiche originali, Alessandro Latrofa e Roberto Tafuro, con l’aiuto di Antonio Bellusci, si sono occupati rispettivamente dell’editing video e dei VFX. David Carrus e Francesco Frammartino hanno portato avanti la programmazione ed il debug.

[Fabio Viola] Come ha funzionato il flusso di lavoro tra voi (team di sviluppo), la giornalista Ruhfus (autrice del documentario originale) e il network televisivo Al Jazeera (il publisher)

[Ivan Giordano] Con Juliana, abbiamo lavorato gomito a gomito in tutte le fasi di produzione, dall’ideazione al debug. Ci siamo scambiati moltissime email, abbiamo spesso parlato in conference call ed abbiamo lavorato fisicamente insieme in alcune fasi cruciali della produzione. Con il network, dopo una prima intensa fase di collaborazione che ci ha fornito i paramentri tecnici ed editoriali da rispettare, abbiamo avuto scambi all’incirca mensili in occasione degli step di avanzamento del progetto. Infine una nuova fase di interazione molto intensa a tre fra noi, il network e l’autrice è avvenuta in occasione della fase

di debugging e pubblicazione

[Fabio Viola] Come si crea una storia e delle interazioni partendo da un documentario video già esistente? E’ stato facile il processo di adattamento o credete sia meglio creare un racconto da zero?
[Ivan Giordano]  Il processo di adattamento del documentario lineare non è stato affatto facile. Siamo partiti da alcune esigenze molto precise da parte del cliente. In particolar modo la linearità della trama e la mole e la sequenza delle informazioni giornalistiche fornite all’utente sono state accuratamenteì conservate rispetto all’opera originale. Anche il montaggio delle clip ha rispettato molto precisamente gli standard e lo stile del network. Un primo progetto di struttura interattiva è stato quindi sviluppato in un prototipo che abbiamo sottoposto a più fasi di test, portando avanti la produzione con un modello di workflow che definirei organico, un processo cioè che ha portato la fase di progettazione molto avanti lungo la produzione e che, non lavorando a sequenze produttive successive, ha consentito al progetto di evolversi rispetto all’idea iniziale. Molte nuove caratteristiche sono state implementate al progetto di partenza ed alcune delle features inizialmente previste (ad esempio, dead ends, meccanismi di prodromicità, giochi interattivi, layers interattivi sul video) sono state eliminate in base ai riscontri di utilizzo. Personalmente sono molto stimolato dalla progettazione e dalla produzione transmediale e l’idea di associare prodotti interattivi a documentari broadcast mi sembra per molte ragioni futuribile. Alla luce di questa esperienza sto sviluppando il workflow di produzione utilizzato con Pirate Fishing verso una ancora maggiore organicità, per un modello che integri un responsabile del progetto web già in fase di shooting del doc lineare.

 

[Fabio Viola] Non sono ancora molti gli esempi di gamification applicati al giornalismo investigativo. Come mai avete scelto proprio questa tecnica? Cosa vi aspettavate dal suo utilizzo e cosa avete imparato maneggiandola?

[Ivan Giordano]  La scelta di usare elementi di gamification ci è parsa subito molto naturale ed il linea con il prodotto che avevamo in mente, l’obiettivo era quello di generare engagement e raggiungere uno dei target che con il cliente ci si prefiggeva, quello della didattica. Forse uno degli aspetti su cui più abbiamo imparato riguarda la variabilità dell’efficacia delle differenti tecniche di gamification a seconda del target al quale ci si propone e del modello narrativo con cui si lavora.

[Fabio Viola] Uno dei problemi principali nel raccontare una storia in cui l’utente/giocatore diventa parte attiva è sicuramente il giusto bilanciamento tra il veicolare nozioni progressive e la sua libertà di azione e senso di protagonismo. Quale è la vostra opinione?

[Ivan Giordano] Si, nel nostro caso questo è il punto forse cruciale. La mia opinione è che i modelli di narrazione interattiva sono in questa fase modelli unici sperimentali e che uno dei rischi in cui si può più facilmente incorrere è quello dell’interattività per l’interattività. Nel giornalismo investigativo televisivo poi, le questioni della responsabilità giornalistica, del rapporto fra il prodotto televisivo e quello web, rendono la faccenda ancora più complicata, sia in fase di proposta da parte dell’emittente, sia (sopratutto) in fase di ricezione da parte del pubblico. Il rischio che il pubblico percepisca come svilita una questione molto seria, così come quello di mantenere un approccio troppo “istituzionale” per il web, sono sempre dietro l’angolo. Io credo che per il caso specifico di associare ad un’inchiesta televisiva, un prodotto web interattivo, si debbano modulare le informazioni che i prodotti forniscono ed il modo in cui lo fanno, nell’ambito di una strategia distribuitiva transmediale strutturata. In simbiosi con il prodotto televisivo, il webdoc può ricevere slancio e massa critica perchè si inneschino dinamiche virali che a loro volta ritornerebbero vantagiose ad esempio per la fruizione del documentario on demand. In questo senso sto lavorando ad un progetto che metta al centro della progettazione una strategia distributiva coordinata fra web e tv. Si tratta di un modello che influenza direttamente l’architettura della user interface e lo svuluppo della narrazione; il webdoc lavorando in forte sinergia con il documentario lineare, oltre a sviluppare una versione semplificata della trama lineare, può più facilmente aprirsi a divagazioni narrative ed a meccanismi di serious game (trivia, esplorativi) che magari offrano agli utenti “ricompense” il cui innesco è partito da grafiche applicate al documentario televisivo.

[Fabio Viola] Avete introdotto alcuni elementi tipicamente gaming come badge,stages/livelli, libertà di prendere alcune decisioni in stile giochi punta e clicca, punti, una interfaccia di controllo game like, ci sono degli elementi che ripensandoci avreste aggiunto? E se si quali e con quale finalità?

[Ivan Giordano] Difficile da dire, la produzione è ancora molto fresca e la fase di analisi del risultato è ancora in corso. Molte delle riflessioni che ne stanno scaturendo stanno articolandosi intorno al nuovo progetto di cui dicevo precedentemente che però ha un impianto abbastanza diverso dal Pirate Fishing per ragioni di distribuzione e target. Detto questo se dovessi tornare indietro forse modificherei la modalità di fruizione dei video ed inserirei degli elementi di trivia game. A pensarci bene, un tool che era presente in precedenti fasi del webdoc e che forse con alcuni accorgimenti reintrodurrei è la Alert Bar, uno strumento attraverso il quale il prodotto “parlava” all’utente dandogli indicazioni e suggerimenti in base ai dati di utilizzo che recepiva.

 

[Fabio Viola] Quali sono le prime reazioni dei giocatori? Avete alcune statistiche condivisibili?

[Ivan Giordano] Abbiamo implementato nel sito analytics ed il broadcaster cura la monitoria. I riscontri che abbiamo avuto da parte del cliente riguardo i risultati di visualizzazione e condivisione immediatamente a ridosso della campagna di lancio sono stati molto positivi.

MASTER di I Livello in TEORIA, DESIGN e APPLICAZIONI della GAMIFICATION

Sono liento di annunciarvi l’arrivo del primo master in Europa istituito da una Università Pubblica e con rilascio di titolo di studio legate in Gamification. E’ stato un processo lungo, ma arriva in un momento in cui questa nuova scienza ha raggiunto un buon livello di maturità ed applicazione nei più svariati ambiti economici e sociali anche in Italia. Il corpo docente è di livello e le prospettive lavorative post Master altamente interessanti in una fase in cui le aziende ricercano attivamente figure di gamification ed engagement.

Non ho potuto dire di no a questa iniziativa di cui sono membro del comitato scientifico tra autorevoli docenti italiani ed internazionali, vi aspetto!

Il 1° master con titolo legale sulla Gamification lanciato dallUniversità Tor Vergata di Roma

Il 1° master con titolo legale sulla Gamification lanciato dallUniversità Tor Vergata di Roma

 

In occasione dell’anno accademico 2014-2015 è stato attivato il primo Master Universitario Europeo dedicato alla formazione di specialisti in Teoria, Design e Applicazioni della Gamification

Il settore della Gamification, ovvero dell’applicazione delle tecniche di gioco all’interno di ambiti non ludici, è in rapida crescita e offrirà enormi opportunità di lavoro nel prossimo futuro. Si prevede, infatti, che nel 2015 più del 70% delle 2000 più grandi compagine utilizzerà tale approccio e rilascerà almeno una applicazione basata sulla ‘gamification’. La gamification, inoltre, è destinata a conquistare sempre maggiore spazio anche in altri ambiti, non strettamente legati al mercato, come quelli dell’erogazione dei servizi sociali e più in generale dei servizi al cittadino, della salute, della preservazione dell’ambiente e della trasformazione dello spazio urbano. Non a caso il mercato della ‘gamification’ ha raggiunto quasi mezzo miliardo di euro e le previsioni sono per una rapida crescita che lo porterà sino ad almeno 4 miliardi annui entro il 2018.

Esperti del settore – provenienti da  digital fun, Forum PA, Fulfill Communication, Microsoft, SAP, Spinvector, NTNU, Rostock University e Università di Tor Vergata  – sono stati coinvolti per offrire un percorso unico, operativo e concreto, che oltre a consentire di acquisire i necessari strumenti teorici e metodologici permetterà di sviluppare abilità progettuali e metter in pratica gli approcci propri della gamification.

 

SCHEDA TECNICA:

Oggetto                                  Master in Teoria, Design e Applicazioni della gamification

 

Organizzazione                      Dipartimento STF – Università di Roma Tor Vergata

 

In convenzione con                 ISIA Roma  e DigitalFun s.r.l.

 

Sito web                                www.mifav.uniroma2.it/inevent/events/magam/index.php

 

Bando                                     web.uniroma2.it/modules.php?name=Content&navpath=DID&section_parent=5465

 

Scadenza preiscrizione           1 Dicembre 2014

 

Inizio lezioni                           prima settimana di Febbraio 2015

 

Modalità di svolgimento       blended (mista presenza distanza) e didattica attiva per “project work”

 

Costo                                      4.000 €

 

Info su contenuti    e processo didattico                info [at] mifav [dot] uniroma2 [dot] it

 

Segreteria Master del Dipartimento STF        master [at] stf [dot] uniroma2 [dot] it /   06 7259 5714

 

 

Gamification made in Italy – Original Marines con Play Original

Quest’ ultimo scorcio 2014 ci sta regalando, finalmente,  delle interessanti case histories italiane di gamification. Abbiamo visto insieme la scorsa settimana il newsgame Pirate Fishing di Altera Studio (in settimana pubblicherò una esclusiva intervista al team di sviluppo) ed ora è il momento di analizzare uno dei migliori esempi di gamifcation in ambito marketing interamente nato nel Bel Paese, con precisione in Campania. Original Marines, ormai trentennale marchio dell’abbigliamento, ha lanciato nel Settembre 2014 l’iniziativa #PlayOriginal con degli obiettivi ben chiari in mente. Citando un commento del Digital Marketing Specialist della compagnia, Davide Basile:

“Con questo progetto abbiamo voluto provare ad applicare elementi di gioco al nostro business per stimolare l’engagement, fidelizzare i nostri clienti e provare a prendere nuovi clienti da bacini un po’ più distanti dai nostri usuali”.

Original Marines lancia la campagna gamificata Play Original

Original Marines lancia la campagna gamificata Play Original

L’esperienza dell’utente è estremamente lineare. Una volta approdati sulla pagina del concorso è facilmente intuibile cosa ci viene chiesto e cosa ci viene dato in cambio attraverso specifiche sezioni, grafiche come quella di cui sopra ed un video di presentazione. Il driver motivazionale per spingere l’user all’iscrizione è sicuramente la promessa di accedere a premi come crociere, buoni sconto e gadgets del brand o di terze parti partners. Una volta completata la registrazione è possibile accedere all’esperienza di gamification.

La meccanica principale di interazione è la strutturazione in missioni di una serie di azioni che il navigatore/giocatore può compiere al fine di guadagnare punti fondamentali per scalare le classifiche e sperare di risultare al vertice il 6 Febbraio, giorno in cui si chiuderà il contest. Interessante notare come esista una differenziazione temporale e di ripetibilità delle stesse conferendo un senso di novità e sorpresa che aiuta a tener vivo l’interesse. Alcune missioni sono eseguibili per tutta la durata del contest, altre hanno una data di inizio ed una fine aggiungendo un senso di urgenza per farle proprie.  Ad esempio la missione Batman ha validità dal 6 al 19 Ottobre e richiede “Iscriviti a #PlayOriginal e carica una foto (tua o di tuo/a figlio/a) in atteggiamento da supereroe. Se ti va scrivi anche una frase in cui ci spieghi cosa vuol dire essere un Supereroe oggi! Puoi vincere uno dei premi a tema “Batman” messi in palio da Warner Bros, Lego e Mattel!” Espletando la missione non solo si ottengono 1000 punti, un coefficiente non facilmente ottenibile attraverso altre missioni “standard”, ma si partecipa anche all’estrazione di premi specifici messi in palio dal brand partner Mattel.

La gamma di azioni perpetrabile è veramente ampia, come di rado mi è capitato di vedere in iniziative analoghe.  L’immagine sottostante fotografa alcune forme di engagement con la relativa importanza per il brand come si evince dal punteggio ad esse assegnate.  Per comodità le macro-classifico in quattro differenti momenti di esperienza:

FASE DI ONBOARDING: Le prime 10 missioni dell’immagine sotto riguardano azioni utili al brand per entrare in contatto con l’utente, profilarlo, favorirne il rientro settimanale e la sua capacità di essere ambassador attraverso l’ancoraggio ai propri social networks e condivisione di contenuti via Facebook, Twitter, Google Plus e Instagram.. Su questo punto è interesante notare la diverisificazione del reward in relazione ai differenti social, Facebook viene “quotato” meno di di Twitter ed Instagram cosa insolita in altri progetti similari. Probabilmente l’idea alla base risiede nella naturale propensione che noi tutti abbiamo nell’utilizzare maggiormente FB e di conseguenza sarebbe lecito promuovere altri canali attraverso una maggiore retribuzione in punti.

FASE ON-SITE: Trattandosi di un brand “fisico” diventano fondamentali forme di interazione che richiedano il recarsi nei punti vendita, cosa che puntualmente viene solleticata nel contest. La tecnica utilizzata per tracciare i comportamenti fisici è quella degli “Activity Codes”. Personalmente ritengo che sia una strada interessante quando si è di fronte a target eterogenei a cui non si può porre una barriera di ingresso alta come uno smartphone, una applicazione e funzioni di tracking tecnologiche. Un coupon contenente un codice viene rilasciato nei punti vendita a fronte di determinate azioni, inserendolo poi sulla piattaforma è possibile sbloccare i relativi punti. Nella missione 1 Giubbotto “Dall’10/10 al 26/10/2014 acquista un giubbotto in un negozio Original Marines e riceverai una card con un codice. Inseriscilo per ricevere i tuoi punti”. In questo caso viene richiesta una azione direttamente collegata all’obiettivo primario di una azienda, incoraggiare l’atto di acquisto.

FASE ON-LINE: Sono numerose le missioni eseguibile esplorando e condividendo il sito web di Original Marines. In Like Original viene chiesto di “Naviga il sito e clicca like sui tuoi prodotti preferiti. Per ogni like (per un massimo di 3 al giorno) ricevi i punti!”.

 

Alcune missioni disponibili in Play Original

Alcune missioni disponibili in Play Original

FASE USER GENERATED CONTENT: Una specifica sezione sul portale dell’iniziativa è dedicata ai contenuti caricati dagli utenti. Una delle meccaniche maggiormente percorse dal team è quella di chiedere agli utenti l’upload di una loro foto in contesti particolari: davanti ad una nave MSC (partner dell’iniziativa) o mentre si indossano specifici capi Original Marines. Oltre a essere ben retribuite in termini di punti queste missions e la sezione “Gallery”  favoriscono l’auto-espressione degli individui collocandoli in una vetrina privilegiata. Non è casuale che, ad occhio, il target principale di questa sotto classe di missioni sembrano essere le donne.

Un dettaglio delle missioni focalizzate sugli User Generated Content

Un dettaglio delle missioni focalizzate sugli User Generated Content

L’esperienza lato utente è estremamente intuitiva, dalla pagine del profilo personale è possibile consultare il proprio status ed accedere a tutte le missioni senza necessità di doversi spostare tra diverse aree. Ogni missione è composta da un TITOLO, una descrizione, il reward di punti, indicazioni sulla validità e la call to action necessaria per espletarla (barra social piuttosto che carica foto)

Un dettaglio della pagine delle missioni in Play Originals di Original Marines

Un dettaglio della pagine delle missioni in Play Originals di Original Marines

Come quasi sempre accade, parallelamente ai punti viene implementata una Classifica dei migliori utenti. Nel progetto specifico è fondamentale per monitorarei top 10 utenti che sono in zona premi. E’ un peccato che non sia stata approfondita questa tecnica di gamification, ad esempio rendendo visibile la propria posizione in classifica oltre alla TOP così da offrire un rinforzo psicologico per provare a salire la china guardando quanti punti mancano per superare il diretto avversario. Altra implementazione ormai all’ordine del giorno è la possibilità di consultare la classifica in relazione al mio grafo sociale, essere inseriti in un contesto di persone a cui siamo collegato rinforza la connessione emotiva con l’esperienza.

La Leaderbord introdotta in Play Orignal

La Leaderbord introdotta in Play Orignal

Original Marines è riuscita a introdurre, in modo organico e sensato, anche i Badges. Se le missioni consentono di ambire ai premi finali, i badge sono stanzialmente dei livelli di gioco, raggiunti i quali è possibile ottenere dei buoni sconto da spendere presso il marchio.  Dal secondo al quarto traguardo si sbloccano coupons via via crescenti dal 10 al 20% (non cumulativi) spendibili in un qualsiasi store sparso per l’Italia. Questa è una giusta intuizione perchè se da un lato le missioni sono diversificate, ingaggianti e promettono ricchi premi, questi saranno ad appannaggio dello 0,..% dei partecipanti rendendo felici pochi e scontenti molti. Introdurre dei premi “secondari” facilmente accessibili a tutti senza pregiudizio alcuno (ad esempio coloro che scoprono l’inizativa in ritardo rispetto ad altri sono fortemente svantaggiati nella classifica all time) rende appetibile la competizione anche alla fascia di utenti più casual e meno “killers”. Per questo resto, in generale, grande fans della necessità di diversificare tra premi all time e premi periodici (basati sulla classifica del giorno o della settimana) per pareggiare la sfida rendendola il più possibile inclusiva.

Salendo di livello i giocatori sbloccano coupon via via più corposi

Salendo di livello i giocatori sbloccano coupon via via più corposi

Sempre dal commento di Davide Basile:

Il progetto è partito molto bene e nelle prime 3 settimane abbiamo registrato:

  • quasi 35.000 visualizzazioni dei 2 video su YouTube (realizzati in motion graphic, qui il dettaglio più legato al design -> https://www.behance.net/gallery/20658973/Original-Marines-PlayOriginal)
  • più di 110.000 visite al minisito del concorso
  • circa 8000 iscritti
  • traffico web nettamente migliorato rispetto allo stesso periodo dello scorso anno (uno degli obiettivi del progetto è proprio questo):
    • +60% di visite
    • +42% di nuovi utenti
    • +6,5% visitatori di ritorno (che hanno visitato il sito più volte nel periodo)
  • ottimi riscontri dai social network:
    • +20% nuovi likers (Facebook)
    • +95% engagement (Facebook)
    • +350% reach (Facebook)
    • 155.000 visualizzazioni per il post di lancio (Facebook)
    • +59% reach (Twitter)
    • +33% engagement (Twitter)

Sono molto contento della buona riuscita di questo progetto perchè conosco, avendole provate personalmente, le difficoltà in Italia di arrivare al lancio di progetti digitali innovativi in cui è necessario coinvolgere varie aree dell’azienda: prodotto, comunicazione, marketing, team legale per la parte concorsi, IT. Purtroppo questa è una complicazione spesso superata all’estero grazie all’introduzione di una figura professionale chiamata “engagement director” in grado di lubrificare il rapporto tra le varie anime di una azienda.

Sono sicuro che questa ottima esecuzione, seppure migliorabile in un paio di aspetti evidenziati nel pezzo, faciliterà le strade in altre aziende che da tempo ragionano sul tema senza il coraggio di confrontarsi col proprio pubblico.

Il buon storytelling crea emozioni e cambia comportamenti attraverso l’Ossitocina

..Isacc Clarke parla con la sua fidanzata Nicole ma è tutto un sogno… La realtà lo riporta in una sala medica,  imprigionato in una camicia di forza a colloquio con uno psichiatra…il male si avvicina ed inizia una fuga tra corridoi infestati da necromorfi…

Uno studio condotto da Vertical Slice ha analizzato le reazioni dei giocatori di fronte ad una serie di videogiochi mostrando scientificamente come il flusso narrativo possa realmente influenzare alcuni nostri parametri vitali come temperatura superficiale, conducibilità elettrica della pelle, battito cardiaco e di conseguenza il nostro cervello.

Questo Youtuber alle prese con Dead Space 2 ci esemplifica, senza supporto scientifico, quanto potente ed ingaggiante possa essere una storyline ben costruita portandoci alla totale identificazione col protagonista…

Questo straordinario potere di creare una forte connessione non è solo dei videogiochi, anzi dobbiamo a libri e cinema la capacità di fare “storytelling” nel senso moderno del termine. Se nei media fin qui citati la narrazione ha il compito di creare engagement, è assolutamente pensabile estendere la sfera di influenza al mondo commerciale e no profit riutilizzandola come tool.

Diamo una occhiata alla campagna pubblicitaria della birra Budweiser andata in onda durante il Superbowl americano (4 milioni di dollari per uno spot di 60 secondi..) dal titolo “Puppy Love”

Una storia di amicizia tra due animali sovrastata da difficoltà fino ad un picco che vede il labrador adottato e portato via dal ranch. Quando ormai tutto sembra perduto i cavalli impediscono all’auto guidata da coloro che hanno adottato il cane di lasciare la tenuta e finalmente la storia di amicizia si corona e tutti vivranno felici e contenti.

Noi essere umani siamo attratti dalle storie in quanto creature sociali interconnesse l’una all’altra, sin dalla nascita della specie umane ci raccontiamo e tramandiamo storie.  Molte di queste storie seguono spesso degli schemi standardizzati, tant’è che ancora oggi è attualissimo il libro Tecnica del dramma (1863) scrtto da Freytag anche conosciuto per la sua Piramide.

Spesso i racconti seguono i lseguente schema:

Introduzione: Il lettore conosce il personaggio principale e l’ambientazione; apprende informazioni fondamentali e trova l’elemento che motiva il resto della storia.

– Crescita: L’azione accelera e la tensione aumenta verso il culmine della storia. Le relazioni tra personaggi e fatti diventano più dettagliati e incalzanti.

– Climax: Il culmine dovrebbe essere la parte più emozionante della storia. Questo è il picco della piramide Freytag, anche se non necessariamente presente nel mezzo della storia, come suggerisce il modello piramidale. Il protagonista trova il suo momento decisivo, il culmine, in un momento di grande conflitto interno e/o esterno. Se vi è un antagonista significativo, è il momento in cui il protagonista decide di scontrarsi.

-Decrescita Lo stato di eccitazione va verso uno stato di risoluzione. Il protagonista può avere un cambiamento permanente, positivo o negativo. La situazione non è stata risolta, ma il periodo di maggior tensione e pericolo è dietro il protagonista.

– Risoluzione Nel finale, i segreti vengono rivelati e le tensioni si sciolgono. In un romanzo poliziesco classico, questa è la sezione in cui il cattivo confessa e viene portato ad affrontare la giustizia. In una storia d’amore, i due vanno a vivere insieme, felici e contenti.

La Piramide di Freytag per costruire uno storytelling

La Piramide di Freytag per costruire uno storytelling

Un passo avanti nella compresione di questo legame storytelling/engagement arriva un recente studio pubblicato dal professore Paul J. Zak su Harward Business Review.

“Un decennio fa, il mio laboratorio scoprì che l’ormone ossitocina favorisce l’approccio verso gli altri individui quando arriva nel cervello. L’ossitocina viene prodotta quando percepiamo la fiducia degli altri in noi esiamo gentili mootivando la cooperazione col prossimo.  Esso naturalmente aumenta la nostra empatia e l’abilità di comprendere le emozioni altrui.

Il passo avanti nelle ricerche arriva dalla constatazione che sia possibile “hackerare” il sistema dell’ossitocina per motivare le persone a virare su comportamenti di cooperazione. Ed ecco una cosa nota, ma ora scientificamente comprovata, la sintesi dell’ossitocina viene indotta quando ci sono storie basate su personaggi. Potremmo definire l’Ossitocina l’ormone dell’Empatia. In relazione alla quantità immessa in circolazione avremo comportamenti sociali, caritatevoli, altruisti più o meno intensi.

Concludendo, ritengo che sia fondamentale introdurre una storia nei progetti gamification based. Creare un senso più ampio alle azioni, magari meccaniche e ripetitive che chiediamo di compiere agli utenti, aiuta a creare più forti connessioni emotive ed a catturare maggiormente la curva di attenzione. Molto possiamo imparare da quanto avviene da un secolo nell’industria cinematografica e da qualche decennio in quella dei videogiochi.

storytelling-brain

Il newsgame Pirate Fishing di Al Jazeera parla italiano!

Lo scorso 25 Settembre il network editoriale Al Jazeera ha lanciato Pirate Fishing, il suo primo newsgame realizzato dall’italiana Altera Studio.  In concomitanza col World Maritime Day, questo prodotto transmediale porta l’utente/giocatore a indossare i panni di un giornalista investigativo impegnato a smascherare il business multi milionario della pesca di frodo In Sierra Leone. Tutto è reale, infatti il gioco è basato su un documentario dal medesimo nome realizzato dalla giornalista Juliana Ruhfus e andato in onda tempo addietro nella rubrica People & Power. Durante il “gioco” sarà possibile comprendere cosa accade sulle coste del paese africano, uno dei più poveri al mondo, dove sovente pescherecci di frodo provenienti dalla Corea del Sud (e non solo) arrivano di notte depredando l’unica risorsa che genera sostentamento per milioni di abitanti della Sierra Leone. Nel corso dell’avventura  si arriverà a investigare su questi crimini fino a filmare una imbarcazione intenta in quest attività delittuosa.

Pirate Fishing, un gioco di giornalismo investigativo, pubblicaro da Al Jazeera

Pirate Fishing, un gioco di giornalismo investigativo, pubblicaro da Al Jazeera

A livello concettuale Pirate Fishing rappresenta una evoluzione e stratificazione di quanto sperimentato in prodotti come Save The Haiti Earthquake (il mio articolo), assistiamo un passaggio da un documentario interattivo con alcuni principi di gamification, ad un vero e proprio gioco dove con tanto di obiettivi e regole da perseguire all’interno di un contesto dove fanno la loro comparsa punti, progress bars e badges.

La meccanica base del prodotto è muoversi nel racconto attraverso la visualizzazione di clip Youtube embeddate nel portale, tutte provenienti dal reportage della Ruhfus. Ciascuna porta con se alcune informazioni rappresentate sotto forma di carte ed a questo punto spetta al giocatore classificarle e spostarle, tramite la funzione drug & drop, sotto le caselle Evidence, Notes e Background. Ad ogni match appropriato si ottengono dei punti utili per proseguire nell’inchiesta attraverso i vari livelli che la compongono.

La narrazione introduce, anche se con meno spessore emotivo rispetto alla soluzione di Haiti, una serie di scelte che conferiscono un piccolo grado di libertà esplorativa al giocatore. Ci saranno frangenti in cui possiamo decidere come procede l’indagine ed altri in cui possiamo visionare o meno alcuni video non fondamentali nello storytelling. Riallacciandomi alla terminologia ed esempi introdotti in un recente articolo, siamo in presenza di scelte semplici, mancano quelle componenti che rendono una scelta “strutturata”.  Tendenzialmente le scelte non presentano un outcome personalizzato e differenziato, l’esito dell’investigazione è lineare e non contestualizzato tra i giocatori.

Interessante la spiegazione che dà del progetto la giornalista:

“Noi stiamo sostanzialmente gamificando l’attualità. Il giornalismo investigativo può sembrare materia elitaria, ed è qui che ci viene incontro la gamification consentendoci di dialogare con una intera nuova generazione di giornalisti digitali. Questi sono individui fortemente motivati verso una fruizione partecipativa e non solo passiva della lettura. E’ fondamentale per noi esplorare nuovi modi per raggiungere nuovo pubblico”.
Nel corso dell’esperienza sarà possibile approfondire la conoscenza di locations e personaggi reali, ad esempio il Centro di Sorveglianza Marittima della Sierra Leone con i suoi responsabili. Una visuale in stile google maps rappresenta su schermo i punti di interesse ai quali è possibile accedere per raccogliere nuovi frammenti di verità. Una serie di badges aiutano a guidare alcuni comportamenti come quello di esplorazione offrendo l’ormai immancabile possibilità di sharing.

A destra il menù di interazione con la storia rende Pirate Fishing una storia inerattiva gamificata

A destra il menù di interazione con la storia rende Pirate Fishing una storia inerattiva gamificata

Al termine degli stages (livelli) il giocatore potrà guadagnare l’agognato titolo di senior journalista, meritato vero?

Che direi di Pirate Fishing, è un esperimento coraggioso che cerca di bilanciare il flusso narrativo di un video-documentario reale con la partecipazione attiva dei giocatori. Sicuramente centra in pieno l’obiettivo di far comprendere ai non addetti al settore cosa realmente significhi fare giornalismo investigativo e riesce bene a veicolare informazioni su un tema specifico e locale che altrimenti rischia di passare inosservato verso il grande pubblico. Sicuramente sul lato puramente di gamification era possibile offrire maggiore complessità nelle scelte per connettere in modo più profondo alla storia ed approfondire meglio la fase di onboarding.

 

 

Meaningful Choices tra Game e Gamification Design

Una famosa frase del 2000  di Sid Meier recita”a game is a series of interesting choices”. I videogiochi sono un luogo virtuale dove (n.b. non sempre, ad esempio Dance Dance Revolution o Guitar Hero non utilizzano questa tecnica), il giocatore deve assumere delle scelte: vado a destra o a sinistra? Uccido prima  un nemico o l’altro? Utilizzo ora un power up o lo conservo per dopo? In questo aspetto sono il medium che più si avvicina alla vita reale differenziandosi ampiamente da musica, editoria, cinema dove le scelte sono tendenzialmente non contemplate. Le scelte che ho accennato in precedenza non sono casuali, rappresentano un gradino, si importante, ma basilare nell’architettura del disegno della scelta. Sono tutte azioni che si ripercuotono unicamente sul giocatore e sulle sue statistiche non sul mondo circostante.

Prendiamo OutRun, videogioco creato da Sega nel 1986 che ebbe subito un grandissimo successo sia in versione arcade che home. Un elemento di forte differenziazione rispetto alla produzione precedente fu la non linearità del percorso, spesso il gioco poneva il giocatore di fronte ad una scelta se prendere la diramazione destra o sinistra della strada che a loro volta portavano a destinazioni differenti. Come emerge dal video, si tratta sicuramente di scelte semplici che non implicano ragionamenti mentali complessi

Sono convinto che queste ” Scelte Semplici” rappresentino un valore aggiunto nella creazione di progetti gamification based conferendo all’utente un parziale senso di autonomia e personalizzazione dell’esperienza.

Grattando via la superficie, è possibile passare da Scelte Semplici a Scelte Strutturate (Meaningful Choices) che maggiormente concorrono a creare emozion ed attivare la riflessione che è l’anticamera per il ricordo.

The Walking Dead Game fa delle scelte un tratto fondamentale del gameplay

The Walking Dead Game fa delle scelte un tratto fondamentale del gameplay

Prendiamo ad esempio il gioco The Walking Dead sviluppato da Telltale, è una impressionante sequenza di scelte che cambiano la narrativa e l’esperienza di gioco portandoci continuamente a riflettere sull’aver compiuto o meno la scelta più appropriata. In questo caso, come in altri, potremmo parlare di “Scelta Strutturata” perchè la decisione affligge non solo il personaggio ma l’intero gameplay e mondo di gioco. Su La Stampa, Ivan Fulco sintetizza bene l’essenza di TWD ”

“In The Walking Dead, il giocatore viene informato all’inizio di ciascun episodio che le sue scelte avranno ripercussioni sugli eventi e sui comportamenti degli altri personaggi. Nel momento in cui rimane emotivamente coinvolto dagli eventi, si sovrappongono così più sentimenti in ogni decisione, dal puro egoismo autoconservativo alla speculazione su cause ed effetti, dall’empatia verso determinati personaggi alla necessità di gestire i rapporti interpersonali in modo vantaggioso per sé e per il gruppo. Il sistema di dialoghi, che in alcuni frangenti richiede di scegliere una risposta entro un tempo limite, costringe inoltre a compiere alcune scelte in tempi brevi, quasi d’istinto”.

Il diagramma in alto mostra le importante scelte dinanzi alle quali vengono posti i giocatori, scelte strutturate perchè portano in se i quattro pilastri dell’architettura della scelta (ho attinto anche da Brice Morrison) a cui si sovrappangono altre semplici spesso collegate a opzioni di risposta multipla in taluni dialoghi.

1) CONSAPEVOLE

Il giocatore deve sentirsi padrone della scelta potendo ponderare elementi che lo spingano a scegliere A piuttosto che B. In OutRun questo elemento di consapevolezza (salvo rigiocarlo più volte e comprendere che le svolte a sinistra portano a sentieri più semplici)  è del tutto assente, in una frazione di secondo la strada si biforca e non vi sono dati razionali per decidere. In The Walking Dead si ha sempre un certo grado di maturità della scelta, ad esempio proprio sul finire del primo capitolo di gioco Lee si trova di fronte ad una durissima scelta: salvare Doug o Carley? Una tanto consapevole quanto atroce scelta che porta come conseguenza la morte di uno dei due personaggi.  L’interfaccia consente di avere tempo, permette di metabolizzare la scelta, far scattare un pensiero critico su come questa cambierà la nostra esperienza ed al contempo è facilmente attuabile mediante la pressione di un unico tasto.  Non c’è via di scampo, siamo noi responsabili del nostro destino e in nessun modo potremo successivamente incolpare il sistema di non averci fornito i tool decisionali appropriati. La forza narrativa, a mio avviso, si amplifica quanto la consapevolezza di una scelta è si chiara ma lascia un piccolo margine di dubbio nella testa del giocatore. Ci viene chiesto chi salvare, ma non ci viene evidenziato chiaramente il destino dell’altro personaggio anche se immaginabile.

Una delle tante scelte strutturate nei videogames

Una delle tante scelte strutturate nei videogames

2) CONSEGUENZE

Dopo una scelta è lecito aspettarsi una reazione del sistema, proprio la qualità dell'”outcome” influisce sulla magnitudine della meaningful choice. Intendo dire che se la scelta si limita all’utilizzare o meno un proiettile, la conseguenza sarà la statistica diminuita o stazionaria di quel parametro armi.  A volte la conseguenza può essere ancora di tipo “semplice”, ad esempio un premio puramente estetico come una staccionata nella mia fattoria virtuale di colore viola invece del solito blu. Altre volte, come il videogioco Heavy Rain, ci ha mostrato le conseguenze possono essere profonde e riguardare l’intero proseguo della nostra esperienza. Personalmente non amo quelle scelte che hanno esclusivamente un risultato immediato e non profondo. Pur nella sua genialità dell’epoca, parliamo del 1987, Wonderboy in Monsterland è per me un esempio incompiuto di strutturazione della scelta. Una volta giunti dinanzi alla Sfinge questa sputava fuori randomicamente una domanda a scelta multipla, in caso di risposta sbagliata si perdeva una vita. Tra l’altro le domande non erano improntate sulla consapevolezza, il 99% dei giocatori provava a rispondere casualmente salvo poi imparare che spesso la risposta esatta era la terza o apprendere che la cameriera incontrata in precedenza poteva aiutarci a capire la risposta.

Wonderbouy in Monsterland introdusse delle scelte nel suo platform game.

Wonderbouy in Monsterland introdusse delle scelte nel suo platform game.

Uscendo per un attimo dal contesto puramente video-ludico, un esempio di scelta ben radicata, consapevole e con delle conseguenze sul proseguo della storia lo vedo nel progetto Inside The Haiti EarthQuake, una esperienza che si colloca tra video-reportage e gamification. Siamo nell’ambito sociale, un progetto volto a sensibilizzare i cittadini mondiali sull’immane disastro che si è abbattuto sull’isola pochi anni or sono catapultandoli i nsituazioni reali come le hanno vissute i sopravvissuti, i giornalisti e cooperanti giunti li subito dopo il terremoto.

Un videoreportage interattivo che stringe l'occhio alla gamification è Inside the Haiti EartQuake

Un videoreportage interattivo che stringe l’occhio alla gamification è Inside the Haiti EartQuake

L’esperienza ci pone subito di fronte ad una scelta, vogliamo vestire i panni di un giornalista, di un sopravvissuto o di un cooperante? La scelta modifica il proseguo dell’esperienza consentendoci di viverla sotto la specifica angolatura.

Ed è qui che inizia il viaggio interattivo ed emotivo nel disastro

Ed è qui che inizia il viaggio interattivo ed emotivo nel disastro

I realizzatori di questo progetto si sono avvalsi di centinaia di ore di girato video e lo hanno assemblato utilizzando la tecnologia Flash. I video rientrano in un preciso percorso narrativo in cui viene chiesto al visitatore di prender parte attivamente alla storyline prendendo delle scelte, spesso drammatiche e ricche di ripercussioni.

Una delle tante drammatiche meaningful choice nell'esperienza

Una delle tante drammatiche meaningful choice nell’esperienza

Indossando i panni del sopravvissuto, dopo pochi istanti veniamo catapultati di fronte ad una scelta reale. Conosciamo il contesto, abbiamo appreso delle informazioni nel primo minuto di esperienza ed ora dobbiamo decidere se provare ad abbandonare la nostra casa per trovare riparo in centri di raccolta, spendere le nostre ultime gocce di energia per scavare e recuperare qualcosa o attendere lì confidando in Dio e che qualche soccorso raggiunga l’area.

E’  uno straordinario esempio di meaningful choice utilizzata fuori da un videogioco, i presupposti di Consapevolezza e Conseguenza sono rispettati creando una forte tensione emotiva.

3) CONFRONTABILE

Una scelta trova uno straordinario rinforzo quando confrontabile con le scelte delle altre persone, amiche o estranei che siano. Soprattutto in presenza di scelte morali, può stimolare la riflessione o il senso di colpa sapere che la maggioranza sta agendo diversamente da me. Sempre dall’ottimo articolo su The Walking Dead di Ivan Fulco su La Stampa:
“Accanto a ciascuna scelta, sullo schermo era mostrata inoltre la percentuale degli altri giocatori che, durante l’episodio, avevano preso le mie stesse decisioni. In un caso rientravo in un rassicurante 76%, in un altro in un dignitoso 63%, al minimo mi attestavo su una scelta condivisa dal 47%. Qualche giorno dopo, tuttavia, dopo aver completato anche il secondo episodio di The Walking Dead, tutto è cambiato. E riguardo una precisa scelta mi sono ritrovato di colpo in minoranza, immerso in un vergognoso 15%. È stato a quel punto che mi sono reso conto di essere un assoluto infame. Eppure, è stato lì che ho scoperto che i videogiocatori sono brava gente.”

Nella Gamification la funzione di “social pressure” è un driver motivazionale potentissimo, prendiamo ad esempio il progetto Spent, volto a sensibilizzare (e a generare donazioni) tutti noi sul tema della povertà. Ne ho parlato ampiamente in uno specifico post, in questa sede è interessante notare come al termine di quasi ogni scelta appaia una pop up che introduce delle statistiche generali. Ad esempio ci viene chiesto se pagare regolarmente il debito contratto per laurearci (mediamente in USA si accumula un debito di 30.000 dollari per laurearsi), al termine della scelta ci arriva una finestra informativa che ci informa che il 14.7% degli studenti non riesce a restituire il prestito. Non c’è una social pressure in tempo reale come avviene in The Walking Dead, ma anche questo paragone statico sicuramente incentiva la riflessione e il ricordo dell’esperienza.

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Spent contestualizza le nostre scelte confrontandole con la media americana

Spent contestualizza le nostre scelte confrontandole con la media americana

 

4) PERMANENTE

Una decisione non deve poter essere modificabile, una volta presa influenzerà il resto dell’esperienza portandoci costantemente a riflettere cosa sarebbe successo se…! In The  Walking Dead dopo una scelta si attiva un save automatico che ci impedisce di tornare indietro, se non ricominciando da zero l’esperienza. Più strutturata e vitale sarà la scelta maggiore ampiezza sarà conferita alla sensazione di frustrazione o gioia legata alla scelta compiuta. In iHobo, applicazione iPhone che ha generato oltre 4 milioni di euro in donazioni nel Regno Unito, l’esperienza è vicina a quella di un tamagotchi dove il protagonista è un senza tetto che continuamente ti pone di fronte a delle scelte bussando sul display del telefonino.

iHobo presenta una struttura di scelte irreversibili

iHobo presenta una struttura di scelte irreversibili

Se non si reagisce sollecitamente alle richiste, ad esempio indicargli un posto reale dove poter dormire,  l’esperienza può volgere velocemente verso pieghe negative con scelte definitive come vendersi il sacco a pelo per acquistare alcol o droga.

Come si è intuito da questo lungo articolo, l’argomento è veramente complesso e profondo, Imparare a mangeggiare l’architettura della scelta significa saper dialogare emotivamente col proprio giocatore o visitatore.

ImmuneQuest: Scoprire il sistema immunitario giocando

Il team di sviluppo Syandus, grazie ad un finanziamento della National Science Fondation, ha dato vita ad un vero e proprio videogioco che ha la specifica missione di educare e veicolare nozioni sul Sistema Immunitario. L’obiettivo è proprio quello di inspirare gli studenti liceali ed universitari a diventare futuri scienziati e medici attivi nel ramo dell’immunologia.  Ad oggi la disciplina è ancora affrontata col classico sistema frontale, ma i libri non sempre riescono a raccontare in modo evocativo la complessità del nostro corpo ed i continui interscambi in tempo reale tra agenti che ci difendono e virus che ci attaccano. ImmuneQuest riesce perfettamente a colmare una lacuna didattica coniungando ambienti immersivi 3D, avanzati metodi di apprendimento digitale, nozioni scientifiche curate da un team di ricercatori, un sistema di metriche in tempo reali gestibili dagli educatori ed un contesto appealing in grado di tenere gli studenti incollati a schermo lungo i livelli che compongono l’avventura.

ImmuneQuest dvide il sistema immunitario in cinque aree principali o macro-livelli. Ciascuna di essa consta di 3 livelli interattivi accessibili gratuitamente + tre extra sbloccabili a pagamento. Tutta l’esperienza si basa sul concetto di “Mastery”, l’abilità di applicare nel sistema i concetti progressivamente appresi. Minuto dopo minuto il livello di complessità delle scelte aumenta creando un bilanciamento virtuoso tra abilità del giocatore e difficoltà del gameplay.  E’ il paradigma del Learning by Doing! Un sistema di analitiche fornite a fine livello, fornisce il report sullo stato dell’apprendimento. Maggiori saranno le nozioni immagazzinate più alto il punteggio per la soddifazione del giocatore e del suo insegnante.

ImmuneQuest può diventare uno strumento didattico.

ImmuneQuest può diventare uno strumento didattico.

I docenti, iscrivendosi in un’apposita area del portale, riceveranno un codice specifico per la classe che tutti gli alunni dovranno inserire nella propria copia del gioco. Da questo momento potranno monitorare in tempo reale le performance degli alunni attraverso una specifica area del progetto. L’immagine sovrastante è un esempio di come un gruppo di studenti ha affrontato il primo livello di gioco. Ciascuno ha un parametro numerico e di stelle, cliccando su ciascun nome si ottengono ancora maggiori informazioni sull’esito dei quiz, sul tempo impiegato etc. I risultati nel gioco potranno corrispondere a voti reali in classe, ad esempio terminate il livello con 2/5 di stelle assegnerà una sufficienza mentre 5/5 un 9.

ImmuneQuest, un nuovo modo per studiare l'immunologia.

ImmuneQuest, un nuovo modo per studiare l’immunologia.

Nel primo macro-mondo (THE FIRST RESPONDERS), scaricabile gratuitamente su Windows e Mac, i protagonisti sono i Macrofagi, cellule che hanno il compito di fagocitare particelle estranee. Rappresentati come strane creature blu, i macrofagi potranno muoversi in uno scenario 3D che rievoca l’interno di un corpo umano secondo una meccanica di gioco a turni. Una barra indica l’energia di cui si è dotati, terminata la quale bisognerà cedere il turno ai nemici ed ai danni che saranno in grado di affliggere. Il livello di difficoltà cresce progressivamente, gli attacchi di batteri esterni inizialmente sono di scarsa intensità per poi crescere e diverisificarsi richiedendo pronte reazioni e la collaborazione di più macrofagi (ne potremo gestire fino a 3). Lo schema di apprendimento trova facilitazione nelle pop up testuali che introducono nozioni e nei power ups che per essere sbloccati richiedono il superamento di quiz. Nel primo mondo vengono distillati i seguenti concetti (testo preso dal sito ufficiale):

 

  • Macrophages are professional phagocytes
  • Macrophages phagocytose debris
  • Macrophages recognize microbial PAMPs
  • Macrophages phagocytose microbes
  • Macrophages become more efficient by ‘activating’
  • Macrophages cause host damage by activating
  • Macrophages kill microbes internally, after phagocytosis 
  • Complement is a collective pool of proteins
  • Complement’s convertase is the catalyst for further actions
  • Complement causes host damage without host shielding mechanisms
  • Membrane attack complexes kill microbes
  • Some microbes are resistant to membrane attack complexes
  • Complement can opsonize microbes
  • Macrophages need opsonin receptors to phagocytose opsonized microbes 
  • Lectin binds to microbes (opsonization)
  • The MBL complement pathway recognizes lectin-bound microbes
  • The MBL pathway is more specific than the alternative complement pathway
  • Macrophages can release compounds toxic to microbes
  • Macrophage release of toxic compounds damages host tissue
  • Complement signals to macrophages
  • Macrophages need complement receptors to respond to complement signals

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