Fabio Viola su Forbes

Il passaggio dallo storytelling allo storydoing nella formazione aziendale.

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BRAINSTORMING

BRAINSTORMING

Organizziamo sessioni full day, utilizzando il mazzo di carte dell'engagement designer ed altri metodi gamificati, per generare e collezionare all'interno di un processo collettivo, le migliori idee provenienti dal team. Questo processo è adatto sia ad obiettivi consumer che enterprise!
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CONCEPT

CONCEPT

Utilizzando il nostro Motivational Design Framework lavoriamo insieme su una griglia che individua gli obiettivi short e long term, la tipologia degli utenti/giocatori, le motivazioni per creare engagement e le meccaniche e dinamiche di gamification indispensabili per le vostre finalità di business.
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GAMIFICATION DESIGN

GAMIFICATION DESIGN

Per migliorare soluzioni già esistenti o nella fase di costruzione di un nuovo progetto, realizziamo un gamification design document (GDD) e wireframe continuamente iterato fino all’approvazione del cliente.
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ARCHITETTURA E SVILUPPO

ARCHITETTURA E SVILUPPO

Dopo decine di esperienze di sviluppo per marchi internazionali, conosciamo le esigenze IT delle aziende e le aiutiamo a scegliere la giusta architettura tra sviluppo ex-novo e utilizzo di api dei gamification vendors.
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Il gioco nell’era della Touch Generation

Forse è arrivato il momento di andare oltre la Generazione Millenium, anche chiamata G(aming) Generation dagli addetti ai lavori. Ne ho parlato approfonditamente nel blog, in quanto questo è un segmento di mercato che si differenzia terribilmente nei modi, stili di vita e desideri rispetto alla generazioni X e baby boomers. Ma ancora più interessante dal mio punto di vista è la loro (mia in qualità di 30enne) sincronia con l’industria del gaming, una fascia di individui nati dopo il 1980 che trovano nei videogiochi (principalmente console) il loro primario passatempo. E’ naturale che l’attenzione sia posta su di loro, perchè è un’ampia fetta di popolazione con capacità di spesa e le aziende stanno ancora cercando di capire come relazionarsi con loro all’insegna dell’engagement e dialogo costante.

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Gamification dei prezzi

L”introduzione di logiche gamificate nella propria azienda è solitamente presa in considerazione per migliorare parametri come engagement e loyalty. Questa tendenza trova riscontro anche in Italia dove  Anes ha presentato, lo scorso 23 Aprile, le elaborazioni di Anes Monitor relative ai dati diffusi da Business International. Lo studio si intitola Marketing Trends 2012: Le tendenze degli investimenti marketing delle aziende italiane.

La ricerca è stata effettuata intervistando 100 direttori marketing a cui è stato chiesto come utilizzeranno il proprio budget nel 2012. Nel panel sono stati adeguatamente rappresentati i diversi settori produttivi e le diverse tipologie di impresa. La ricerca è stata condotta tramite compilazione online di survey.

La prima novità è la voce Gamification sempre presente in ogni domanda posta dall’istituto, un risultato incredibile per un vocabolo ed un nuovo modo di disegnare l’esperienza nato nel 2010. Se la tendenza generale sembra esser quella di un taglio agli investimenti advertising, ad emergere sono nuove voci di investimento come social media marketing, mobile marketing ed appunto gamification.

Gamification miglior strumento di egangement secondo la ricerca Aves

Scusandomi per la qualità dell’immagine, è possibile notare in rosso la voce Gamification che ottiene il 33% dei consensi dalla platea di marketing manager distanziando di gran lunga le altre categorie. Creare engagement non è un mero orpello per un brand, le testimonianze giunte dal mondo dei social e mobile games negli ultimi anni ci hanno aiutato a comprendere meglio il ruolo che il “fidanzamento” tra il prodotto e l’utenza riveste nel generare ARPU. La straordinaria capacità di incentivare il ritorno frequente, la lunghezza delle sessioni, la viralità sono le premesse per instaurare un rapporto emotivo di lungo periodo e di conseguenza performance economiche sostenibili.

Introdurre logiche gaming in contesti non gaming, gamification appunto, può avere ripercussioni dirette anche in materia di monetizzazione. Portali come Groupon hanno fatto ampio uso di dinamiche gaming (collaborazione, pressione temporale…) per indurre comportamenti di acquisto in precisi momenti e quantità e la tendenza sembra allargarsi all’interno di trend denominato “Gamification of Price”.

Il mondo è radicalmente cambiato. La diffusione di internet, smartphone always connected, geolocalizzazione sono tutti strumenti in grado di favorire la circolazione dei dati in tempo reale. Sempre più consumatori monitorano siti dove è possibile capire dove è più conveniente acquistare un determinato bene, ad esempio Kelkoo o Trovaprezzi qui in Italia, o si aggiornano sulle offerte. Su App Store non sono pochi gli utenti ad aspettare che un’app sia messa in offerta a 0.79 prima di acquistarla e puntualmente i post che fanno registrare i maggiori click sono proprio quelli in cui si elencano le promozioni del giorno.

Per non parlare del fenomeno dei gruppi di acquisto come Groupon, Living Social o l’italiana Groupalia. Qui si assiste spesso a sconti vicini al 70% ma per ottenerli è necessario interagire con i propri amici per poter “vincere” il deal.

Una flessibilità mostruosa che sta cambiando nelle fondamenta il modo di fare commercio, il prezzo stesso diventa un fattore di divertimento ed engagement da manipolare e plasmare. Vediamo alcune case history.

L'iniziativa Gap My Price

L’azienda di abbigliamento Gap nel corso del 2011 ha lanciato per un periodo limitato l’iniziativa Gap My Price. Nel portale web dedicato erano presenti alcuni capi di abbigliamento con il prezzo normale di vendita. Il navigatore aveva facoltà di inserire un’offerta per quel capo e, anche a seguito di contrattazioni automatizzate, portarselo a casa ad un prezzo solitamente inferiore a quello standard. Groupon incontra Ebay il tutto supportato dal social sharing e comunicazione attivata nei canali sociali del brand.

Gli utenti scelgono il prezzo da pagare in Mavaru

Bandcamp è una piattaforma di distribuzione musicale per artisti indipendenti che ha adottato il sistema “Name Your Price”. Gli artisti possono offrire i propri brani, in digitale o su supporto fisico,  ad un prezzo deciso dallo stesso acquirente. Numerosi altri portali ospitano questa forma di flessibilità, tra gli altri MavaruAralie e parzialmente Omstream.  Questa idea in campo musicale ha visto pionieri i Radiohead che, nel 2007, decisero di lanciare ad offerta l’album “In Rainbows” distribuito attraverso il sito web ufficiale della band. Il successo fu straordinario, nonostante la possibilità di scaricarlo totalmente gratuitamente circa il 40% dei downloaders versò un obolo alla band con un ARPU medio superiore ai 2 dollari. Anche in considerazione dei costi quasi nulli (no supporto fisico, distribuzione etc etc) è stato l’album che più ha incassato nella storia della band con un ritorno ancora maggiore da introiti alternativi come il tutto esaurito nei concerti, merchandasing. Non è un caso che questo esempio sia entrato di diritto nel libro “Gratis” di Chris Anderson (edizione italiana).

La campagna Tweet & Eat di Innocent

L’azienda inglese Innocent commercializza prodotti alimentari come gelatine e succhi di frutta. Nel corso del 2011 ha lanciato una interessante campagna gamificata basata su Twitter. E’ stato possibile ottenere dei buoni sconto in base alla popolarità dell’hashtag #tweetandeat, più si twittava e più l’iniziativa saliva di livello passando dallo sconto di 50 penny ad addirittura prodotto free.

 

Domani l’articolo continuerà con altri esempi!

B Conencted: Loyalty gamificata nei Casinò

L’industria del gambling è tra le poche a non aver risentito della crisi dei consumi. Paradossalmente minore è il potere di acquisto, maggiore diventa la propensione a rischiare con la speranza di modificare il proprio stato di vita. Casinò, gratta e vinci, slot machine, videolottery ma anche anche fenomeni digitali come il poker online stanno conoscendo tassi di crescita significativi con una proliferazione dei player sul mercato incentivati dalle normative nazionali sempre più aperte e disponibili verso questa tipologia di soggetti che pagano pesanti oboli per aggiudicarsi le licenze, senza contare l’alta tassazione a cui sono sottoposte le giocate.

In un quadro sempre più competitivo, dove il costo di acquisto di un cliente è di centinaia di euro, diventa fondamentale il concetto di fidelizzazione. Come fare per trattenere un giocatore nella propria location fisica o portale online? Già da anni i principali attori della filiera hanno attivato dei loyalty program che ricalcano gli schemi di qualsiasi altro schema di fidelizzazione in uso in altre categorie merceologiche. Il principio è semplice, più giochi e maggiore sarà il livello di cashback (reward) garantito. Il problema di queste operazioni “mercenarie” è nella loro stessa natura, facilmente replicabile e migliorabile da un competitor. Il pubblico più smaliziato ed informato migra costantemente da un operatore all’altro venendo a conoscenza di programmi più ricchi per il giocatore.

Loyalty gamificata nel gambling

In questa cornice si colloca una iniziativa interessante, il primo vero esperimento di loyalty gamificata, applicata all’industra gambling,lanciata da Byod Gaming Corporation negli Stati Uniti. L’azienda che gestisce 13 casinò sparsi in 5 nazioni americane ha selezionato la piattaforma di social gamification di Gigya come motore del suo loyalty program “B Connected Social“. Gli iscritti al programma sono incentivati ad andare oltre la mera giocata, si accumulano “Social Points” anche condividendo eventi, notizie e offerte via social network, prenotando camere di hotel e tutta una serie di altre azioni e comportamenti volontariamente incentivati da Byod.

La formula mixa componente fisica e digitale e richiede la sincronizzazione della propria carta fisica (ottenibile nei casinò) con un account online successivamente creato. Compiuto questo step (fondamentale per garantire la maggiore età degli iscritti) è possibile interagire sia fisicamente compiendo check in nelle location sia nei portali online delle sale guadagnando punti semplicemente prenotando hotel o cene piuttosto che condividendo notizie via Facebook piuttosto che Twitter. I punti accumulati potranno essere trasformati in denaro sonante giocabile nel casinò e in ticket utili per partecipare a lotterie periodiche. Non mancano dei badge ed una leaderboard volti a incentivare competizione all’interno della community.

La piattaforma offre anche altre features come un sistema di alert in tempo reale che informa gli iscritti su particolari novità, ticket scontati per eventi ospitati nella sale, debutto nuove slot etc etc.

Una schermata di B Connected online prima delle social feature

Le dichiarazioni del management Byod sottolineano come questo ulteriore layer nel loyalty program è rivolto espressamente alla customer base. Si tende a pensare che l’utilizzo di tecniche di gamification possa aiutare a creare engagement verso target giovane, cosa non vera considerando il profilo di chi, ad esempio, videogioca sui social network.

La Stampa: Fabio Viola ed il futuro dei videogiochi

Dopo una assenza bisettimanale dovuta, almeno questa volta, a problemi tecnici legati al servizio di hosting del blog approfitto del ritorno online per segnalare un pezzo che riguarda l’industria dei videogiochi ed, ovviamente, il sottoscritto.

Nell’edizione cartacea del 23 Aprile de “La Stampa” è apparso un interessante pezzo, a firma di Giuseppe Bottero, dedicato al futuro dell’industria dei videogiochi. Il taglio dato dal giornalista è insolito per l’Italia dove la maggior parte della stampa si dedica a quotare i rapporti annuali rilasciati dall’AESVI (associazione editori software videoludico italiani) senza dedicare tempo a comprenderli al di là dei numeri. Giuseppe mi ha chiesto di dire la mia sul tema, partendo dai numeri negativi che stanno segnando nell’ultimo biennio il mercato “fisico” dei videogiochi, ovvero quei titoli giocabili su Console e PC e basati su supporti fisici acquistabili in un punto vendita.

Ve ne riporto uno stralcio invitandovi a leggere il pezzo completo su La Stampa.

” I dati appena diffusi dall’Aesvi (Associazione di categoria che rappresenta i produttori di console, gli editori e gli sviluppatori di videogiochi in Italia) non lasciano dubbi: nell’ultimo anno il settore dei videogiochi arretra del 7.1% (nel 2010 era a -2.3%) e il giro d’affari scende sotto il miliardo . Il mercato che soffre di più è quello delle console, minacciate dalla concorrenza di tablet e smartphone, che nel 2011 fa segnare un allarmante -11.7%.

Ma il moltiplicarsi di tavolette e telefonini intelligenti, da solo, non basta a spiegare quello che sta succedendo. «La parola chiave è gamification», dice Fabio Viola, scrittore e sviluppatore di software, che usa un termine inglese per descrivere una quotidianità che somiglia sempre di più ai videogame e non lascia spazio a svaghi ad alto tasso di tecnologia. E’ un gioco comunicare, è un gioco seguire una lezione, è un gioco perfino mettersi in auto- un occhio al navigatore e l’altro al bluetooth- e raggiungere il posto di lavoro. Una volta a casa, chi ha più voglia di accendere la playstation?

«In un mondo del genere dedicarsi alla console è diventato un lusso», dice Viola. Per un ragazzo degli Anni 90 il Nintendo e l’Atari rappresentavano un tuffo nella tecnologia. Oggi lo smartphone è un’abitudine. Risultato: non c’è più un futuro digitale da inseguire e saghe fantastiche e realtà virtuali lasciano spazio a quelli che il «New York Times» definisce «stupid games». Semplici, praticamente elementari, hanno conosciuto un boom senza precedenti. Mentre i colossi del settore, da Microsoft ad Electronic Arts, puntavano ai titoli da «tripla A», l’equivalente dei blockbuster al cinema, migliaia di sviluppatori indipendenti lanciavano i nipotini di Tetris, «una sfilza di rosari digitali – scrive il saggista Sam Anderson – con cui possiamo passare il tempo nei momenti di estasi o ansia economica, politico o esistenziale“.

Chi ha acquistato il mio libro e segue il blog conoscerà il mio punto di vista, già riassunto in un articolo apparso ad Aprile dal titolo “Mercato italiano videogiochi 2011“.

Gamification e Infovore Marketing

Apparentemente irrazionali, molte delle nostre scelte nascono e si consolidano all’interno del cervello. Vige una continua lotta tra le due anime della nostra mente: una totalmente razionale a cui spetta il compito di vagliare gli stimoli e relazionarli con una serie di fattori esterni ed una completamente emotiva che agisce sulla base di stimoli e istinti. Per molto tempo si è pensato che questo “emisfero” non fosse influenzabile, ma studi recenti mostrano come sia possibile hackerare le emozioni o quantomeno indirizzarle.

Senza pretesa di esaustività e tenendo presente che ogni area è spesso deputata a più attività, nel nostro cervello vi sono delle zone che reagiscono e si attivano di fronte a particolari sollecitazioni inducendo stati di animo e comportamenti. Ve ne è in particolare una collocata nella parte mediana dei nostri emisferi, chiamata sistema limbico, un’area ricca di strutture cerebrali. Quando perceperiamo un rumore sospetto di notte mentre siamo a letto o vediamo un film horror o in videogiochi come Silent Hill dove la struttura narrativa è disegnata per creare angoscia qualcosa avviene all’interno dell’Amygdala, una zona tanto piccola quanto decisiva nella formazione di alcune emozioni negative. Stati d’animo come paura e ansietà fisiologicamente accadono quando l’Amygdala viene stimolata! Ma non è l’unica…

Alcune aree del cervello deputate alle emozioni

VTA (zona ventrale tegmentale), ubicato nell’immagine tra Amygdala e Ippocampo, è una delle zone dove viene prodotta la Dopamina. Questo neurotrasmettitore arriva in specifiche aree come il Nucleus Accumbens producendo quella sensazione di piacere e felicità legata ad una serie di attività primarie (cibo, sesso) o più estetiche (videogioco, un bel quadro). L’alterazione dei volumi di dopamina nel nostro cervello influenza pesantemente le nostre scelte ed i processi decisionali. Entrando in un negozio girovaghiamo tra i diversi compartimenti, dinanzi ad un modello particolarmente attraente la secrezione di dopamina potrebbe aumentare in relazione al possibile acquisto di quel capo che il cervello vede come un premio in arrivo. Questi processi inconsci spesso ci spingono ad acquistarlo realmente.

Dopamina e Nucleus Accumbens sono un mix micidiale perchè questa area difficilmente pronunciabile è proprio quella associata ai processi di Reward. E chi crea videogiochi o prodotti gambling come slot machine conosce perfettamente il potere manipolatorio che alcune tecniche possono esercitare sul comportamento umano portando a veri e propri stati di dipendenza.

Sempre più aziende sono attivamente impegnate nella ricerca e perfezionamento di pratiche volte a stimolare la dopamina con l’obiettivo di rinforzare comportamenti e creazione associazioni positive con prodotti e/o brand. Da qui la necessità di comprendere al meglio le tecniche di gamification ed i linguaggi dei videogiochi quali nuove importantissime frecce all’interno di una strategia: reward schedules, feedback loop, status, mastery ed altri termini spesso spiegati in queste pagine.

Con sempre più frequenza veri e propri giochi vengono inseriti all’interno di campagne pubblicitarie. Gli advergames stanno conoscendo una seconda vita nell’ultimo triennio grazie alla diffusione di piattaforme distributive come Facebook e mobile application stores che rendono più facile e virale la diffusione del prodotto rispetto alla prima era online. Alcuni generi si prestano meglio di altri ad essere impiegati, non tanto e non solo per la maggiore accessibilità da parte di un pubblico casual e costi/tempistiche di sviluppo minori quanto per la capacità di stimolare il nostro cervello.

Articoli scientifici come “Unscrambling words increases brand name recognition and preference” hanno palesato il potere manipolatorio che semplici giochi di parole e puzzle possono avere sul nostro cervello. Avete mai provato un certo senso di soddisfazione dopo aver risolto un sudoku o parole crociate particolarmente impegnative? Un piccolo brivido di piacere derivante dall’aver padroneggiato un sistema complesso? Associare un brand/prodotto ad un puzzle game aiuta la memorizzazione e una associazione positiva.

 

Questo desiderio di apprendere e risolvere problemi è alla base dell’Infovore Marketing, termine coniato da Irving Biederman dell’University of Southern California.  I suoi studi mettono in luce l’insorgere di un meccanismo di feedback nel cervello che premia l’acquisizione di conoscenza. I test condotti mediante l’ausilio di neuroscanner fMRI mettono in evidenza il ruolo dei recettori Mu, conosciuti da tempo per essere connessi agli oppioidi naturali, ed il loro aumentare di densità lungo la via visiva ventrale. Questa stretta relazione col sistema ventrale non è casuale, è proprio qui che avviene una parte del processo di riconoscimento immagini ed elaborazione. I recettori  sono stipati nelle zone del percorso legato alla comprensione e interpretazione di immagini, ma sparse in aree in cui gli stimoli visivicolpiti per primi la corteccia. La teoria di Biederman sostiene che maggiore è l’attivitàneurale nelle zone ricche di recettori oppioidi, maggiore sarà il piacere.

Sappiamo come il marketing si basi spesso sulla ripetizione di medesime parole, immagini, suoni e messaggi. La teoria Infovore suggerirebbe invece la diversificazione di concetti in grado di soddisfare l’innato istinto di apprendimento insito in ognuno di noi. E cosa meglio di un gioco per creare sorpresa, novità ed una curva di difficoltà crescente nel tempo?

 

 

Fanplayr: social media coupon

Playthru ha scelto logiche gaming per risolvere il problema dei Captcha, quegli odiosi codici alfanumerici che spesso ci vengono chiesti di inserire per confermare una nostra azione nel web. Un’altra start up americana, Fanplayr, ha deciso di utilizzare tecniche videoludiche per rendere più appealing e virali i coupon digitali, quei buoni sconto spesso assegnati dalle aziende per incentivare il ritorno alla spesa di un loro utente o per solleticare le fantasie di un non user.

Solo negli Stati Uniti annualmente vengono distribuiti oltre 1 miliardo di coupon con un tasso crescente dal 2009 in poi grazie al combinato di crisi economica, che spinge sempre più famiglie a cercare tutti gli sconti possibili, e diffusione degli smartphone e geolocalizzazione che han dato vita a nuove forme di mobile e social couponing.

Fondata da Derek Adelman nel Gennaio 2011 presso Palto Alto, California, l’azienda si è posta come la prima azienda mondiale con una piattaforma cross platform gamificata generatrice di coupon. L’idea è fornire ad un range di aziende una soluzione IT chiavi in mano, freemium o con sottoscrizione, in grado di raggiungere, influenzare e migliorare le metriche di spesa dell’utenza. Il progetto nel corso del 2011 è uscito dalla fase di sviluppo anche grazie ai 500.000 dollari ricevuti in angel founding e proprio nei giorni scorsi ha annunciato la prima collaborazione significativa con Constant Contact, importante società americana di email marketing.

Fanplayr reputa superati i coupon tradizionali visualizzati su siti web, email o cellulari offrendo la possibilità di socializzarli e gamificarli. Quest’ultimo aspetto avviene mediante l’inserimento della promozione all’interno di piccoli schemi gaming come slot machine. A coupon vinto appare la possibilità di condividerlo immediatamente via social network. Una social gamification che si abbina alla possibilità di analizzare in tempo reale le metriche della campagna mediante una apposita tab. A tutto questo si aggiunge lo zero impatto sulla componente IT dell’azienda utilizzatriche, le campagne possono essere gestite da un apposito pannello di controllo dove settare premi, colori, data di inizio e fine etc etc. L’inserimento nel CRM aziendale avviene solitamente mediante un pulsantino/banner da inserire nel canale di comunicazione prescelto.

Uno schema gaming per i coupon di Fanplayr

Interessante capire la reale ragione, il perchè Fanplayr abbia deciso di far propria la “gamification” per raggiungere un obiettivo connesso al mondo coupon. Numerose esperienze passate hanno certificato il ruolo che le emozioni connesse a  vincita e guadagno giocano nella “redemption rates” di un coupon. Si è portati a riscattare quella promozione se il coupon è stato guadagnato e vinto molto più rispetto ad una esperienza piatta in cui quello stesso coupon ci è stato semplicemente regalato e offerto.

Quello del tasso di utilizzo dei coupon deliverati è un annoso problema per le catene commerciali. Spesso molte campagne falliscono per una errata implementazione, consiglio di leggere i seguenti link per capirne di più:

LINK 1 / LINK 2 / LINK 3

Tornando al tema gamification, l’implementazione di schemi gaming o veri e propri giochi aiuta la connessione emotiva col brand. L’utente spenderà alcuni secondi aggiuntivi all’interno della pagina web con la consapevolezza che la sua abilità e/o fortuna potrebbe garantirgli uno sconto maggiore. L’azienda, dal canto suo, avrà la possibilità di creare schemi diversificati di premiazione con la possibilità di non assegnare alcun coupon a fronte di una non vincita nel gioco creando quindi quel senso di sorpresa e imprevedibilità tipico di Mario Bros quando rompe i mattoncini!

 

 

Mercato italiano videogiochi nel 2011

Due anni fa, quando iniziai la stesura del libro “Gamification – I Videogiochi nella Vita Quotidiana” incontrati i rappresentati di AESVI, l’associazione che riunisce gli editori di software videoludico italiani. Quella chiacchierata, seguita da un’altra successiva al rilascio, mi lasciarono un profondo senso di vuoto e di angoscia. Non avevano la minima contezza di come il mercato tradizionale “pacchetizzato” stesse esalando gli ultimi respiri. All’epoca si veniva da un 2009 positivo, per la prima volta l’industria dei videogiochi aveva raggiunto e superato il miliardo di euro nel nostro paese e la crisi sembrava lontanissima. Nel secondo incontro i primi segnali allarmanti si erano affacciati, il mercato dei videogiochi nel 2010 aveva subito una flessione del 5% in Italia e cifre analoghe o maggiori in gran parte del mondo, eppure si continuava ad addossare le colpe unicamente alla crisi economica mondiale. Non nego che sia stato un fattore determinante, ma si è inserito all’interno di un contesto molto più ampio narrato lungamente nel mio libro. Sintetizzando alcuni dei punti:

– L’industria dei videogiochi tradizionali ha fallito la missione di intrattenere le masse. Se si analizzano i 7 cicli di console lanciati negli ultimi 30 anni non si è mai andato oltre i 250 milioni di acquirenti hardware per ciclo.

– Eccessiva sofisticazione delle esperienze di gioco, per dare una idea si è passati dai 2 tasti presenti sul Nintendo 8 bit alle decine sulle console di nuova generazione. Non è casuale che il Nintendo WII sia la console più venduta degli ultimi anni.

– I crescenti budget da allocare per sviluppo e marketing hanno spinto i publisher a investire su franchise e generi videoludici ritenuti sicuri creando nel tempo mancanza di originalità. Sempre più giocatori non trovano sugli scaffali giochi di “nicchia”. Chris Anderson ha spiegato brillantemente nel suo libro “The Long Tail” come il futuro sia sempre più della moltitudine delle nicchie.

– Un nuovo titolo console si colloca ormai sui 69 euro a cui van spesso sommate altre decine di euro per i successivi DLC, pacchetti di missioni e livelli aggiuntivi scaricabili dallo  store online della console. Spesso l’accesso ai servizi “Live” ha un suo costo mensile ulteriore senza contare il costo dell’hardware console e relative periferiche!!

– Una soluzione adottata da molti giocatori restii a godersi meno titoli è stata l’adozione in massa di giochi usati, senza mai trascurare l’elevata incidenza della pirateria che ha ucciso l’intero mondo dei giochi PC pacchetizzati prima ancora della digitalizzazione del mercato. Basta fare un salto in catene come Gamestop (e più recentemente anche Mediaworld), e leggerne i fatturati, per capire la crescita esponenziale che la vendita dell’usato ha avuto nell’ultimo triennio.

-Dal 2007/2008 l’avvento di piattaforme distributive digitali tanto aperte quanto centralizzate ha offerto a centinaia di milioni di individui la possibilità di avvicinarsi per la prima volta ai videogiochi e progressivamente calamitato anche coloro che già possedevano console. Centinaia di migliaia di titoli, di genere e qualità diversissima tra loro, offerti a prezzi affrontabili e/o addirittura gratuitamente. In molti casi a parità di esperienza di gioco, FIFA 12 per PSP ed iPad, vi era una disparità di prezzo esasperata con la versione console portatile nei negozi a 30 euro mentre quella per il tablet Apple a 6 euro con continue offerte a 0.79.

– Mentalità freemium sdoganata in occidente da Facebook e dal 2009 da Apple. Ci si abitua alla logica di provare gratuitamente un gioco/prodotto per poi investirci dei soldi una volta fidelizzati ed appassionato. Società come Zynga hanno creato valutazioni in borsa straordinarie su questa logica di monetizzazione, publisher tradizionali rischiano invece la bancarotta non potendo rincorrere questo biz model.

– Naturale evoluzione del mercato consumer che ha già conosciuto questo processo di smaterializzazione. Polaroid ha ceduto il passo alle fotocamere digitali, le grandi enciclopedie cartacee sono morte prima a favore di Encarta e poi di Wikipedia, Blockbuster è in liquidazione soppiantato da offerte streaming più o meno legali, la distribuzione musicale è dominata da iTunes.

– [Update] Il tempo a disposizione è sempre meno con l’evolversi della società. I videogiochi, tradizionalmente intesi, richiedono tempo dedicato. Accendere una console, inserire il dischetto e dedicarsi esclusivamente a questa attività per la lunghezza della sessione di gioco. Quest’ottica è stata totalmente ribaltata con l’avvento di device in grado di congiungere diverse esperienze. I cellulari vengono acquistati per comunicare ed al contempo consentono di intrattenersi. Su Facebook si và primariamente per spulciare le attività degli amici e nel mentre si gioca, così via per altre forme ibride come il gaming su smart tv.

Individuate alcune delle cause è bene provare ad offrire alcune soluzioni. Ho avuto la fortuna di lavorare in Electronic Arts dal 2006 ad oggi vivendo un’epoca di straordinari cambiamenti. Come molti di voi sapranno era l’azienda leader nei videogiochi che, all’epoca, significava vendere milioni di copie su ogni console esistente e PC. I vertici intuirono subito che il gaming digitale avrebbe cambiato il modo di fruizione di questa forma di intrattenimento ed iniziarono ad investire nell’acquisto di numerosi pure player in ambito mobile e social (Jamdat, Chillingo, Firemint, Playfish). Erano impossibilitati a riconvertirsi dall’interno pur annoverando tra le proprie file alcuni tra i più brillanti sviluppatori, artisti, game designer e marketing manager al mondo. Troppo grande il salto tra le “due industrie”, da lì la necessità di ristrutture l’azienda. Questo processo non è stato compiuto nella velocità dovuta ed oggi ne paga alcune conseguenze sebbene in misura minore ad altri publisher, anche italiani, che non hanno saputo capire per tempo la necessità di destrutturarsi, anche licenziare pesantemente, per adattarsi alle nuove sfide del mercato. Le mie idee per chi volesse rischiare la riconversione:

Questa settimana le mie elucubrazioni mentali hanno trovato conferma nell’annuale rapporto sullo stato dell’industria che AESVI pubblica in collaborazione con l’istituto di analisi GFK.

Il fatturato dei videogiochi in Italia dal 2009 al 2011 (Fonte Aesvi)

Nel 2011 il mercato italiano dei videogiochi è valso 993.1 milioni di euro, un calo del 7.1% rispetto al 2010. Sfogliando il rapporto non c’è alcuna traccia della componente digitale, nessun accenno ai mobile application stores, online e social games in Italia. La mia previsione, già espressa in altre sedi, è che la prossima sarà l’ultima generazione di console per come le abbiamo comunemente intese. O cesseranno di esistere o si dovranno adattare al mondo digitale seguendo esempi come Onlive!

Questo articolo non và frainteso, non sto sostenendo che i videogiochi in quanto tali siano in crisi ma semplicemente che è in atto una ridistribuzione delle forze in campo sempre più favorevole alle forme digitali per numero di giocatori e tasso di crescita.

Penetrazione console e PC in Italia nel 2011 (Fonte Aesvi)

Draw Something: Design, business ed economics

Angry Birds rischia di essere uno sbiadito ricordo. Nelle ultime settimane si è imposto come fenomeno sociale un titolo realizzato dalla semi-sconosciuta società americana OMGPOP, Draw Something è disponibile su iOS ed Android in una versione totalmente gratuita ed una al modico prezzo di 0.79 e 0.74 centesimi rispettivamente (priva di avertising e con extra feature).

In soli 50 giorni questa versione sociale di Pictionary, famoso gioco in scatola, ha calamitato 50 milioni di download divenendo il mobile game più venduto nella storia in relazione al lasso temporale. Il risultato è incredibile, soprattutto se si considerano un paio di fattori teoricamente penalizzanti. L’azienda con sede a New York inizia a lavorare sui sistemi Apple solo nel 2011 (dopo aver iniziato nel 2009 le operazioni con un portale online flash aggregatore di mini-game) ed ha all’attivo 2 titoli fallimentari per iPhone come Puppy World e Boom Friends, date una occhiata al numero e rating delle recensioni di entrambi i titoli per farvi una idea prima di scaricarli per curiosità. Titoli di scarso successo equivalgono anche a zero possibilità di sfruttare tecniche di cross selling privando un nuovo titolo del boost iniziale. A questo handicap non da poco si aggiunge una pesante limitazione connessa a Draw Something, un gioco di parole disponibile attualmente solo in lingua inglese.

L'andamento dei download di Draw Something nei primi 50 giorni di vita

Eppure ci muoviamo al ritmo di 1 milione di download al giorno realizzati quasi esclusivamente da utenti di lingua anglofona o in grado di masticarla decentemente. Prima di capire cosa ha reso unico questo prodotto da un punto di vista delle meccaniche e dinamiche di gioco, interessante imput per futuri progetti gamificati, vorrei lasciarmi andare ad alcune considerazioni.

Dopo esattamente 10 anni spesi nell’industria mobile gaming sono sempre più convinto che il successo di titoli nei mobile application stores non sia pianificabile a tavolino. La scintilla parte da una imprevedibile concatenazione di eventi che attivano un circolo virtuoso nelle prime settimane dal lancio. Per dare una idea, solo il 5% dell’utenza è stata “acquistata” dallo sviluppatore utilizzando servizi di avertising puro e installazioni incentivate anche in ragione degli alti costi di queste pratiche ormai nell’ordine di oltre 1 euro ad utente. Allo sviluppatore il compito di cogliere questi segnali ed esser pronto a organizzarli e spingerli organicamente, cosa che ha saputo splendidamente fare OMGPOP o negli anni scorsi Rovio. La loro storia non è molto dissimile, vengono da esperienze pregresse su altre piattaforme che non avevano lasciato il segno (Rovio aveva addirittura rinunciato a sviluppare titoli interni per un periodo della propria storia) e senza preavviso sfornano un titolo di succeso senza alcuna pianificazione e previsioni.

Molto spesso le idee, che si riveleranno geniali, non nascono da zero. La start up americana si è andata ad inserire in un filone sdoganato in ambito console da THQ già nel 2010 col suo uDraw Studio. Nel titolo per Nintendo Wii è presente unicamente la componente pura di disegno, manca la dinamica dell’indovinare la frase in cooperazione con un altro giocatore virtuale, ed il pubblico apprezzò enormemente questa ventata di originalità rispetto ai canonici titoli presenti sugli scaffali dei negozi. uDraw Studio, venduto in bundle con l’apposita periferica “Game Tablet” ha venduto oltre 1 milione di copie solo sulla console Nintendo dimostrandosi un incredibile bestseller in linea con le esigenze di un target non dissimile da quello casual mobile. Queste indicazioni incoraggianti avrebbero potuto spingere la stessa THQ (per inciso, il lancio su altre piattaforme console si è rivelato un disastro tanto da render necessario il licenziamento di parte del team di sviluppo) a farne un porting su sistemi iOS, ed invece ad OMGPOP il merito di aver ampliato il concept dando vita ad un successo di download con delle metriche strabilianti.

Stime degli utenti attivi mensili e giornalieri in Draw Something

Per un gioco i cui numeri arrivano largamente dalla versione scaricabile gratuitamente su iPhone ed iPad, il numero dei download rappresenta una metrica non fondamentale. Molto più interessante è capire il numero degli utenti attivi mensilmente (MAU) ed ancor di più degli utenti attivi giornalmente (DAU). Maggiore è il numero di accessi giornalieri nel gioco, maggiore è il guadagno derivante dalla pesante integrazione di advertising all’interno del prodotto (dopo ogni parola indovinata appare adv, nel footer etc etc). Alla pubblicità, oltre 1 miliardo di impressions giornaliere, si aggiunge la possibilità di acquistare moneta virtuale via in-app purchase, ed è palese che un alta frequenza, durata e ripetitività della visita garantisce maggiori possibilità che l’utente investa soldi nell’esperienza di gioco. Una volta esploso, gli sviluppatori hanno iniziato pesantemente ad incentivare la conversione da versione free a paid, sembra che circa il 50% di coloro che l’hanno scaricata inizialmente gratuitamente siano poi andati a versare l’obolo di 0.79.

Purtroppo non sono disponibili metriche ufficiali, quindi non resta che affidarsi ad AppData che rileva gli utenti che si sono connessi via Facebook Connect. Sicuramente non rappresentano la totalità dei giocatori, ma ci danno una idea sui numeri e sul trend di crescita. L’immagine sovrastante mostra 32.8 milioni di utenti attivi mensilmente e 14.4 milioni di utenti giornalieri. Soprattutto il secondo dato è allucinante, uno sticky factor superiore al 40% che non ha eguali in nessun altro gioco presente sul mercato digitale.

Questi numeri aiutano a capire il perchè Zynga ha deciso di acquistare OMGPOP pagando 180 milioni di dollari. Avete capito bene, circa 150 milioni di euro per rilevare una società tra cui assets è annoverabile un unico titolo, benchè di successo. Niente da dire, una discreta plusvalenza per il fondatore Dan Porter e per il gruppo di investitori che avevano puntato 16.6 milioni di dollari nella società.

Una schermata di gioco di Draw Something

Quello che per me rende così appealing l’esperienza è la totale mancanza di competizione. Tutta l’esperienza è basata sulla cooperazione, una costante esperienza win win dove i due giocatori coinvolti devono lavorare insieme per guadagnare monete virtuali spendibili per upgradare l’esperienza di gioco acquistando nuovi colori e features. Dopo essersi loggati, mediante facebook connect o account creato ex novo, viene chiesto scegliere il partner di gioco tra la propria lista di amici o randomicamente. A questo punto inizia il gioco vero e proprio, il sistema offre 3 parole di diversa difficoltà ed un giocatore dovrà cimentarsi nel disegnare su schermo una serie di indizi mentre l’altro dovrà provare ad indovinare la parola.

Tutto è estremamente sociale, il gioco realmente diventa un semplice strumento di interazione e socializzazione. Non ci sono vincitori e vinti, solo amici che chiacchierano in tempo reale mentre si divertono disegnando ed indovinando. L’immagine in alto, nella sua parte destra, mostra lo status di un utente: no leaderboards, no punti, nessun ranking ma solo l’enfatizzazione di cosa di positivo si è fatto. Ecco spiegati dati come i colori maggiormente utilizzati o il filotto di parole indovinate!

 

Playthru: Gamification del Captcha

Dopo  circa un mesetto di alti e bassi lavorativi, da questa settimana dovrei ritornare full time sul blog proponendovi svariati nuovi esempi di gamification applicata agli ambiti più disparati.

Oggi vorrei introdurvi una interessante start up che ha deciso di utilizzare il gaming per risolvere un problema reale presente nel mondo digitale. Trecento milioni di individui si imbattono quotidianamente nei CAPTCHA, . I completely automated public Turing test to tell computers and humans apart sono quei test generati automaticamente da un software in cui si chiede al navigatore di digitare le lettere/numeri a schermo in un apposito box per validare l’azione compiuta, sia essa una registrazione in un sito web piuttosto che un commento. Questa tecnologia nasce negli anni 2000 per prevenire, o quanto meno alleviare, il problema dello spam generato dai Bot ed hackers.

Un esempio classico di Captcha

Nati internamente ad Altavista, questi Captcha rendono scarsamente appealing e talvolta anche frustrante l’esperienza di navigazione, capita spesso di sbagliare la digitalizzazione e dover ripetere più volte il passaggio con talvolta perdite di navigatori. Eppure vengono considerati un male necessario, ma perchè non provare a renderli più divertenti e sicuri?

La start up Are You A Human ha lanciato recentemente Playthru, una evoluzione in chiave gamificata del tradizionale sistema di validazione. L’idea è sostituire lettere e numeri con mini-giochi che in pochi secondi proveranno se sei un essere umano validando l’operazione. Al momento sono tantissime le combinazioni gaming disponibili, date una occhiata all’area Demo.

Scegliere gli elementi giusti da trascinare sul volto per provare di essere umani!

Playthru non è solo più divertente di un tradizionale Captcha ma anche più sicuro. Viene chiesto agli utenti di individuare oggetti e trascinarli nel posto appropriato, si tratti di elementi del viso o di ingredienti da apporre in un frigo o moto da parcheggiare superando il semplice riconoscimento ottico tipico dei sistemi attuali.

Il business model è ancora più interessante. Sappiamo tutti quanto i giochi siano molto più ingaggianti di qualsiasi altro strumento ed i 3 founder della start up lo hanno capito bene e si preparano ad offrire agli inserzionisti quei secondi di esposizione obbligatori. Ora vien da se che la relazione col brand sarà n volte più forte se una catena di prodotti per l’igiene apporrà l’adv all’interno di un gioco come quello in foto rispetto al classico banner nella pagina bianca col Captcha tradizionale.

Interessante anche la genesi della start up americana. I tre fondatori Tyler Paxton, Reid Tatoris e Benjamin Blackmer si sono conosciuti nel programma MBA dell’ U-M Ross School of Business dove erano iscritti nell’anno 2011/2012. L’idea è stata inizialmente instradata e coltivata all’interno della struttura per poi partecipare al Rice University Business Plan dove hanno vinto un totale di 115.000 dollari utili per partire. A questa cifra si è subito aggiunto un investimento di 750.000 dollari ed un completo programma di incubazione. Tutto questo nel giro di sei mesi dall’idea su carta, quanto siamo indietro noi italiani sulla cultura e sostegno d’impresa!

Il gioco del parcheggio

 

Playthru è uno degli esempi migliori di Gamification che abbia avuto il piacere di analizzare. Risponde al problema concreto dello scarso appealing e frustrazione connesso ai Captcha attuali con una idea tecnicamente scalabile, internazionale con un business model chiaro.

JumpIn Club: Fidelizzazione dei siti di Offerte

Alzi la mano chi di voi non si è lasciato sedurre dall’acquisto, a prezzi fortemente scontati, di coupon per ogni genere di bene o servizio? La moda dei gruppi di acquisto online non ha conosciuto crisi nell’ultimo triennio dando vita a veri e propri colossi come Groupon o le italianissime aziende Grupalia e Prezzo Felice.  Come molti di voi sapranno questi portali fanno leva su offerte assegnate solamente al raggiungimento di un congruo numero di acquirenti. Al di là delle numerose critiche sulle modalità di fruizione del coupon e sull’assistenza clienti, è innegabile il ruolo pioniere in ambiti come il design e l’applicazione di tecniche di gamification. In numerose presentazioni presento spesso Groupon, a cui va il merito di aver enfatizzato dinamiche come la Pressione Temporale (quel countdown che indica il tempo rimasto) e la Modalità Cooperativa per alterare i comportamenti degli acquirenti che inconsciamente sono portati ad acquistare subito qualcosa di cui non se ne sente materialmente l’urgenza. Se si escludono dei buoni sconto per gli amici invitati via social network la stragrande maggioranza dei portali non si interessa dell’interazione quotidiana.

L’italiana Jumpin, partorita dal gruppo Virgilio, alza ulteriormente l’asticella col suo portale di offerte online. L’innovazione principale risiede nell’introduzione di uno strumento virtuale di fidelizzazione che và sotto il nome di Jumpin Club. L’idea è premiare costantemente l’interazione dell’utente col portale assegnando loro punti per ogni azione compiuta.

Questi punti sono accumulabili nel tempo e possono essere convertiti in Jump, la vera e propria moneta virtuale del gioco. Cento punti equivalgono ad un Jump che a sua volta ha un valore pecuniario di EURO 5. Questo semplice schema logico aiuta a capire perchè un utente dovrebbe iscriversi al Club Fedeltà, uno sconto ulteriore su offerte già scontate.

La pagina di profilo personale in JumpIn

In ogni momento sarà possibile verificare il proprio status accendo all’area profilo dove è possibile consultare non solo il proprio saldo punti ma anche la posizione nella classifica generale esattamente come avverrebbe in un qualsiasi videogioco.

Lo schema base per aggiudicarsi punti risiede nell’atto di acquisto, in questo mostrando forti similitudini con le tessere punti dei supermercati secondo quello che viene definito fixed ratio reward schedules. Ad ogni euro speso corrisponde un punto.  Le forme più complesse arrivano con l’assegnazione di 10 punti all’atto di iscrizione al club e 30 nel momento in cui viene compiuto il primo acquisto. La parte virale è incentiva da 10 punti assegnati per ogni nuovo amico iscritto e 100 per il loro primo acquisto.

Il grande vantaggio di utilizzare un sistema di punteggio è quello di poter incentivare anche mini-azioni offrendo al contempo una ricompensa tangibile all’utente. Pensiamo agli altri portali di acquisto collettivo dove il sistema di rewards è basato unicamente su buoni dal valore di alcuni euro. In quel caso i premi vengono assegnati unicamente quando un amico invitato acquista qualcosa, diventerebbe anti economico premiare con soldi azioni minime come il solo invitare un amico. D’altronde questa è stata la grande rivoluzione 2 secoli fa della fidelizzazione, si passò dal regalare un prodotto a conferire dei punti!

Una parte interessante dell’architettura gamificata arriva dall’introduzione dei Badge. Ben 42 trofei virtuali da sbloccare con una valenza estetica nel proprio status ma anche altamente funzionale. Infatti ad ogni badge è agganciato un bottino di punti da portare in cascina,  solitamente dai 10 ai 100. Ve ne sono per ogni gusto largamente studiati per incentivare specifici comportamenti di acquisto nelle svariate tipologie merceologiche presenti nel sito.

Alcuni dei badge sbloccabili!