Ne è passata di acqua sotto i ponti dalla nascita della gamification, oggi tutti ne parlano anche se ancora pochi la sanno progettare e disegnare (ma questo è un altro tema). Con grande orgoglio vi segnalo un intero dossier che il Corriere della Sera ha deciso di dedicare alla gmaification con una ampia intervista a Fabio Viola, pioniere italiano.
E’ fondamentale passare da prodotti ed esperienze basate sulla standardizzazione, razionalità, usabilità, ergonomicità verso la progettazione per empatia, emozioni e coinvolgimento.
Consigliamo di leggere tutta l’intervista e, per gli interessati, di approfondire il tema della gamification e del coinvolgimento dei pubblici sul libro “L’arte del Coinvolgimento” appena pubblicato da Hoepli.
L’idea alla base della gamification, termine introdotto nel 2010 dal game designer statunitense Jesse Schell, è quella di utilizzare le tecniche mutuate dal gioco e dai videogiochi in contesti non ludici, aziendali ma non solo. L’obiettivo è coinvolgere il pubblico e i lavoratori attraverso la logica dei videogame e del gioco in generale. «I videogiochi sono in grado di creare empatia tra software e giocatore», commenta Viola. «E rispetto allo storytelling consentono di fare un passo avanti: il protagonista sei tu, che alteri la storia in base a quello che fai, con la libertà di prendere decisioni e di vederne le conseguenze in tempo reale – fino ad arrivare a decretare il finale del gioco». Sono questi alcuni dei segreti che Viola svela alle aziende per cui lavora, anche se in realtà le competenze necessarie per svolgere la sua professione non sono solo quelle richieste a un game designer (ossia colui che nei videogiochi concepisce e scrive le regole, le logiche, le possibili interazioni, i dialoghi). «Semplificando, un gamification designer è un game designer che ha anche conoscenze di marketing, psicologia e scienze comportamentali», spiega il 37enne.