Insieme all’amico Vincenzo Idone Cassone, abbiamo scritto uno speciale di quattro pagine sul tema della Gamification. Tra teoria e case histories, il pezzo è parte integrante del numero di Marzo di The Games Machine, la più longeva rivista cartacea di video-giochi in Italia. Consiglio caldamente l’acquisto in edicola, la rivista merita ed il pezzo mette alcuni punti fermi su questa giovane, e spesso mal codificata disciplina.
“Il prossimo premio Nobel per la Medicina potrebbe essere assegnato ad una video-giocatrice. Una donna americana, tra i 30 ed i 40, che chiameremo Jane, ogni sera dismette i panni di segretaria annoiata e indossa quelli del supereroe. Dalla sua camera, senza alcuna laurea, sta contribuendo a risolvere alcuni dei più grandi problemi mondiali connessi a malattie come Ebola e Aids. Tutto questo avviene da ormai un quinquennio in Fold It, una piattaforma online creata dall’Università di Washington. Un vero e proprio puzzle game in tre dimensioni, accompagnato da classifiche, punteggi, livelli e missioni, che cela dietro la soluzione degli incastri l’individuazione di nuove strutture proteiche che, in tempo reale, vengono trasmesse ai server universitari e ai ricercatori. In una situazione in cui i laboratori con migliaia di scienziati ed i super computer arrancano, centinaia di migliaia di videogiocatori sparsi per il mondo stanno gratuitamente mettendo a disposizione milioni di ore, creatività e capacità di problem solving per migliorare, divertendosi, la nostra esistenza.
I video-giocatori, tutti, ed in particolar modo i game designers/developers nel futuro prossimo avranno un ruolo cruciale nel ripensare, riprogettare e diffondere nuovi modi di vivere e relazionarsi nel quotidiano [quote]. Questa necessità di ribaltare completamente l’istruzione, il mondo del lavoro, la sanità, il marketing, il dialogo con gli enti pubblici è tanto più stringente quanto velocemente stanno emergendo, per numero e capacità di spesa, le nuove generazioni Y e Z. Parliamo di una massa enorme di individui, nati dopo il 1980, che presentano tratti distintivi profondamente mutati rispetto ai loro padri e nonni. Per la prima volta le storiche industrie dell’intrattenimento, dalla musica al cinema passando per l’editoria, hanno ceduto il passo al medium video-ludico; fondato sulla fruizione interattiva, il videogioco è portatore sano di immersione, libertà di scelta, cooperazione, competizione, auto-espressione, garantendo un senso di protagonismo che è oggi al centro dei desiderata degli attuali e futuri artefici del nostro mondo.
Solo in Italia, stando ai dati AESVI 2015, circa 30 milioni di persone utilizzano i videogiochi e, come logica conseguenza, si aspettano di ritrovare nella vita reale quelle emozioni, quel coinvolgimento e quella dose di divertimento (fun) sperimentata nelle sessioni di gioco, che si tratti di Call of Duty o di Candy Crush.
É in atto una profonda frattura tra il modo in cui le esperienze e attività quotidiane vengono disegnate e come i loro fruitori vorrebbero che fossero. Tutto ciò trova corrispondenza in un dato: Negli ultimi cinque anni le aziende ed enti pubblici hanno investito oltre un trilione (!) di dollari per aggiornare i propri software di gestione dipendenti e clientela, dotarsi di app, nuovi siti web, programmi di fidelizzazione avanzati con risultati molto spesso deludenti. Da qui un forte interesse verso l’industria dei videogiochi ed un avvicinamento al sacro graal dell’engagement (coinvolgimento).”
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