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La moda sfila in gamification con Burberry

Abbiamo in precedenza parlato di Burberry come uno dei brand fashion che più crede nell’appeal della gamification.
Il loro prodotto di maggior impatto in termini di riconoscibilità è stato B Bounce, un gioco basilare basato su trampolini dove un avatar deve raggiungere piattaforme sempre più alte scoprendo prodotti della marca e soprattutto indossando abiti in tema.

B-Bounce gamification burberry

Il testimonial originale era un paffuto cerbiatto che combatteva il freddo con i piumini Thomas Burberry. Il giocatore poteva a scelta far indossare una delle tinte proposte dalla linea, ed andare poi a caccia dei logo TB e di droni dorati in giro per lo schermo, evitando nuvole tempestose e salendo sempre più in alto. Il limite finale è la Luna, o almeno così diceva lo slogan.
Il gioco in sè non era particolarmente appealing, anche se colorato con vivacità, eppure ha avuto riscontri enormi in termini di accessi e tempo trascorso a giocarci.

Burberry ha vissuto questo prodotto come una sperimentazione, da cui evincere quali fossero le motivazioni principali che spingevano l’utente all’utilizzo, e se queste fossero indipendenti o meno dal tipo di indumento utilizzato, decidendo infine se tentare la sorte in altri periodi dell’anno gettonati per gli acquisti.

B Bounce insomma come un giocoso accompagnatore dell’esperienza di shopping oppure un vero attrattore di nuovi clienti?

ratberry burberry game

Questa semplice meccanica di gioco ha funzionato perchè applicava alcuni principi della gamification per perdurare l’esperienza:

  • la ricompensa immediata, tramite premi quali Gif esclusive o l’adattamento di una foto con elementi del brand.
  • la competizione, partecipando a Londra, in Giappone, Canada, USA ed altre location alla sfida B Bounce direttamente negli store e su maxischermo
  • lo status, vincendo una vera giacca esclusiva con il monogram TB

ratberry  app gaming

Il successo della campagna originale ha mantenuto vivo il concetto che a Gennaio di quest’anno in occasione del Lunar New Year cinese, Burberry rilancia direttamente sul suo sito ufficiale con un nuovo personaggio: Ratberry.

Nel nuovo gioco Ratberry richiama all’anno del Topo e torna a rimbalzare alla ricerca di coins e lanterne cinesi.

Burberry ha ampliato l’esperienza realizzando degli stickers per Wechat e focalizzandosi sempre più sull’utenza giovane. Giovane ma non sprovveduta, perchè il layout dei fondali e la cura del profilo del personaggio lo rendono papabile per una produzione home vision (ricorda abbastanza spudoratamente i toni di Kung Fu Panda).
Ratberry compare ora su borse e bomber, e diviene a nostra opinione un esempio abbastanza raro di come la gamification si possa espandere: da procedimento che interviene in aiuto di una campagna pubblicitaria, ad icona fashion che vive di vita propria: in un qualche modo, giocando con la fantasia, Ratberry potrebbe divenire a sua volta una mascotte della stessa filosofia gamification!

china instagram games

 

Articolo a cura di Valter Prette

 

I media italiani parlano del libro “Gamification”

Per chi come me non è uno scrittore professionista, la pubblicazione di un’opera ha come principale obiettivo la diffusione delle proprie idee e l’inizio di un dibattito a cui far accedere il maggior numero possibile di individui. Il mio libro “Gamification – I Videogiochi nella Vita Quotidiana” sta ricevendo una buona circolazione sia in termini di copie vendute che di articoli direttamente o indirettamente incentrati su di esso e sui temi proposti nelle 221 pagine della versione cartacea.

Nell’ultima settimana vi sono stati due interessanti articoli promossi da un noto portale di marketing ed uno di videogiochi.

Nella recensione scritta da Gabriele Cazzulini su Cinema e Videogiochi, il libro ha convinto a tal punto da far dire all’autore:

“Gamification è un ricchissimo armamentario che permette di centrare due obiettivi. Uno: fare il punto, questa volta in italiano, senza bisogno di traduzioni tardive e conseguente sudditanza culturale, sull’universo videoludico al di là del momento ludico in sé. Cioè: riflettere sui videogiochi al di là del divertimento stesso. Cioè: fare cultura. Due: innescare una reazione neuronale a catena per ramificare questo poderoso libro all’interno di sentieri culturali che corrono tra cinema, letteratura, design, sociologia… ed è qui che nasce il bisogno-desiderio di una specie di Gamification II che esca dai confini videoludici, talvolta vissuti in modo troppo simile a un confortevole e protettivo ghetto, per allineare la cultura videoludica sullo stesso piano delle altre”

Questa descrizione mi ha reso felice non tanto per le belle parole spese quanto per la corrispondenza tra la filosofia di fondo che mi ha spinto a scrivere l’opera e la percezione positiva  che ne ha tratto il lettore/recensore (per inciso non ho mai visto Cazzulini in vita mia).

Di tenore diverso, invece, l’articolo proposto da Marketing Arena in relazione al libro sotto forma di una intervista al sottoscritto. Gamification è stato lo spunto su una chiacchierata su marketing e videogiochi, binomio sempre più in crescita ed in fermento.

 

Ci può segna­lare 3 nomi di pro­getti da seguire?

Uti­lizzo tre degli ultimi esempi spie­gati nel mio blog, diversi tra loro per dina­mi­che uti­liz­zate e obiet­tivi finali. Nel primo caso un gioco b2c a scopo di alfa­be­tiz­za­zione, nel secondo una piat­ta­forma gami­fi­cata b2b per miglio­rare l’efficienza lavo­ra­tiva di un ente pub­blico ed infine il gaming por­tato all’interno del mondo food & beve­rage tradizionale.

  • Il pro­blema di come “istruire” gli utenti all’utilizzo di soft­ware com­plessi è da sem­pre nei pen­sieri delle ditte pro­dut­trici. Le varie solu­zioni intro­dotte, dalla clas­sica FAQS a forme più dina­mi­che ed inte­rat­tive, hanno quasi sem­pre fal­lito il com­pito offrendo una guida mono-direzionale scar­sa­mente uti­liz­zata e sin­ce­ra­mente poco appea­ling. Adesso dispo­ni­bile nella ver­sione 2.0, Rib­bon Hero è un “gioco” che si installa auto­ma­ti­ca­mente su Office (30 MB ed uni­ca­mente in lin­gua inglese) dando vita ad una forma del tutto nuova di e-learning. La trama ha come pro­ta­go­ni­sta la redi­viva graf­fetta Clippy (la ricor­de­rete come tutor ani­mato…) sbal­zata nel corso della sto­ria da una mac­china del tempo impaz­zita. Ogni epoca si com­pone di obiet­tivi e mis­sioni da com­ple­tare per pas­sare al livello suc­ces­sivo. I task asse­gnati si basano sullo svol­gi­mento di com­piti su Excel, Power Point, One Note e Word come ad esem­pio cam­biare font di un para­grafo o inse­rire par­ti­co­lari effetti in una slide. Ad ogni azione cor­retta cor­ri­sponde un deter­mi­nato pun­teg­gio che sarà con­fron­ta­bile con quello di amici, col­le­ghi o com­pa­gni di corso in un mec­ca­ni­smo lea­der­board based.
  • Sem­pre più enti pub­blici ed isti­tu­zioni stanno abbrac­ciando i para­digmi della Gami­fi­ca­tion per creare ser­vizi appea­ling per il pub­blico o miglio­rare l’organizzazione interna del lavoro. Un ottimo esem­pio arriva dall’Inghilterra e pre­ci­sa­mente dal “Depart­ment of Work and Pen­sions”. Idea Street è una piat­ta­forma online nata con lo scopo prin­ci­pale di favo­rire la cir­co­la­zione di nuove idee tra gli impie­gati dell’agenzia creando le pre­messe per una con­ti­nua col­la­bo­ra­zione di idee even­tual­mente imple­men­ta­bili anche nel day by day. Dopo 18 mesi di vita, Idea Street ha visto l’adesione di 4000 lavo­ra­tori, la genesi di 1400 idee e di que­ste 63 hanno tro­vato attua­zione pra­tica nel Dipar­ti­mento. Per quanto ci riguarda è inte­res­sante l’introduzione di mec­ca­ni­che gaming per ren­dere più enga­ge­ment e diver­tente il pro­cesso di crea­zione e con­di­vi­sione: moneta vir­tuale, punti, clas­si­fica, com­mu­nity diven­tano stru­menti di facile uso e com­pren­sione anche per un pub­blico pro­ba­bil­mente estra­neo ai videogiochi.
  • La catena ame­ri­cana 4Food ha aperto i bat­tenti la scorsa Estate intro­du­cendo dina­mi­che ludi­che all’interno di un busi­ness fisico e tra­di­zio­nale come quello dei Fast Food. Dal sito inter­net è pos­si­bile non solo ordi­nare ma anche creare il pro­prio panino per­so­na­liz­zan­dolo secondo molti para­me­tri (ingre­diente prin­ci­pale, secon­da­rio, tipo­lo­gia di pane, forma) e dan­do­gli addi­rit­tura un nome. Que­sta ope­ra­zione, sti­liz­zata alla stre­gua della custo­miz­za­zione di un per­so­nag­gio da gioco di ruolo, ha dei risvolti pra­tici. Recan­dosi nel punto ven­dita fisico per riti­rare il panino dise­gnato si potrà vedere il pro­prio nome in una tabella lumi­nosa ben visi­bile dove appare la clas­si­fica dei panini più acqui­stati nella set­ti­mana. I crea­tori otter­ranno delle royalty (un tot. di cen­te­simi) per ogni modello del pro­prio panino ven­duto tra­sfor­mando il sem­plice atto di ordi­nare e acqui­stare un panino in un immenso gioco dove reward psi­co­lo­gici (essere ai primi posti in clas­si­fica) e mate­riali (royalty) con­cor­rono alla fide­liz­za­zione dell’utente e alla vira­lità dell’iniziativa, in quanto ognuno è spinto a con­di­vi­dere via social net­work le pro­prie creazioni.

 

 

I videogiochi al servizio del marketing

Nei prossimi giorni andrà online una mia intervista su MarketingArena.it, portale dedicato alla tematica del marketing declinata nell’ottica delle nuove opportunità offerte dalle evoluzioni dei media. Il rapporto tra l’industria dei videogiochi e la comunicazione/promozione è destinato ad intrecciarsi sempre più e sarà nodale per brand owner, centri media e media agency cogliere le opportunità offerte dalle piattaforme digitali (social games, smartphones games, tv games) e dalle nuove tecniche come la Gamification.

 

Quali vantaggi traggono le aziende nell’utilizzare gaming, o parti di esso, nelle proprie attività marketing e non?

Per rispondere alla domanda è necessario dare una idea della pervasività dei videogiochi oggi. Nel 2010 in Italia il  43,5% delle famiglie possedeva almeno una console da gioco con un fatturato nel solo canale retail di oltre 1.1 miliardi di euro (fonte AESVI). Nel mondo sono oltre 500 milioni le persone che attualmente video giocano, un rapporto simbiotico specialmente nella fascia d’età under 18 dove il 90% dei ragazzi americani si diletta con questa forma di intrattenimento arrivando a spendere una media di 5 ore a settimana. Ma già da anni non è più solo la G Generation (generazione nata dopo il 1990) a essere il target di riferimento, l’avvento dei giochi su Facebook e Smartphone ha contribuito ad un allargamento del bacino. Il magazine scientifico americano Cyberpsychology, Behaviour and Social Networking riporta che nel 2009 circa il 61% dei CEO, CFO ed altri senior executives intervistati si concede una breve pausa gaming giornaliera per staccare dal lavoro. Molti non sanno che l’utente principale di giochi su Facebook (un mercato da oltre 200 milioni di giocatori mensili) è una donna, spesso mamma, sui 43 anni o ancora che tra i servizi più utilizzati su BlackBerry, smartphones per loro natura business oriented, i giochi occupano il secondo posto.

Il lungo preambolo aiuta a capire perché sempre più aziende ed istituzioni stanno abbracciando concetti come “advergames”, “serious games” ed il più recente “Gamification” – utilizzo di meccaniche e dinamiche gaming all’interno di contesti non video ludici – per perseguire i propri obiettivi.

I vantaggi elencati in ordine sparso sono:

TARGET: Centinaia di milioni di individui già avvezzi alle meccaniche e dinamiche dei videogiochi, buona parte dei quali è gaming addicted.

MOTIVAZIONE: Un bravo game designer è in grado di far leva sugli istinti umani: cooperazione, sfida, competizione, orgoglio, auto espressione, gioia,  socializzazione. Sentimenti e abitudini che possono essere rafforzati/modificati in linea con gli obiettivi del progetto.

METRICHE: In tempo reale ogni comportamento dell’utente può essere monitorato e tracciato ottenendo dati quantitativi e qualitativi. Il vantaggio di una siffatta analisi, all’interno di un advergame o gamification è la possibilità di creare azioni “data driven”. Se ci accorgiamo che solo il 5% degli utenti effettua il Level Up dal primo al secondo livello potremo intervenire in tempo reale per abbassare la curva di difficoltà o al contrario se troppi utenti passano al livello successivo lo si renderà più complesso onde evitare una veloce saturazione dell’esperienza.

ENGAGEMENT: Sia che si implementi il gaming per una campagna marketing sia per rinforzare il proprio core business (sia fisico che digitale), le game mechanics offrono una esperienza unica di interazione tra brand owner ed utente. In questi casi sarebbe meglio parlare di utente/giocatore, una fruizione attiva che consente di sentirsi parte integrante del meccanismo pur all’interno degli obiettivi individuati dal proprietario della piattaforma.

L’agenzia immobiliare americana Century 21 ha lanciato una campagna branded virtual goods su My City, social mobile gaming disponibile su iPhone by Ngmoco

Quali sono gli ingredienti per un gioco virale?

A partire dal 2007 Facebook ha aperto la propria piattaforma a sviluppatori esterni per realizzare ogni tipo di applicazione sfruttando le proprie API proprietarie. I giochi, ad oggi, rappresentano la categoria numero uno per quantità di titoli e fatturato generato mediante un business model basato su “virtual goods e currency”.  Proprio la viralità ha spinto numerose aziende ad abbracciare questa piattaforma (direttamente o indirettamente via Facebook Connect); una statistica largamente condivisa indica mediamente in x7 il coefficiente di viralità di un social game rispetto ad uno online. La miglior case history è rappresentata da Farmville, top social game di Zynga forte di 60 milioni di utenti mensili e ben 20 milioni giornalieri costanti da oltre due anni. Gli sviluppatori hanno fatto ampio uso di:

VIRTUAL GIFT: Entrando nel gioco lo schermo mostra subito una lunga lista di regali da inviare ad amici non ancora attivi. Regalare è uno dei gesti connaturati nella natura umana perché fa leva sull’istinto della reciprocità. Chi regala si sente di aver compiuto un gesto positivo e chi riceve è si sente in “dovere” di ricambiare. Come nella vita reale, durante le festività si ricevono regali da persone con cui non si è mai in contatto, ma l’onore e il buon senso ci spingono a ricambiarlo anche se controvoglia. Uno strumento di marketing virale eccezione, il giocatore è spinto ad invitare più amici possibili e ad effettuare il maggior numero possibile di regali giornalieri per velocizzare la crescita della propria fattoria.

COOPERATION: Sviluppatori come Zynga hanno capito l’importanza di render possibile una interazione positiva fra i giocatori. In Farmville si rivela fondamentale avere il maggior numero possibile di vicini di fattoria al fine di progredire nell’esperienza di gioco e trarre giovamento dal loro intervento durante la nostra assenza. Un buon vicino potrà venire a fertilizzarci il campo o aiutarci nel raccolto. Un circolo vizioso che ci spinge a mandare inviti a più gente possibile!

REAL TIME FEEDBACK: Molti giochi Facebook utilizzano una tecnica di “tutorial” perenne che accompagna ogni azione del giocatore. Una serie di frecce ed icone illuminate indicano passo dopo passo l’azione da compere a cui seguirà un premio sia tangibile (virtual goods o level up) o psicologico, quasi sempre un pop up testuale in cui il sistema si complimenta con l’utente invitandolo a condividere il traguardo raggiunto con tutti i propri amici. Questo è il “Wall Post”, quei messaggi che riempiono molte bacheche spesso eccedendo e causando l’avversione al prodotto (ma è proprio compito del game designer bilanciare). Giochi ben strutturati riescono a produrre una mole enorme di questi flussi in bacheca (nota bene: vi è un rapporto tra utenti e stream da non superarsi altrimenti si rischia la chiusura immediata dell’app..) che sono immediatamente visibili  a tutta la propria lista di amici, un aiuto incredibile alla viralità. A loro volta questi Wall Post possono essere statici oppure offrire un incentivo a coloro che vi cliccheranno. Ad esempio in Farmville  uno dei messaggi classici era relativo alla scomparsa di un animale dalla fattoria e cliccando un nostro amico avrebbe potuto adottarlo a mo’ di reward per aver cliccato.