Si chiama “Fuga dal Castello” ed è un videogioco educativo, che ha come obiettivo quello di insegnare che cos’è il risparmio ai suoi giovani videogiocatori. L’idea non poteva che essere partorita dal Museo del Risparmio di Torino, che coadiuvato da Neuroscience Lab di Intesa Sanpaolo Innovation Center, con il supporto del partner scientifico Scuola IMT Alti Studi Lucca ha sviluppato quest’applicativo nell’ambito deò progetto “Studio neuroscientifico del comportamento di risparmio nei ragazzi in età scolare”.
L’obiettivo era studiare dal punto di vista neuroscientifico sia il comportamento associato alle decisioni di risparmio nei ragazzi attraverso una misurazione dei comportamenti cooperativi e di autoefficacia, sia di capire meglio il ruolo del gaming nel meccanismo di apprendimento e di ritenzione dello stesso. Per questo motivo è stato scelto l’escape room come sistema di gameplay: si tratta di un gioco in cui un personaggio deve uscire da una stanza “virtuale” attraverso la risoluzione di indovinelli, puzzle ed enigmi. Gli enigmi possono avere un tema portante, guidato da una storia che si sviluppi e che dia coerenza al gioco. Tale scenario base può declinarsi in molteplici modi, oltre il semplice “uscire da una stanza”, agendo soprattutto sulla storia di contorno.
Graficamente è stato scelto un setting medievale, ma con riferimenti alla quotidianità per richiamare qualcosa di conosciuto. Il gioco si sviluppa in vare location ricavate nel castello: oltre all’Atrio del Castello (con una comprensione del testo con lessico legato al risparmio), gli ambienti considerati nel gioco sono Cucina (gestione risorse scarse), Salone delle Feste (scelta con un vincolo di budget) e biblioteca (concetti della pianificazione). I videogiocatori si trovano così a dover ragionare su problematiche tipiche del “risparmio”, avendo contro anche la clessidra del tempo, che risulta determinante per portare a termine il gioco proficuamente.
“Fuga dal Castello” è stato sviluppato per dispositivi iOS ed Android ed è scaricabile dai seguenti link:
L’arrivo della bella stagione favorisce le gite fuori porta e la visita di luoghi da nord a sud in tutto il Bel Paese. Gli explorer nostrani ed internazionali sono alla ricerca di mete inusuali, fuori da quelle che costituiscono tappa fissa per ogni turista che si rispetti. Come può il digitale aiutare a far emergere questi posti, aiutando il turista a scoprirli e visitarli? E’ il caso della realtà aumentata, che grazie all’utilizzo dello smartphone disegna percorsi per tutti i gusti. In questo articolo analizzeremo le app di Favara e San Pietro Avellana.
L’app intitolata ‘L’Aquila Rinasce’ è ambientata nella città di Favara. Disponibile per dispositivi iOS ed Android, sfrutta la realtà aumentata per disegnare un percorso fatto di Saette che porterà i visitatori a scoprire i luoghi del centro storico di Favara. Realizzata per il Festival di Favara 2021, l’app sfida i suoi utenti a raccogliere tutte le saette partendo da Farm Cultural Park fino a raggiungere il Quid Vicolo Luna. Un contatore posto in basso sullo schermo del cellulare alimenta l’istinto di collezionare tutte le saette, visitando i luoghi dove esse sono state poste.
Esistono due tipi di saette: quelle piccole che disegnano il percorso e quelle grandi alle quali sono associati dei contenuti multimediali: gli utenti potranno così scoprire attraverso la visione dei video nuove informazioni sulla ricostruzione della città dell’Aquila. Una funzione implementata nell’app permette ai visitatori di avvicinare le saette ingrandendo o restringendo il campo visivo con due dita sullo schermo dello smartphone per collezionarle con un semplice tocco: in questo modo l’esperienza di gioco è fruibile in modo completo anche dai giocatori meno esperti o più inclini al passeggio piuttosto che all’esplorazione.
Exploring San Pietro Avellana è l’app ufficiale dell’omonimo comune situtato in Molise, che traccia ben tre percorsi in realtà aumentata per turisti e scolaresche in visita nel paese molisano. Scaricando l’app sul proprio smartphone dagli store iOS e Android, bisognerà recarsi in piazza Umberto I per scegliere uno dei tre percorsi denominati con i colori blu, rosso e giallo. Ogni percoso ha un tot di gemme da raccogliere per essere completato, ma soltanto gli esploratori che riusciranno a completare tutti e tre i percorsi riceveranno un premio speciale, ovvero il diploma di vero urban explorer della città di San Pietro Avellana.
Per portare a termine i percorsi gli utenti dovranno visitare il paese di San Pietro Avellana, ma anche un bosco adiacente, scoprendo tutte le bellezze naturalistiche del territorio. Inoltre alcune gemme racchiudono delle sorprese: sbloccandole il visitatore potrà vedere riprodotte in 3D fotografie e reperti archeologici del museo cittadino! Con lo schermo dello smartphone, oltre a poter girare attorno ai reperti e fotografie per guardarli in ogni dettaglio, il visitatore sarà in grado anche di leggere informazioni su un apposito menu a tendina posto in alto che si chiuderà ed aprirà ogni volta con un semplice tocco del dito.
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Il covid sta spingendo sempre più le scuole ad adottare piattaforme e strumenti digitali per la didattica a distanza. Sono molteplici i progetti che stanno nascendo per allargare l’offerta online di scuole ed istituti, ed all’interno di questi spicca “Play to be a player: learn for your life”. Il progetto parte dall’esigenza, da parte di scuole ed educatori, di diffondere i valori etici della cittadinanza, della convivenza pacifica e del rispetto culturale nella società moderna, ma grazie al digitale riesce a porsi nel contesto attuale come strumento tecnologico di riferimento nelle scuole per affrontare temi come il bullismo, il rispetto dell’ambiente e l’integrazione attraverso un videogioco. Attraverso la piattaforma GAMENGO, il lupacchiotto Filù si rivolge ai bambini delle scuole primarie.
Il progetto ha visto impegnato il noto game designer Fabio Viola nella strutturazione della componente di coinvolgimento rientrando in un progetto più ampio con capofila ADTM e partner come Università di Foggia, MamaPulia, MobileIdea, ArgoMedia, Alfa Consulting.
Filù, il protagonista del gioco, è stato ideato dal team di ricerca dell’Università di Foggia ed è un bimbo con le orecchie e la coda da lupacchiotto. Questo simpatico personaggio accompagnerà i bambini attraverso 12 livelli ambientati nelle tre macro aree del bullismo, rispetto dell’ambiente ed integrazione. Ogni livello racconta una situazione al quale il bambino assiste con l’insegnante o un genitore, che si conclude con un quiz a risposta multipla. Per esempio Filù sarà preso in giro per il suo aspetto da alcuni bambini e le risposte del quiz mireranno a comprendere quale emozione prova il giocatore nel vivere quell’esperienza.
Il videogioco di Filù, fruibile sia in italiano che in inglese, è dotato di un algoritmo sviluppato ad hoc che traccia un profilo ‘emozionale’ del giocatore, che cambia ogni volta che lo studente rigioca e modifica le sue risposte al quiz. Ogni risposta data evidenzia una stellina sulla casella del quiz completato ed alla fine della sua avventura nel mondo di Filù il giocatore è premiato col rilascio di un diplomino che può essere anche stampato.
Allo scopo di diffondere in maniera efficace i valori del dialogo culturale e di contrastare le problematiche più rilevanti della società odierna quali l’antisocialità, il disinteresse, la diffidenza verso il prossimo percepito come diverso,GAMENGO Play to be a player ha realizzato: Una piattaforma web-based pensata ad hoc per il mondo “scuola”, capace non solo di mettere a disposizione di tutti gli utenti registrati contenuti didattici formativi ma anche di profilare, monitorare ed elaborare dati provenienti da piattaforme di gioco proprie o di terze parti. La piattaforma nel pieno rispetto della privacy è dei ruoli(scuola, responsabile, educatore) è in grado di gestire dinamicamente utenti (alunni e classi) e figure professionali coinvolte ed è in grado di immagazzinare dati, provenienti da sessioni live di gioco, elaborarli (tramite algoritmi) e metterli a disposizione dei formatori autorizzati. Un gioco multimediale per ragazzi di età compresa tra i 6 ed 8 anni attraverso il quale i ragazzi vengono coinvolti in percorsi virtuali finalizzati allo sviluppo di un apprendimento collaborativo e interattivo. Contenuti formativi di altissimo profilo realizzati grazie alla collaborazione della Università degli Studi di Foggia
La rivoluzione informatica degli istituti bancari è in corso da anni con molta lentezza, tramite l’adozione delle nuove tecnologie che di volta in volta diventano abitudini delle nuove generazioni.
La banca è storicamente un’istituzione “necessaria” per gestire i propri prelievi tramite bancomat e per chiedere soluzioni finanziare quali i mutui; è insomma una realtà del proprio quotidiano non appena si diventa maggiorenni. Questo non significa che il linguaggio con cui si interfaccia alle persone sia anch’esso quello giovanile: è anzi interesse di molti istituti bancari mantenere un’areola di inaccessibilità e di depositaria di potere e informazioni precluse alla persona comune, per giustificare l’azione di affidare alla sua competenza i nostri risparmi.
La controtendenza è nata prima tramite internet e gli accessi ai conti online, dove parte di tutta quell’informazione precedentemente demandata alla fila agli sportelli è divenuta accessibile da casa; successivamente grazie al mobile, con i tool che allertano il cliente in tempo reale sull’andamento della borsa o l’arrivo dello stipendio sul conto.
Il passo “rivoluzionario” è quello di tramutare l’accesso all’informazione del proprio conto in un contenuto interattivo, qualcosa di dinamico e indirizzato dalle azioni del cliente indipendentemente da consulenti della banca. Un esempio semplice del concetto lo abbiamo affrontato per esempio parlando di risparmio programmato ad obiettivi con Smarty Pig.
Le banche oggi hanno la necessità di fare proprie le stimolanti idee della gamification e nel farlo adottano la tattica centenaria che le contraddistingue: appropriarsi di metodologie già esistenti e classificarle secondo una terminologia proprietaria che faccia sembrare che dietro ci sia una imperscrutabile conoscenza che solo loro sanno maneggiare.
I dettami del modello PBL (point, badges, leaderboards) hanno uno scopo apparentemente ludico ma, qui più che in altre piattaforme, si prefiggono un obiettivo puro e semplice: la loyalty gamificata, trovare cioè il giusto piacevole meccanismo di interazione a cui il cliente si abituerà e che non vorrà più abbandonare.
L’engagement in questo scenario cresce di pari passo con la semplificazione, essendo le procedure ed i concetti finanziari non affatto intuitivi. Ecco che per attrarre il maggior numero di clienti l’approccio ludico si sposa con concetti cari alle nuove generazioni come educazione ambientale, microrisparmio, green finance.
Citiamo in questo ambito la proposta di Flowe, che afferma di investire le risorse bancarie nella creazione di profitto tramite attività ambientaliste e sociali, alla stregua quasi di una onlus.
I principi base di Flowe
Il concetto propagandato è quello della BetterBeing Economy, un esempio di quanto abbiamo appena detto in merito alla trasmutazione di definizioni già esistenti in formule criptiche ad uso delle finanziarie (il nome è addirittura depositato). Ebbene, questa economia etica significa gestire le proprie scelte di vita tramite il denaro e grazie alle istruzioni dell’istituto che diviene la nostra guida, a cui non dovremo più rinunciare!
La carta di credito di Flowe è fatta in legno, per ricordare che ogni correntista è associato ad un nuovo albero piantato in Guatemala tramite accordo con ZeroCO2 (gamification a mille tramite la app che mostra l’ubicazione geografica della tua personale pianta!)
L’azienda è certificata “Carbon Neutral”, ossia è un’entità che compensa l’anidride carbonica prodotta attraverso il brand activism, vale a dire la propria impronta sociale valutata con i finanziamenti green.
L’engagement che punta principalmente sulla coscienza ambientale viene affiancato all’interno del menu del correntista da gruppi di spesa, educazione sulla sostenibilità, educazione al divertimento come presupposto alla cura del mondo.
Non ci sono in tutto quello che abbiamo visto qui nuovi concetti rivoluzionari, ma un attento studio gamificato volto a racchiudere quanto di più profano ed egoistico possa esistere (la cura del proprio patrimonio economico) con un envelop che faccia credere al correntista che le proprie scelte ed i propri investimenti siano al contempo divertenti ed utili per migliorare la società. Una sorta insomma di gamificazione della coscienza.
Le elezioni americane si avvicinano e tra le molte iniziative ci aspettavamo sicuramente qualche idea potenziata dalla gamification.
Trump è da sempre concentrato sull’ambito social ed ora va alla carica con la nuova app T2020 che trovate su google e su apple store.
Applicare la gamification alla propaganda è un concetto che non dovrebbe risultare innovativo. Nell’ormai lontano 2011, Fabio Viola scrisse un lungo articolo sull’intersezione possibile tra politica e coinvolgimento segnalando i primissimi casi provenienti dal mondo anglosassone e le possibilità di farne una tecnica di marketing politico anche in Italia.
Come funziona
L’app fornisce accesso a video tutorial che spiegano come diventare un attivista digitale, come organizzare incontri con gli amici a sfondo propagandistico, come diventare un bundler (attrattore di fondi per la causa). La app usata dal team di Trump utilizza un sistema a punti: si ottengono punti se condividi i tweet del presidente, più punti se condividi la app. Quando l’utente accumula 5000 punti puo utilizzarli nello shop online della campagna di Trump, che comprende prodotti ma anche accessi vip alle manifestazioni presidenziali; per i fanatici sostenitori, arrivare a 100mila significa un invito a fare una foto con il presidente!
La gamification rende più serene le persone sospettose e più attive quelle favorevoli
L’efficacia di questo sistema, che a noi può apparire ancora un pò alieno, è basata sul coinvolgimento attivo dei sostenitori, che vivono l’impressione di essere un membro del team. Che sia effettivamente così o no è difficile giustificarlo, ma anche ammesso che il numero di nuovi adepti cresca in modo trascurabile grazie alla app, è garantito che si moltiplichino le view dei messaggi del presidente. Ci sono aspetti “sommersi” non così evidenti ed altrettanto importanti: uno è l’accesso ai numeri dei contatti sui cellulari (previo autorizzazione dell’utente) che permette di creare una mappatura degli influencer più efficaci e quindi meritevoli di attenzione. Un altro concetto che viene veicolato è il microtargeting: comprendere tramite informazioni condivise (i social con cui ti sei loggato, la profilazione, i tempi di risposta ai banner) quali siano gli argomenti di maggiore interesse e su cui quindi preparare dichiarazioni del presidente.
Un aspetto molto delicato che emerge dall’analisi di questo prodotto è quello etico: è corretto proporre uno strumento che studia le convinzioni degli elettori al fine di dire al candidato “cosa è meglio” dire alle persone? Non si tratta di un vero e proprio inganno? Per il team del presidente non lo è in quanto sono gli stessi utenti a dare le informazioni e accettare questo veicolo elettorale.
E’ una strada che Trump ha iniziato già nei tempi delle prime elezioni e che diverrà un punto fermo negli anni a venire, perché il tam tam social è molto più veloce, ed anche meno dispendioso rispetto alle convention tradizionali. Il coronavirus ha evidentemente accelerato l’adozione di questo metodo. Stiamo quindi correndo verso uno scenario alla Max Headroom?
I numeri social di Trump stanno dando ragione alla sua decisione di gamificare la campagna, visto che supera in follower il rivale Biden di 13 a 1; quello che non viene spiegato opportunamente è quanti di questi follower sia in realtà delgi haters.
In conclusione, e indipendentemente dall’efficacia del processo di gamificazione della campagna condotta da Trump, che comunque appare indiscutibile, possiamo dire che il matrimonio fra gamification e politica è stato celebrato e inevitabilmente prenderà piede anche altrove ed in paesi digitalmente arretrati come l’Italia. Un’ ennesima battaglia vinta possiamo affermare.
Le performance odierne dei cellulari nell’ambito fotografico sono ormai divenute sorprendenti e, diciamolo pure, superiori alle esigenze di molti utilizzatori, che fanno foto solo occasionalmente in compagnia.
Non essere dei professionisti non significa però farsi scrupoli nel postare i nostri scatti su varie piattaforme social, contribuendo a quella che è una perenne pioggia di immagini in viaggio in tutta la rete.
Avete mai pensato di voler ricevere apprezzamenti o giudizi sulle vostre foto? E cosa ci può essere di meglio che avere un giudizio immediato, automatico, a mettiamoci pure anonimo, senza dovervi esporre ai like forzati o alle gaffe dei vostri contatti social personali? Gurushots ha pensato a voi, e apparentemente siete in buona compagnia: decine di milioni di utenti ci postano e giudicano costantemente milioni di foto!
Come funziona
Una volta installata la app dagli store apple o android, datele i permessi per la vostra fotocamera.
Scegliete una prima foto per rendere il vostro profilo attivo e iniziare ad interagire con gli altri utenti.
Potete creare un team invitando altri membri o aggiungervi ad un team esistenze, oppure rimanere un solitario.
Sul welcome screen vedrete ogni volta dei banner che menzionano le challenge in corso o in arrivo ed esiste anche un algoritmo che valuta i contenuti delle vostre foto suggerendovi a quale challenge sono adatte!
Il principio è basilare: fate foto non appena siete ispirati; immortalate immagini belle, rare, emozionati o anche solo quello che vi incuriosisce.
Permettete alla app di accedere ai vostri scatti e scegliete cosa condividere nella comunità.
Otterrete subito like/dislike e vedrete crescere i vari parametri che identificano il vostro profilo di fotografo dilettante (o esperto?)! Il giudizio e i riconoscimenti non sono frutto di un algoritmo pre-programmato, ma sono quelli di persone vere come voi che stanno condividendo le loro fotografie.
Il cammino parte da un profilo newbie e la vostra motivazione è nutrita dal desiderio di ottenere ranking migliori. L’idea è quella di arrivare fino in fondo guadagnandosi il titolo di Guru.
A seconda delle challenge che scegliete e della costanza dei vostri contributi otterrete varie tipologie di badge con cui pavoneggiarvi, per esempio se siete un costante giudice di foto altrui, o se avete raggiunto la top 100 in qualche sessione di voto.
Alcune delle challenge vengono sponsorizzate da vari brand e quindi è possibile competere per ottenere dei premi veri!
E non è finita: l’idea più originale e apprezzabile di questo prodotto è la raccolta delle foto più meritevoli che verranno esposte in esibizioni in varie gallerie nel mondo, secondo tematiche specifiche ed ovviamente grazie alla sponsorizzazione diretta degli sviluppatori che si accordano con le sale di esposizione.
Esistono naturalmente contenuti a pagamento per “boostare” le vostre foto e sponsorizzare il vostro profilo, argomento questo che lasciamo alla vostra sperimentazione non essendo espressamente inerente al contesto.
Un interfaccia totalmente progettata con la gamification
Questo prodotto è stato creato tenendo in mente l’obiettivo del divertimento. Perfezionare uno scatto non è basilare quanto semmai inviare più contributi possibili per strutturare il vostro profilo e partecipare ai contest.
Ci sono contest continui, anche più volte al giorno, e potete scegliere in quale gareggiare, in base alla vostra confidenza.
Il tempo richiesto per il vostro intervento può essere ridotto al minimo, ma le i punteggi vivono di vita propria e quindi sarete costantemente stimolati a visionare i vostri progressi.
Sono in funzione in questa app tutti i concetti cardine della gamification: il riconoscimento immediato, la condivisione social, una serie di badge, una metrica di ranking mondiale nella quale inserirsi, premi reali.
Concludiamo questa interessante prova ricordando che Gurushots non è l’unica soluzione disponibile sugli store per lo sharing e la votazione di fotografie, ma abbiamo scelto questa app perché è un esempio felice di come partire sin dalla prima bozza di design con in mente una sola parola: gamification! Una scelta che non è sempre scontata e che può essere perfino coraggiosa in qualche ambito, anche se ammettiamolo in questa circostanza non siamo di fronte ad intuizioni innovative, quanto all’applicazione pragmatica e attenta di tutti i principi base di questa scienza del coinvolgimento. Esame superato insomma.
Quante ore di lavoro avete dedicato a slides e lunghe liste di definizioni nel tentativo di ridurre al minimo concettuale i contenuti che volevate trasferire nelle menti dei vostri attenti (?) e interessati (?) spettatori in un ufficio in penombra e davanti a una di quelle grandi lavagne cancellabili?
L’engagement dell’auditorio è da sempre una delle grandi sfide che istituzioni scolastiche, università, visionari di industria e manager del marketing hanno affrontato con alterne fortune.
Una recente applicazione della gamification affronta questo scenario facendosi strada sui social e nelle agenzie di marketing. La commistione di videogioco e presentazione di contenuti, concetti o proposte non è intuitiva per tutti, ma lo è per gli esperti del gioco che già in passato hanno sperimentato varie soluzioni estemporanee. Per società come Viewhooo è ora giunto il momento di passare dalla sperimentazione al prodotto di mercato!
Viewhooo propone mini-avventure customizzate in forma di platform games con i quali indurre gli interlocutori ad esplorare dei concetti e delle meccaniche di ampio respiro: può trattarsi di complesse interazioni economiche, nozioni storiche o matematiche come un prodotto da lanciare in commercio. Loro lo chiamano gamegagement!
Il meccanismo prevede la scelta di un puzzle da risolvere secondo diversi livelli di difficoltà ma anche di durata della presentazione/esperienza interattiva.
Il cliente potrà quindi scegliere un avatar fra quelli preimpostati o richiedendone uno su misura, e l’ambientazione, in sostanza il fondale del gioco, anche questo personalizzabile. Dopo queste semplici impostazioni sarà possibile cimentarsi con i puzzle del minigioco direttamente online, in quanto il prodotto è pensato per marketing social e diffusione su piattaforme come Facebook prima di tutto, oppure per una web page aziendale o scolastica dedicata a un servizio o un assignment. Vediamo meglio questi due aspetti del concetto.
Presentazioni per business
Non sembra necessario evidenziare come le presentazioni professionali siano criticamente limitate dalla perdita di attenzione degli interlocutori. Esistono centinaia di corsi e autoreferenziati guru delle presentazioni “efficaci”, e tutto lo sforzo profuso dai professionisti si concentra su una questione di base: le presentazioni sono passive e impersonali, puoi renderle dinamiche e divertenti fino a un certo punto ma non possono essere coinvolgenti perché non sono contribuite dagli spettatori. Questo a meno che non sia lo spettatore stesso a condurre lo svolgersi della presentazione con la velocità e l’interazione che lui stesso decide.
E’ il concetto della gamified presentation per business, che forse oggi mostra più promesse che efficacia ma merita sperimentazioni approfondite che certamente sono in corso d’opera da parte non solo di Viewhooo ma anche di altre società che ne hanno intravisto la richiesta di mercato.
Panel per studenti
Mentre le presentazioni professionali si dimostrano un campo di battaglia ostico da conquistare per il gamegagement, l’ambito educativo appare invece la sua naturale applicazione.
La motivazione di uno studente è estremamente cangiante e proporre lavori di gruppo o compiti a casa basati sulla realizzazione di un minigioco interattivo è apparentemente geniale.
Abbiamo provato il gamegagement sul sito di Viewhooo, traendone sensazioni positive per la facilità d’uso e la sfida modulabile. Non mancano interrogativi però: fino a che punto la qualità grafica deve essere spinta per non divenire preponderante rispetto al concetto veicolato? Come convincere una clientela solitamente molto “seria” ad adottare un linguaggio giovane tipico della gamification e che, soprattutto, riduce il suo senso di controllo assoluto sul “pace” della presentazione, regalandolo allo spettatore?
Quello a cui mi riferisco è un concetto molto più generalizzato contro cui questo tipo di prodotti va a scontrarsi: il potere della parola fine a se stessa; il virtuosismo dell’ ipnosi degli interlocutori basato su neologismi e dense esposizioni. Questo tipo di potere è in mano ai manager e diviene un meccanismo di carriera che si alimenta da solo: in tutte le grandi aziende esistono svariati manager che giunti a un certo livello della gerarchia abbandonano la guida operativa della nave per divenire “predicatori” di presunte ineluttabili rivoluzioni veicolate dalle tecnologie o metodologie di cui sono esperti.
Ne avevamo parlato in merito alla “piramide irrazionale“, ed è facile trovarne traccia se andate a scorrere gli articoli di piattaforme come linkedin, ricca di rimbombati annunci sulla dittatura dell’intelligenza artificiale che cambierà tutto nella nostra vita (eccetto quello che aveva promesso di cambiare già un decennio fa). La gamification si distingue in questo caso perché, come tante volte dimostrato in questo blog, non è una esposizione di concetti per amanti del pulpito, ma la definizione di strumenti con i quale realizzare effectiveness e innovation.
La sclerosi multipla è una terribile patologia per la quale non esiste cura, che solamente in Italia colpisce oltre centomila persone calando loro ed i famigliari in una spirale di difficoltà e depressione. E’ la principale causa di disabilità non traumatica nei giovani ventenni e trentenni.
Il danno legato a questa patologia, di cui non ci permettiamo di definire sintomi ed effetti in modo approfondito non essendo competenti in merito, ha calamitato, come già accaduto per diverse altre situazioni mediche, lo studio di esperti della gamification per sperimentare tecniche in supporto al rallentamento dei sintomi e della degradazione motoria del paziente.
La Fondazione Italiana Sclerosi Multipla e diversi centri neurologici sparsi in tutta Italia da circa due anni hanno unito le forze per condurre test sull’uso di interfacce semi videoludiche che assistono i pazienti nella ginnastica riabilitativa.
Il risultato di questa sperimentazione è Ms-Fit di Roche, un videogioco che permette ai malati di compiere movimenti allo scopo di migliorare postura, equilibrio e respirazione.
La ripetizione quotidiana di questi esercizi è indicata dai medici per combattere il progresso del danno nervoso e fornire al cervello routine aggiuntive utilizzabili per sopperire alla comparsa di disturbi che impediscono i normali movimenti, in particolare degli arti superiori.
Si tratta della cosiddetta attività fisica adattata (AFA), eseguibile da casa e monitorata a distanza da un medico.
Cosa propone MS-Fit
Il videogioco, o meglio serious game, di Roche attinge ai concetti della gamification per superare la noia e la resistenza spesso insorgenti nei pazienti, che rischiano di incorrere in depressione a causa della perdita di controllo dei movimenti. La riabilitazione fisica è lunga e mostra spesso progressi minimi, è anzi da intendersi non come una cura, ma come prevenzione del peggioramento, e per questo è emotivamente molto difficile da adottare con regolarità e con un minimo di motivazione.
I programmatori di Helaglobe srl hanno tentato di introdurre engagement in questa pratica tramite elementi divertenti e personalizzati.
L’uso di un avatar guidato da motion controller permette al paziente di adottare un approccio disgiunto dalla propria menomazione identificandosi con un personaggio i cui progressi a schermo diventano visibili e quantificabili. I risultati degli esercizi, che svolti tradizionalmente sono impercettibili e spesso inducono il paziente alla frustrazione, divengono invece i gesti con cui ottenere dei risultati in classifiche in pieno stile dei videogiochi.
I movimenti dell’avatar sono ispirati al pilates e possono adattarsi alle difficoltà specifiche del singolo malato, trasformandosi in un fitness game adatto a tutti.
L’insorgere moto rapido della fatica nei malati di sclerosi multipla, viene considerato grazie al concetto gamification di sfida vs premio, per indurre a piccoli step a non abbandonare l’esercizio.
Esiste inoltre un obiettivo finale e motivante, che è la realizzazione di un viaggio fotografico intorno al mondo.
I test di Ms-Fit sono stati condotti con sessioni di cinque giorni a settimana su oltre cento pazienti e i dati raccolti sono da tempo studiati per portare questo tipo di sperimentazione al livello successivo, fino ad essere integrata sistematicamente nelle metodologie anti sclerosi. La gamification si è dimostrata l’approccio più innovativo in questo settore e seppure non ci permetteremo di esaltarne i risultati, come sempre accade quando parliamo di argomenti cosi delicati, è certamente uno strumento da coltivare fino in fondo perché può produrre un effettivo impatto sulla vita quotidiana degli sfortunati pazienti.
E’ sempre più facile imbattersi nel vocabolo gamification. Seppure ancora considerato un fenomeno sperimentale in molti ambiti accademici o istituzionali, è ormai ingiustificabile ignorarlo quale che sia lo scopo per cui si intenda avvalersi del gioco nel proprio contesto aziendale o sicale.
Un aspetto sorprendente del fenomeno gamification è il suo aver appena compiuto i primi dieci anni di vita “ufficiali”, almeno da quando il termine iniziò a circolare su Google ad inizi 2010. Una disciplina quindi giovanissima ed un vocabolo da poco entrato nel lessico quotidiano e delle aziende.
Parlare di gioco, coinvolgimento, storydoing, punteggi, missioni, badge suonava non solo strano ma spesso controproducente nelle aziende. La cultura dominante era il totale distacco rispetto al gioco percepito come una attività da relegare ai più piccoli, una attività poco serie in contrasto agli obiettivi di business serissimi che una azienda si dava.
Quando è iniziato allora il grande cambiamento? Chi ha i meriti di aver affrontato lo status quo cercando di far germogliare la gamification (che ancora ovviamente non si chiamava così).
Con la dovuta umiltà introduciamo in questo articolo gli spunti storici che possono aiutare chi si avvicina a questo fenomeno a comprenderne l’evoluzione.
Il primo testo di riferimento che ha formulato una descrizione ampia del concetto di coinvolgimento dello studente nel percorso conoscitivo mediante la motivazione è probabilmente Thomas Malone, con il suo libro “What Make Thing Fun to Learn” pubblicato al MIT nel 1980.
Malone, con un approccio puramente scientifico e, se vogliamo, solo speculativo propose la domanda sul perchè i giochi per computer, in grande crescita in quel periodo (è l’anno in cui Atari invade i salotti con il suo VCS), attirino le persone con tanta facilità.
Il passo successivo del suo studio cerca di proporre degli spunti per sfruttare l’efficacia del videogioco a fini educativi, come supporto allo studio indipendentemente dalla materia affrontata. Si parla insomma di meccaniche ludiche informatiche, allo scopo di classificarle e riutilizzarle come principi generici.
Lo spunto di Malone non rimarrà inascoltato in ambito universitario, propiziando commenti ed interventi di altri teorizzatori sull’onda del fascino dilagante dell’idea di computer come “compagno dell’uomo”.
La Human Computer Interaction è il primo ambito semi industrializzato in cui queste teorie trovano applicazione, nel tentativo di sostituire i criptici listati comprensibili solo a programmatori, con interfacce visive, almeno minimamente intuitive, in cui l’utente può immedesimarsi: sono state poste le basi del concetto di avatar.
In questa decade il governo americano spingerà molto la sperimentazione scolastica introducendo giochi come supporto ad attività studentesche.
E’ il caso di Math Blaster, creato dall’educatore Jan Davidson nel 1983 per offrire sfide in forma di gioco arcade che esercitassero le capacità matematiche. Lo schermo propone problemi matematici di vario livello e il giocatore deve sparare sulle risposte corrette. Un editor permetteva agli insegnanti di rielaborare i quesiti.
Oggi Math Blaster appare un concetto infantile e basilare, ma allora fu rivoluzionario, tanto da attirare, che ci rediate o no, molte più critiche che elogi da parte di tutto l’establishment educativo che voleva vedere in un gioco solo la futilità e la ripetitività, cieco ai concetti di engagement, divertimento e riconoscimento immediato del risultato (cosa inaudita per professori che gestivano le correzioni e l’attesa dell’esposizione dei voti come un’imprescindibile imposizione di ansia, timore reverenziale e autorità).
Praticamente il potere intoccabile e la figura distante e seria dell’insegnante veniva scardinata da un “futile gioco”.
Stiamo vivendo l’infanzia di una rivoluzione che lentamente dovrà evolvere introducendo concetti più maturi quali lo storytelling, poi visto nel seguito di Math Blaster ed in altri videogiochi basati sul ragionamento e la logica.
Nel 1985 Chris Crawford realizza su Macintosh e successivamente computer Amiga il grande classico Balance of Power, costringendo una parte della comunità di giornalisti e scrittori “impegnati” a interrogarsi su come il videogioco possa essere uno strumento molto più veloce e coinvolgente per l’utente attraverso il concetto di storytelling vissuto e quindi modificato attivamente, anzichè sequenziale tipico dei libri di testo.
Negli anni 2000 possiamo individuare l’inizio dell’applicazione della gamification ad ambiti socio culturali estesi e non più solamente speculativi.
Le prime attestazioni del termine gamification risalgono al 2002 stando ad un commento web pubblicato da Nick Pelling. Il programmatore di videogiochi inglese, con all’attivo decine di titoli dal Commodore 64 alla Pla-ystation 2, rivendica la primogenitura del termine e Wikipedia sembra accordargli tale titolo sebbene postdatando al 2004. Si rimanda al nostro articolo Storia della Gamification per approfondimenti.
Si ricorda per esempio l’associazione Games for Change introdurre nei giochi informazioni sugli aspetti sociali e culturali dei conflitti bellici. Alla fine del millennio è matura ormai l’introduzione della gamification in ambito aziendale tramite punteggi e badges, grazie ai pionieri di Bunchball, che offrono soluzioni di training aziendale motivazionale.
Internet alle soglie del decennio attuale avrà il compito di esplodere la discussione su questi metodi grazie alla sua viralità, soprattutto con la storica conferenza tenuta dal game designer Jesse Schell al DICE (Design Innovate Communicate Entertain) 2010 che sdogana la pointification da cui poi nascerà una scienza più compiuta che prende il nome di gamification.
Nel 2011 a San Francisco si tiene il primo Gamification Summit e lo Oxford Dictionary dovrà prendere atto ed aggiungere Gamification nei neologismi del 2013.
Ci sono naturalmente molte applicazioni e molti studiosi non citati in questo articolo che hanno dato un fondamentale contributo all’evolversi di questo fenomeno, ma i limiti evidenti di questo contesto ci impongono di ricordare come abbiamo voluto solo fornirvi degli spunti storici per incentivare la vostra curiosità e stimolarvi, se vorrete, a commentare voi stessi errori o dimenticanze con altre citazioni in commento in questo blog.
Il consorzio europeo Restore, formato da università, aziende farmaceutiche e centri di ricerca europei, è al lavoro su un videogioco per raggiungere e sensibilizzare nuovi pubblici verso le cure terapeutiche avanzate in ambito medico.
Disponibile nelle prossime settimane gratuitamente su App Store e Google Play in italiano ed inglese, Fragments of Life segue la vita di Ella colpita a soli 13 anni da Leucemia Linfoblastica Acuta.
Una intimistica esperienza interattiva che scava i sentimenti più profondi dell’animo umano portandoci a scoprire gioie, speranze, dolori, primi amori ed amicizie della giovane Ella. Una diagnosi, il ciclo di cure, la recidiva ed il trattamento finale con la terapia cellulare CAR-T, esempio prominente di svolta nella ricerca medica, diventano lo sfondo di dieci intensi anni di vita che il giocatore dovrà ricostruire.
Hans-Dieter Volk, coordinatore di RESTORE, spiega: “Per noi scienziati, le terapie avanzate sono affascinanti sia come entità biologiche, sia per il modo in cui stanno iniziando a cambiare il panorama delle cure mediche. Ci aspettiamo che abbiano un grande impatto sugli individui e sulla società. Crediamo che comunicare questa nuova frontiera a tutti ed entusiasmare il grande pubblico sulle Terapie Avanzate sia un compito essenziale per RESTORE. Con Fragments of Life speriamo di educare una nuova generazione di giovani e di ispirarli a saperne di più!”
Ambientato nella cameretta della protagonista Ella, il gioco racconta la sua vita attraverso 60 fotografie disegnate a mano. Ogni foto è un frammento di vita e spetterà al giocatore riordinarlo secondo l’ordine in cui si svolsero gli eventi indagando su ciascuna foto attraverso funzionalità come lo zoom, l’accesso agli approfondimenti correlati e grazie alla possibilità di appuntarsi note e rispondere alle domande di Ella sulla propria vita.
Dr. Pier Maria Fornasari, a capo Regen Health Solution, è convinto che “Imparare giocando è una modalità incredibile per trasferire conoscenze, informazioni e formazione ai più giovani su temi importanti come quelli connessi alla salute. Fragments of Life è un innovativo strumento educativo per raccontare le nuove terapie avanzate in ambito medico; in un’epoca dominata dalle fake news trasmesse sui social e dalle false speranze promosse da chi ha interessi fraudolenti, questa esperienza digitale diventa uno straordinario strumento scientifico per informare giocando”.
L’ideazione e sviluppo di Fragments of Life è stata affidata al game designer Fabio Viola, già noto per operazioni pioneristiche come Father and Son (oltre 4 milioni di download per il videogioco ufficiale del Museo Archeologico Nazionale di Napoli) e A Life in Music (primo videogioco al mondo prodotto da un teatro, il Regio Di Parma). Con lui il team del collettivo TuoMuseo e Mobile Idea srl composto da illustratori, screenwriter, designer, programmatori e musicisti.
“E’ una grande responsabilità utilizzare il linguaggio del videogioco per raccontare un tema complesso come la leucemia. Ha dichiarato Fabio Viola, game designer “Abbiamo concepito una storia interattiva in cui la componente di entertainment si mescola con la ricerca scientifica per essere fruibile da un ampio pubblico internazionale”.
Maggiori informazioni saranno a breve disponibili sul sito ufficiale di Restore.
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