Se ne è parlato anche in tv in qualche occasione: in Cina il governo (sostituite il termine con “dittatura democratica” se preferite) applica da tempo un sistema di monitoraggio dei comportamenti della popolazione, atto a classificare il livello di responsabilità sociale e affidabilità di ognuno. Quattro anni fa, fummo i primi in Italia a parlare di questa gamification governativa.
Quello di cui si è discusso poco o nulla e che molti non sanno, è che questo sistema non è isolato alla realtà cinese, ed è invece teorizzato da diversi sociologi anche in UK o Stati Uniti come potenziale mezzo di controllo delle problematiche sociali… o forse, come mezzo di controllo punto e basta: la questione è spinosa ed importante.
Ne parliamo in questo blog perchè il sistema adottato dalla Cina è totalmente basato sulla gamification.
Perchè social scoring
Il concetto di social scoring in se e per se è di facile comprensione e sembra assolutamente condivisibile una volta che ci pensiate. Il comportamento delle persone viene confrontato con le norme sociali e penali e valutato in base alla sua conformità con quello che un gruppo sociale considera accettabile. I comportamenti deviati vengono valutati in base al danno che arrecano alla comunità e come tali devono essere “monetizzati”.
E’ chiaramente interesse comune che i comportamenti leciti siano premiati contro quelli illeciti. E’ altresì plausibile che vengano evidenziate le persone che maggiormente contribuiscono alla qualità di vita comune grazie ai loro comportamenti positivi. Quindi se una persona contribuisce alla comunità tramite il suo lavoro o il suo volontariato, deve essere premiata, mentre una persona che devia dalle norme, non necessariamente commettendo un reato, ma eludendo comportamenti educati e civili, deve essere scoraggiata in qualche modo.
Tutto questo, ne converrete, è assolutamente logico e desiderabile. Eppure porta con se complesse problematiche morali e organizzative.
Una intera struttura sociale fatta di gamification
In Cina un sistema di score monitora le vostre azioni in una vasta gamma di ambienti e strutture amministrative, online e off line.
Il cittadino ottiene punti per esempio se acquista prodotti biologici o affini a uno stile di vita sano, ma il punteggio può diminuire, per esempio se spendi soldi sui siti di scommesse. Si tratta insomma non solo di premi ma anche di punizioni.
Il punteggio totale influisce sulla possibilità di spostamento nel continente asiatico (prezzo o addirittura possibilità di comprare biglietti aerei), sulle opportunità di cure mediche (liste di attesa), sui costi delle bollette e tanto altro.
La gamification è motivazione: tramite la diversificazione delle opportunità sociali basate sul punteggio si crea motivazione ad adottare determinati comportamenti.
La gamification è microgratificazione: sconti su assicurazioni, contratti di lavoro migliori, tasse di proprietà ridotte e molti altri premi concreti derivano dal punteggio.
La gamification è riconoscimento sociale: le persone che raggiungono alti punteggi in alcune città cinesi ottengono un “badge”: il loro volto affisso nelle strade o alle fermate degli autobus come esempio di buon cittadino.
Gamification diviene datafication
L’applicazione della gamification al monitoraggio sociale sta divenendo una vera e propria tecnologia denominata da qualcuno “datafication”. Esistono strumenti per decidere se siete un impiegato desiderabile, un partner desiderabile, perfino una persona desiderabile per la società.
Questi strumenti sono disponibili e “democraticamente” diffusi anche in Europa e Stati Uniti.
Tala è un app che studia le vostre abitudini nel chiamare i contatti del cellulare per valutare quante volte interagite con i parenti e se siete una persona schiva o aperta, e concede accesso a prestiti in funzione del vostro profilo. E’ un’idea aberrante, eppure esiste.
Diverse compagnie di insurtech (il futuro dell’assicurazione) come Lemonade puntano sull’internet of things per monitorare la presenza e l’uso di prodotti di valore nelle vostre case e modificare il costo delle assicurazioni di conseguenza. Avvertite una sensazione di violazione della privacy? Eppure la vostra privacy ha già un valore monetario; e un’idea che spaventa, eppure esiste.
App simili a Canopy danno in mano alle agenzie immobiliari uno strumento per valutare se siete un pagatore di affitto rischioso; in base al vostro punteggio potreste vedervi negato il contratto di affitto. Le agenzie vi danno un reward inteso come “il permesso di usare (e pagare) il loro servizio”: questo non è un vero reward! Non è il concetto introdotto dalla gamification, eppure è il risultato aberrante dell’uso della gamification come strumento a se stante!
Educazione sociale vs controllo sociale
Negli Stati Uniti è iniziata una valutazione a livello governativo in merito all’uso della datafication come mezzo per decidere chi possa ottenere la cittadinanza. Comportamenti socialmente meritevoli permetterebbero di ottenere come reward il “diritto” di chiedere cittadinanza.
Questo è un esempio estremo di dove l’applicazione della gamification al social scoring sta portando. L’adozione di pratiche socialmente accettate non sarà più un vantaggio motivante, ma una coercizione, a seguito della quale il nostro stile di vita sfugge al nostro controllo e diviene “regolato” dalle autorità; anzi, spingete il ragionamento all’estremo: il nostro stile di vita sarà regolato dalla tecnologia gamificata legalmente implementata, e come tale non discutibile, perchè non ci sarà più nessuna persona reale a cui rivolgersi.
Questa è la strada verso la totale iniquità sociale.
Ma allora la gamification è un male?
Abbiamo più volte posto l’accento in questo blog sui benefici ineluttabili che derivano dall’introduzione della gamification in aziende, amministrazioni pubbliche, strutture di intervento sociale e marketing, eppure emerge oggi una sottile linea di confine che va meditata.
La gamification è innanzitutto un concetto, un modus operandi, al quale debbono seguire applicazioni pratiche in qualche modo standardizzate affinchè i principi si traducano in risultati. Il passaggio che ci porta dalla teorizzazione allo “strumento” è il momento in cui esistono dei rischi. Uno strumento diventa entità a se stante, può nascere per motivi nobili ma rimane uno strumento, e come tale fornisce opportunità ed efficienza a chiunque lo utilizzi, anche se gli scopi divergono dal motivo per cui è nato.
La gamification come precetto di engagement è il bene verso cui i guru di questa rivoluzione ci conducono, la gamification come suite di strumenti è soggetta alla manipolazione. Da questo punto di vista, anche se questa idea può non apparire evidente, abbiamo un chiaro segnale del fatto che la gamification è già “diventata adulta”, una creatura potente e strutturata, che ora abbiamo il dovere di educare con coscienza.
A cura di Valter Prette