Videogiochi e Teatro per coinvolgere pubblici

Negli ultimi 20 anni il mondo sta cambiando ad una velocità mai sperimentata nei secoli precedenti. L’avvento della terza rivoluzione industriale, rappresentata da Internet, ha influito enormemente sulla quotidianità delle nostre vite ed è diventata parte integrante dei modi di vivere delle nuove generazioni. E’ innegabile che sia in atto un profondo corto circuito tra le modalità tradizionali di trasmissione della cultura, con un approccio dall’alto al basso, e le aspettative ed esigenze manifestate da milioni di individui che si aspettano di ritrovare in ogni momento di rapporto con brand privati, enti pubblici ed istituzioni culturali quel senso di protagonismo, partecipazione e coinvolgimento sperimentati nel mondo digitale. Che poi, a pensarci bene, è assolutamente da superare questa diarchia tra fisico e digitale. Ognuno di noi trascorre le sue 24 ore immerso in centinaia di piazze, da quella del paese a quelle offerte nei social network o nei videogiochi o in piattaforme partecipative come Wikipedia e Youtube. Il fisico continua nel digitale, ed il digitale si interlaccia a fisico con auspicabili intersezioni ancora oggi poco esplorate.

Pensiamo ad una delle più antiche forme d’arte, il Teatro. Quanto è realmente cambiato il modo di mettere in scena una rappresentazione dai tempi classici greci e romani? Quanto è cambiato il ruolo dello spettatore? Come sono mutate le interazioni tra attore e spettatore?

Io credo che sia necessario avviare una discussione, dalla quale non dovrebbe essere esclusa nessuna forma d’arte, sul futuro del teatro in un’epoca dai profondi cambiamenti sociali, tecnologici ed economici. Si parla sempre più spesso dell’importanza, dello sviluppo e coinvolgimento dei pubblici, ma quanto effettivamente è stato svolto per intercettare i desiderata delle milioni di persone che non hanno mai messo piede in un teatro. Le stime Istat del 2014 parlano di poco più di 300.000 ingressi, una nicchia che ha generato circa 200 milioni di euro di indotto economico.

Come è possibile che una industria culturale neonata, come i videogiochi, abbia in Italia decine di milioni di giocatori con un fatturato vicino al miliardo di euro? Come è possibile che una percentuale irrisoria della mia cerchia amicale (ragazzi e ragazze asseribili nella Generazione Y) percepisca il teatro come qualcosa di lontano, noioso, ingessato?
Eppure tra videogiochi e teatro ci sono molte più assonanze di quello che si è ritenuti a pensare. Il teatro è luogo dove meglio di tutti si raccontano storie e dove il rapporto tra attore e spettatore non è intermediato da schermi o barriere.

Solo di recente ho iniziato a interrogarmi su come sia possibile integrare i due mondi, contaminarne le tecniche ed i linguaggi. Anticipando il pezzo, lancio personalmente una chiamata ai creativi per disegnare insieme uno spettacolo teatrale partecipativo.

Un punto di partenza, molto più commerciale che narrativo, è l’idea che oggi esista un bacino amplissimo di videogiocatori, fortemente legati al medium col quale sono cresciuti. Quasi 10 milioni di italiani che attivamente giocano su PC, Console, smartphone dedicando diverse ore ogni settimana a questo medium ed investendo numerose risorse economiche. I dati 2015 parlano di circa 1 miliardo di euro speso, nella sola Italia, nell’acquisto di software, hardware e accessi videoludici. Un bacino di individui stratificatosi negli anni, non più e non solo ragazzi in età scolare ma anche ragazze e donne over 40 che hanno beneficiato dei nuovi canali distributivi e, di conseguenza, nuove tipologie (Candi Crash, Farmville) per avvicinarsi a questa neonata industria.

Spettacoli teatrali la cui storia, scenografia, personaggi richiamassero l’universo dei videogiochi rappresenterebbero sicuramente un volano per avvicinare questa fetta importante di audience. In Italia praticamente nulla è stato sperimentato, mentre all’estero abbiamo esempi di performance direttamente mutuate da videogiochi. E’ il caso di Metal Gear Solid: The Theater Production, Dragon Quest Ballet, Phoenix Wright musical e tanti tanti altri.
Questi sono esempi semplici di utilizzo di brand videoludici all’interno di linguaggi tradizionali come la prosa, musical e balletto, la forma più leggera di contaminazione tra i due mondi.

Nel 2011 la compagnia americana Piper McKenzie ha portato in scena a Brooklyn lo spettacolo Theater of the Arcade basato sul riarrangiamento di 5 storie basate su classici dei videogiochi (Donkey Kong, Duck Hunt etc etc).

Eppure esistono già forme di contaminazione molto più complesse in cui il pubblico entra in scena, influisce sullo spettacolo ed interagisce con gli attori dando vita a spettacoli estremamente coinvolgenti.

La compagnia inglese Punchdrunk da anni porta in scena a Londra e a New York rappresentazioni che fanno segnare quasi sempre il tutto esaurito. Spettacoli come Sleep No More rappresentano un esempio perfetto della gamification del teatro. Per diretta ammissione dello sceneggiatore Barrett, larga parte dello spettacolo attinge a piene mani nel modo di designare i videogiochi per ricreare quel senso di immersione e imprevedibilità che spinge le persone a giocare e rigiocare. Non è un caso se la compagnia ha raggiunto l’obiettivo delal “Replayability”, brutto termine inglese col quale nell’industria gaming indichiamo quei prodotti che possono essere fruiti più e più volte perchè presentano dinamiche di novità e sorpresa. Queste possono essere differenti finali in base alle nostre scelte, nuovi achievement da sbloccare, nuovi segreti da scoprire, nuove sequenze animate e così via.

Sleep No More è un adattamento del classico Macbeth di Shakespeare rappresentano in un teatro non convenzionale. Una immensa fabbrica distribuita in sei piani in cui il pubblico, circa 400 a spettacolo, indossando una maschera è invitato a muoversi liberamente nell’area di “gioco. Le uniche regole sono non togliersi la maschera e non parlare se non espressamente invitato a farlo. Durante la libera esplorazione possono incontrare un attore e seguirlo ascoltando così la sua parte della storia o continuare a muoversi liberamente esplorando, e talvolta, interagendo con gli elementi di scena. E’ possibile aprire finestre, scorrere libri, leggere lettere scoprendo ogni volta qualche nuovo elemento secondario della storia o nuove lenti attraverso le quali interpretare lo spettacolo. E’ possibile, su invito, interagire con gli attori ed essere invitati ad accedere in locations segrete dove viene rappresentata qualche scena nascosta a tutti gli altri.
Il giudizio del pubblico al termine dello spettacolo è estremamente positivo, una esperienza diversa, inusuale e soprattutto coinvolgente che li spinge a ritornare più e più volte per avere il quadro d’insieme dell’intera rappresentazione teatrale.

Questa tipologia di spettacoli, anche conosciuta come “promenade performance” o “site-specific play”, non è facile da progettare e sceneggiare. Sono poche le compagnie, tutte non italiane, impegnate in questa ibridizzazione del linguaggio con risultati di apprezzamento, ed economici, straordinari. Il pubblico resta meravigliato dal vedere spettacoli quasi individuali, personalizzati in cui si sfibra la rigida categorizzazione di attore e spettatore. Insieme concorrono alla produzione, ed ogni esperienza è diversa. Per creare questa magia è necessario bilanciar il flusso rigido degli eventi nella sceneggiatura con la libertà del pubblico.

 

Drowned Man, altro spettacolo prodotto da Punchdrunk, è andato in scena a Londra in un grande edificio composto da oltre 100 stanze nelle quali avviene la performance per circa 3 ore. Anche qui si entra dotati di una maschera bianca che aiuta a differenziare il pubblico dagli attori e si è invitati a vivere l’esperienza in solitudine scegliendo quali ambienti visitare- Nel mentre gli attori performano le loro sequenze, in contemporanea in ambienti diversi e senza vedersi.  La storia prende inizio e la sensazione è quella di ritrovarsi in un flusso narrativo visto in videogiochi come Gone Home.

Il livello di dettaglio delle stanze è elevatissimo, tantissimi oggetti da guardare e toccare e comprendere. In questa totale libertà di azione, il game designer/sceneggiatore utilizza tecniche videoludiche per provare a guidare i comportamenti ed i movimenti utilizzando luci, suoni, messaggi che indirizzano il pubblico verso gli ambienti dove sta per accadere qualcosa.

Non sempre gli spettacoli devono andare verso pubblici numerosi, gioielli come Then She Fell di Third Rail Projects ci riportano ad una cornice narrativa intimistica, uno spettacolo partecipativo a cui possono accedere solo 15 spettatori per volta. Gli spettatori possono muoversi in una ambientazione che ricorda quella di Alice nel Paese delle Meraviglia all’interno di una storia ospirata alla vita e alle opere di Lewis Carroll. Un misto tra videogioco e libro-game, una esperienza che i creatori definiscono multi sensoriale ed estremamente toccante dal punto di vista emozionale. Nelle due ore della performance si è molto spesso da soli, one to one con l’attore o al massimo in gruppi di 5. Al termine di ogni spettacolo, il pubblico è invitato a leggere le note e riflessioni scritte dagli altri per comparare le esperienze e metter insieme i pezzi di uno spettacolo secondo diversi punti di vista. Un tasso di coinvolgimento elevatissimo che ha reso possibile il continuo sold out di Then She Fell nonostante il prezzo di 95 dollari, non propriamente economico!

 

Altre modalità di interazione arrivano dal collettivo tedesco/canadese Rimini Protokoll ideatori di spettacoli come Best Before in cui il pubblico viene dotato di un joystick attraverso il quale esprimere delle scelte che hanno reali ripercussioni sul proprio avatar visualizzato sullo schermo andando a creare una storia nella storia. Immaginate le potenzialità di una struttura narrativa così partecipativa. All’interno di bivi autoriali, la maggioranza del pubblico potrà decidere se investigare su un personaggio o su un altro. Potrà essere coinvolto nella decisione di una sequenza di dialogo tra 4 risposte multiple ed in generale influenzare il finale dell’opera.

E’ ancora possibile esplorare progetti transmediali in cui la storia parte come videogioco ed è fruibile su quel media per poi continuare in un palco teatrale, o viceversa. Heroes Must Die, scritto da Rick Stemm, si muove esattamente in questa direzione. Un videogioco gratuito con differenti finali che fanno da prequel allo spettacolo teatrale che parte, quindi, con inizi differenti. Acquistando il biglietto teatrale si sbloccano funzionalità extra nel gioco e le due storie, seppur separate e non dialogandi, presentano medesimi personaggi, costumi e ambientazioni creando un filo unico nella narrazione e nella immersione.

L’i’italianissima Fanny & Alexander conWe Need Money sta sperimentando lo “spettacolo per azioni”, una performance che varia rappresentazione dopo rappresentazione grazie al contributo del pubblico che invia online proposte per differenti finali o varianti ai quali la compagnai si adegua mettendosi in gioco. Il rimando è a progetti videoludici come Super Mario Maker o Minecraft, dove su una struttura base è il giocatore a incidere pro-attivamente non solo prendendo delle scelte ma impegnandosi ad comporre il nuovo livello.

Questa veloce panoramica di progetti, ha dimostrato quanto importanti e dirette siano le influenze del design dei videogiochi in un nuovo modo di fare teatro basato sulla partecipazione attiva, coinvolgimento e immersione dei pubblici. Un potenziale di contaminazione ancora largamente inespresso e che si baserà sulla mutua collaborazione tra due settori dell’arte che ad oggi non si sono assolutamente parlati.

 

Gamification del teatro

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